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più possano fuochi per lo accampamento, e finalmente alla prima vigilia senza rumore sloggino. E già tutti stracchi del notturno viaggio, alla levata del sole poneva gli alloggiamenti, quando i cavalieri Mauri annunziano, Giugurta a due miglia essersi fermato di rincontro a loro. La qual novella sparsa che si fu, una gran paura entrò nei nostri: si tennero per traditi da Voluce, ed incappati in un agguato; e fu chi propose doversi trar vendetta col ferro, nè lasciare in quello impunita tanta enormezza.

107. Ma Silla, benchè la pensasse similmente, pure mette il Mauro al coperto dalle offese, esorta i suoi a farla da valorosi, dicendo: spesso nei tempi andati una mano di prodi averla vinta a petto di gran numero; quanto meno si guardassero nella mischia, tanto più sicuri sarebbero stati; nè star bene a chi ha un ferro in pugno, impromettersi aiuto dagl' inermi piedi, e in uno estremo frangente volgere le spalle senza difesa e cieche al nemico. Di poi comanda che Voluce sgombri dal campo, perchè la faceva da nemico, chiamando Giove massimo a testimonio della iniquità e perfidia di Bocco. Quegli con le lagrime agli occhi lo scongiura a non dar fede a quelle cose; non entrare tradimento di sorta alcuna in quel fatto, ma bensì la scaltrezza di Giugurta; il quale, perchè era con gli occhi a spiare, aveva saputo del suo viaggio: del rimanente, questi non avendo ai suoi cenni un grosso esercito, e le speranze e le forze sue essendo tutte nelle mani del proprio genitore, era persuaso che nulla oserebbe all'aperto sotto gli occhi del figlio. Per la qual cosa ottimo partito parergli passare a mezzo de' suoi alloggiamenti alla scoverta: v'andrebbe solo in compagnia di Silla, o mandati innanzi o quivi lasciati i Mauri. Un tal partito in quello stato di cose fu abbracciato. Subito furono in via; e, perchè sopravvenuti all'impensata, standosi Giugurta incerto ed in fra due, passano senza offesa. Di poi in pochi di giunsero là, dove s'erano indirizzati.

108. Ibi cum Boccho Numida quidam, Aspar nomine, multum et familiariter agebat, praemissus ab Iugurtha, postquam Sullam accitum audierat, orator et subdole speculatum Bocchi consilia; praeterea Dabar, Massugradae filius, ex gente Masinissae, ceterum materno genere inpar (nam pater eius ex concubina ortus erat), Mauro ob ingeni multa bona carus acceptusque. quem Bocchus fidum esse Romanis multis ante tempestatibus expertus illico ad Sullam nuntiatum mittit paratum sese facere, quae populus Romanus vellet; conloquio diem, locum, tempus ipse delegeret; consulta sese omnia cum illo integra habere; neu Iugurthae legatum pertimesceret, quo res conmunis licentius gereretur; nam ab insidiis eius aliter cavere nequivisse. sed ego conperior Bocchum magis Punica fide quam ob ea, quae praedicabat, simul Romanos et Numidam spe pacis adtinuisse multumque cum animo suo volvere solitum, Iugurtham Romanis an illi Sullam traderet; lubidinem advorsum nos, metum pro nobis suasisse.

109. Igitur Sulla respondit, pauca coram Aspare locuturum, cetera occulte aut nullo aut quam paucissumis praesentibus; simul edocet, quae sibi responderentur. postquam sicuti voluerat congressi, dicit se missum a consule venisse quaesitum ab eo, pacein an bellum agitaturus foret. tum rex, uti praeceptum fuerat, post diem decumum redire iubet, ac nihil etiamnunc decrevisse, sed illo die responsurum. dein ambo in sua castra digressi. sed ubi plerumque noctis processit, Sulla a Boccho occulte accersitur; ab utroque tantummodo fidi interpretes adhibentur, praeterea Dabar internuntius, sanctus vir et ex sententia ambobus. ac statim sic rex incipit.

108. Quivi certo Numida, a nome Aspare, molto ed alla dimestica usava con Bocco. Egli fu mandato innanzi da Giugurta, poi che seppe della chiamata di Silla, come ambasciatore e scaltro scopritore dei disegni di Bocco. Con quello era Dabare, figliuolo di Massugrada, della stirpe di Massinissa, però meno nobile dal lato paterno (essendo nato il padre da una concubina), per molti pregi dell'animo tutta cosa del Mauro. Il quale Bocco, molto tempo innanzi trovatolo fedele ai Romani, lo spaccia a Silla a dirgli come fosse in punto di fare quel che piacesse ai Romani; egli stesso ponesse il dì, il luogo e l'ora ad un abboccamento; non temesse del legato di Giugurta per la libera discussione dei comuni affari; imperocchè non aveva potuto altrimenti guardarsi dalle sue insidie. Ma io mi persuado che Bocco, più per fede punica, che per ragioni che spacciava, d'un sol laccio, con la speranza della pace, avesse impigliato il Romano e il Numida, agitando molto e lungamente nell'animo, se dovesse dar Giugurta in man dei Romani, o Silla in man di Giugurta: il mal talento ce lo dilungava nemico, il timore ce lo accostava amico.

109. Adunque Silla risponde come poche cose avrebbe ragionate alla presenza di Aspare, le rimanenti in segreto a solo o con pochissimi testimoni. Ad un tempo lo indirizza sulle risposte a dare. Poi che convennero come aveva voluto, gli fa sapere, lui, deputato dal console, esser venuto a dimandargli se fosse per far guerra o pace. Allora il re, come gli era stato imposto, comanda che torni dopo il decimo dì; nulla fino a quell'ora avrebbe deliberato; in quel dì gli avrebbe data una risposta. Poi ambedue si ritrassero nei proprii alloggiamenti. Ma, trascorsa gran parte della notte, Silla viene segretamente chiamato da Bocco; dall'uno e dall'altro solo fedeli interpreti si adoprano, e oltre a questi v'entra mediatore Dabare, uomo di provata fede, accetto ad amendue. E tosto così il re imprende a dire:

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110.« Numquam ego ratus sum fore, uti rex maxumus in hac terra et omnium, quos novi, privato homini gratiam deberem, et mehercule, Sulla, ante te cognitum multis orantibus, aliis ultro egomet opem tuli, nullius indigus. id inminutum, quod ceteri dolere solent, ego laetor; fuerit mihi eguisse aliquando [pretium] amicitiae tuae, qua apud animum meum nihil carius est. id adeo experiri licet: arma, viros, pecuniam, postremo quidquid animo lubet, sume, utere; et quoad vivis, numquam [tibi] redditam gratiam putaveris; semper apud me integra erit; denique nihil me sciente frustra voles. nam, ut ego aestumo, regem armis quam munificentia vinci minus flagitiosum est. ceterum de re publica vostra, quoius curator huc missus es, paucis accipe. bellum ego populo Romano neque feci neque factum umquam volui: at finis meos advorsum armatos armis tutatus sum. id omitto, quando vobis ita placet; gerite quod voltis cum Iugurtha bellum. ego flumen Mulucham, quod inter me et Micipsam fuit, non egrediar neque id intrare Iugurtham sinam. praeterea si quid meque vobisque dignum petiveris, haud repulsus abibis. »

111. Ad ea Sulla pro se breviter et modice, de pace et de conmunibus rebus multis disseruit. denique regi patefecit, « quod polliceatur, senatum et populum Romanum, quoniam amplius armis valuissent, non in gratiam habituros; faciundum aliquid, quod illorum magis quam sua rettulisse videretur; id adeo in promptu esse, quoniam Iugurthae copiam haberet; quem si Romanis tradidisset, fore, ut illi plurumum deberetur; amicitiam, foedus, Numidiae partem, quam nunc peteret, tunc ultro adven

110. << Non mai ho creduto, che io, re potentissimo in questo paese e fra quanti ne ho conosciuto, dovessi andare obbligato a privato uomo. Ed in mia fè, o Silla, innanzi che t'avessi conosciuto, a molti che men supplicavano, ad altri di proprio talento ho prestato soccorso; di nessuno ho avuto mai bisogno. Io mi compiaccio che mi sia tolto il come dare lo stesso aiuto, di che altri suole attristarsi; e sarà per me una fortuna avere una volta avuto bisogno della tua amicizia, della quale non è cosa al mondo più dolce al mio cuore. Di questo puoi ben far prova: armi, uomini, pecunia, in una parola quanto mai puoi vagheggiare, prendi, usa; e fino a che ti durerà la vita, non ti terrai per ricambiato: per me il debito sarà sempre lo stesso: da ultimo non ti fallirà desiderio, basta che il sappia. Imperciocchè, come io la penso, è men vergognoso ad un re l'essere sorpassato nelle armi, che nella generosità. Del rimanente eccoti in breve il mio animo intorno alla vostra repubblica, della quale tu sei stato qui spedito ministro. Io non ho mosso guerra al popolo romano, nè mai ho avuto in animo di farla, ma ho difeso il mio paese armato contro armati. Smetto anche la difesa, ove questo sia il vostro piacere; guerreggiate Giugurta come meglio vi aggrada. Io non trasanderò il fiume Muluca, un dì confine tra me e Micipsa, nè porterò che Giugurta il valichi: inoltre, se ti farai a chiedere cosa degna di voi e di me, non te ne andrai col niego. »

111. A questo Silla poco ed alla recisa parlò di sè; della pace e dei comuni negozii molto; da ultimo fece intendere al re, « come con quelle promesse non si obbligherebbe il senato e il popolo romano, essendo da più di lui nelle armi; gli converrebbe far cosa che accennasse più al vantaggio di quelli che al suo. Questa averla proprio a taglio, essendo Giugurta in sua balia. Il quale se egli avesse dato in mano ai Romani, certo se li obbligherebbe grandemente; amicizia, alleanza e la pace della Numidia, che ora

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