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DISCORSO PRELIMINARE.

Ne' tempi della Romana potenza le provin

eie dell'Italia superiore, che s' estendono dal Mineio e dal Benaco sino al Timavo e alle alpi Giulie, e che comprendevano presso al mare le città d'Aquileia che n'era metrópoli, Trieste, Altino e Concordia, e fra terra Oderzo, Belluno, Trevigi, Adria, Padova, Este, Vicenza, Verona, furono abitate da popoli chiamati Eneti o Veneti i quali formavano una sola regione alleata de'Romani sotto il nome della Venezia. Pretendesi che questi popoli fossero discendenti dagli Eneti della Paflagonia, provincia dell' Asia minore, donde venissero in due differenti emigrazioni, la prima delle quali si vuol assegnare all'epoca della irruzione degli Sciti primitivi, cioè 1900 anni prima di Cristo (1) Le poche isolette delle nostre lagune erano luoghi presso che abbandonati ed incolu o soltanto abitati da qualche meschina famiglia che procacciavasi il vitto colla pesca, colla caccia e col sale. Nell'ultimo decadimento dell' Impero qua e là invaso da barbare nazioni, anche il Veneto continente soggiaeque a sovversione, perchè prima fu devastato da' Goti circa l'anno 402, poi dagli Sciti o Tartari, e finalmente l'anno 453 in segnalato modo dagli Unni condotti dal feroce Attila, il cui terribile nome è rimasto ancora per tradizione fra noi. Lo spavento universalmente sparso per l'avanzare in Italia di questo Flagello di Dio, fece emigrare da tutte le Città Venete molti ricchi abitanti e rifuggire per luogo di sicurezza nel nostro estuario: onde formaronsi Grado, Caorle, Eraclea, Torcello, Burano, Murano, Malamoceo, Pelestrina, Chioggia, Cavarzere ed altri luoghi minori, i quali riuniti composero il Ducato o sia tutta l'estensione del territorio Veneto marittimo de'primi secoli repubblicani, e negli ultimi (esclusa Eraclea che non è più) una delle quindici provincie dello Stato Veneto appellata DOGADO.

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Della lingua che usassero i popoli della Venezia terrestre prima di aver da' Romani l'idioma latino, non v'ha certamente memoria: benchè credasi da qualche autore ch'essi parlassero un dialetto greco o quasi greco, qual era appunto quello della Paflagonia ond' ebbero i primi Eneti la deri

vazione.

Sorto poi e diffuso l'idioma latino e fattosi comune a tutta Italia, siccome gl'Insubri, che abitavano l'attuale Lombardia, lasciarono la lingua Celtica, ritenendone però i dittonghi, le aspre e fischianti desinenze e i suoni nasali e gutturali che rimasero sino a'di nostri; siccome i Toscani perdettero l'antica loro lingua Etrusca; così i Veneti adottarono anch'essi il nuovo linguaggio e lo parlarono comunemente, meschiandolo e modificandolo cogli accenti e colla dolcezza dell'antica loro lingua grecanica, e latinizzando non meno una quantità di termini nazionali, che non erano conosciuti in altri luoghi d'Italia.

Del dialetto proprio del popolo Veneto nei primi tempi dell'impero Romano, cioè quando la lingua latina era nel fiore, non abbiamo generalmente alcuna traccia (2); le memorie all' opposto : abbondano de' bassi tempi ne' quali ebbe luogo il sovvertimento della comune lingua trasformatasi nell'italiana ch' ora parliamo, trovandosi pieni gli atti pubblici e gli archivii di scritture in lingua volgare, e dove appunto, facendosi il confronto d'un secolo coll'altro, si vede il progresso, la formazione, e se può dirsi, il miglioramento o la perfezione della lingua com'è a' giorni nostri parlata.

Uno solo è radicalmente il dialetto oggi comune a tutte le provincie degli antichi Veneti, poche essendo le varietà notabili e le differenze di qualche voce da un luogo all' altro. Ma non può negarsi che il migliore, come il più facile nella struttura, dolce nell'inflessione, metrico ne' numc

(2) Forse non sarebbe lontano dal vero l'asserire che il dialetto latino di cui servivansi i Veneti, come tutti gli altri popoli italiani, fosse a un di presso quello stesso volgare del Popolo Romano. Abbiamo da Plauto molte voci latinizzate, che non erano propriamente della lingua forbita latina usata da' dotti: come Orum in vece di Aurum; Oricula in vece di Auricula; Coda per Cauda; Vostri per Vestri, ed altre moltissime, che parlavansi in Roma e che hanno tanta analogia colle nostre vernacole. Basium poi è del nostro Catullo Veronese.

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