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costruzione regolare anche in Cic., ma solo quando si voglia far risaltare l'idea e l'azione verbale), invece di trasformarlo in un gerundivo aggettivo secondo l'uso comune. Es. di genitivo: C. 15, 3 « causa facinus maturandi (P) »; G. 50, 4 « neque... conserundi manum copia erat »; 70,5 « cupidus incepta patrandi »; 84, 5 « causa... nobilitatem... exagitandi »; H. IV, 69, 15 <<< morem suum omnia regna subvortundi » : di ablat. C. 4, 1« agrum colundo »; 38, 1 «< criminando plebem »; 43, 3 « dies prolatando »; G. 7, 2 « ostentando virtutem »; 23, 2 « suos hortando »; 27, 1 « trahundo tempus >> ; 43, 3« auxilia mittundo »; 66, 1 e 89, 1 « ostentando praemia » ; 81. 4 « moras agitando »; 85, 21 « fortia facta memorando »; H. I, 77, 6opes aut patrocinia quaerundo »; II, 15 « advorsa in pravitatem, secunda in casum, fortunam in temeritatem declinando »; II, 98, 2« fessus scribundo mittundoque legatos »; IV, 69, 20 « bella ex bellis serundo ».

*) Di un pronome personale con un gerundivo genitivo sono due le costruzioni possibili: o lo si unisce al gerundivo verbale come genitivo oggettivo, e così fa Sallustio in C. 31, 5 « causa expurgandi sui... in Senatum venit (Catilina) »; o lo si pone in accusativo, come in G. 24, 2 <quem (Jugurtham) tanta lubido extinguendi me invasit » (1).

*) Di ablativo del gerundio accompagnato da preposizioni, costruzione rara presso i classici, ecco gli es. Sallustiani: C. 52, 21 << animus in consulundo liber »; G. 6, 1 « pleraque tempora in venando agere » ; H. III, 8« et forte in navigando cohors mea a ceteris deerravit »>: - G. 50, 6« ab persequendo hostis deterrere nequiverant »; H. I, 55, 6 « a repetunda libertate terremini » (dove Cic. e Ces. avrebbero usato quominus, e Livio ne).

(1) La prima è la costruzione più regolare: ma non è il gerundivo aggettivo in -ndus, concordato con sui; il gerundivo verbale in questa costruzione à il valore di un sostantivo e regge quindi un genitivo oggettivo, equivalendo così tutta l'espressione a « causa expurgationis sui »; tant'è vero che i genitivi mei, tui, sui, nostri, vostri che propriamente sono genitivi degli aggettivi possessivi neutri sostantivati meum, tuum, ecc. - non variano mai di forma anche quando si riferiscano a un femminile o ad un plurale. Cfr. Lucr. 5, 1224 « poen rum solvundi tempus »; Ter. Heaut. prol. 29 « novarum (comoediarum) qui sp ctandi faciunt copiam »; Cic. Verr. 4, 47, 104 « earum autem rerum nullam sibi iste neque infitiundi rationem neque defendendi facultatem reliquit ». Si noti però "he le condizioni dei due es. sallustiani non sono proprio identiche: nel primo il pronome si riferisce al soggetto principale, il che non avviene nel secondo.

g) Dopo alcuni verbi di volontà (statuo, constituo, decerno) il gerundivo nell' accusativo coll' infinito indica la persuasione che una cosa deve necessariamente esser fatta o una decisione presa a questo riguardo: il semplice infinito la risoluzione di fare una cosa cfr. in Sallustio C. 4, 1 « mihi reliquam aetatem a re publica procul habendam decrevi », con G. 4, 3 « quia decrevi procul a republica aetatem agere ». Altri es. di gerundio: G. 39, 5« ex copia rerum statuit sibi nihil agitandum »; 54, 5 « statuit non proeliis neque acie, sed alio more bellum gerundum »; C. 50, 4 « subplicium sumundum decreverat ». (1)

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f) Supino. x) Mentre nella prosa classica l'uso del supino, specialmente quando è accompagnato dall'accusativo dell'oggetto o regge una proposizione, è molto raro, in Sallustio è invece copiosissimo.

Così egli costruisce col supino accusativo (accus. di fine, di direzione, di moto a...):

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il v. ire « perditum ire », C. 36, 4; 52, 12; G. 31, 27: << ereptum ire », G. 85, 42: « raptum ire », H. I, 55, 20: « ultum ire », G. 68, 1; H. III, 48, 17 « ultum hortor », (dove ire è sottint.) (2). Questa perifrasi del supino accusativo col v. ire è un modo popolare ed arcaico, frequente specialmente nei Comici (3). Di Cicerone è noto un solo es.io (Ep. 14, 15 « vide ne puerum perditum eamus »): è meno raro in Cesare, in Livio ed in Tacito. Il più delle volte sostituisce semplicem ente il verbo corrispondente; ma negli es. Sallustiani le perifrasi «ultum, perditum, ereptum ire » non sono semplici sinonimi di « ulcisci, perdere, eripere » come vogliono il Madvig (§ 411, N. 1) e l' Uri (op. cit. p. 110), ma contengono di più l'idea della volontà e dell' azione futura (4) così « perditum ire »

(1) V. a pag. 139, de 163 (ob) altri usi del gerundio.

(2) L'espressione «ultum ire » à questo di particolarmente notevole che, contrariamente all'uso generale, s'è formato, per crearla, un supino di verbo deponente. Sallustio solo fra i classici e due sole volte l'adopera. Da Sallustio passò a Livio (2, 6, 3), a Sulpicio Severo (Chron. 2, 4, 2 e 3 p. 59, 23 e 28) e ad Avito (ep. 72 (63), p. 90, 7) e da uno di questi a Gregorio di Tours («ulto irent » h. F. 5, 15 p. 207, 73).

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(3) V. Neue II, 289. In Sallustio è certamente un' imitazione Catoniana. Catone difatti ne à moltissimi es.1: K. 5, 5; 143, 2 « cubitum ire »; I. 14, 4 << lignatum, aquatum »; 17, 6 « depugnatum »; 35, 9 « obcursatum eamus » ; 51, 5 « prohibitum ire »; 59, 4 « vectitatum » ; 63, 7 « factum »; 80, 11 e 35,9 subplicatum »; 15, 9 « expiatum venire »; 35, 14 « proficisci servatum ». (4) Cfr. Orazio, 0. 1, 2, 15... « vidimus flavum Tiberim retortis Litore Etrusco violenter undis ire deiectum monumenta regis », e Tac. An. 14, 1 << quo facinore dominationem raptum ierit ».

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vale << affaticarsi a rovinare, far cosa che avrà per inevitabile conseguenza la rovina di.... » : lo scopo si concepisce come voluto (cfr. il Gr. μέλλειν):

ed altri verbi di moto: « egredi aquatum » G. 93. 2 (cfr. Liv. 31, 42, 2); « introire salutatum » C. 28. 1; « mittere cognitum » G. 93, 7; « excubitum » G. 100, 4; « exploratum » G. 54, 2; « frumentatum» G. 56, 3; « nuntiatum » G. 108, 2; « oratum » G. 24, 2; « petitum » G. 80, 4; « postulatum » G. 83, 1; « questum » G. 20, 5; « rogatum » G. 77, 2; « praemittere exploratum » G. 105, 5 (Nep. e Liv.); « speculatum » G. 108, 1 (Plaut. e Liv.); « procedere visum » G. 94, 5; « proficisci evorsum » H. I, 55, 23; « obsessum » G. 103, 1; «properare auctum (usato dal solo Sallustio) atque adiutum » H. III, 48, 16; quaesitnm » H. V, 22 (è usato solo da Sallustio); « venire deditum » G. 28, 2; « quaesitum » G. 109, 2.

Talora il supino à con sè l'accusativo dell' oggetto: così C. 36, 4; 52, 12; G. 28, 2; 31, 27; 68, 1; 77, 2; 80, 4; 85, 42; 93, 7; 103, 1; 108, 1; H. III, 48, 16; V, 22; o la prep. de, G. 20, 5; o un' altra costruzione dipendente: G. 83, 1 (ne); 54, 2 e 109, 2 (prop. interrogativa).

B) Nell'uso del supino in -u (1) Sallustio non presenta alcuna particolarità. Egli scrive « facilis factu » C. 3, 2 e 14, 1; « facilis visu » G. 98, 7; 113, 5; « optumum factu » (2) C. 32, 1; 55, 1; 57, 5; G. 107, 5; « incredibile memoratu » C. 6, 2; 7, 3; G. 40, 3; actu promptus » H. V, 4.

IX Coordinazione. a) Coordinazione copulativa semplice. I. Positiva — «) I nomi dei consoli, quando sono accompagnati dai loro prenomi, sogliono essere espressi in latino senza congiunzione (asindeto) come nello stile ufficiale, mentre si uniscono regolarmente con et, que se è taciuto il prenome (v. Cic. Cato m. 4, 10; 14, 50).

(4) I supino in -u è il dativo di un nome verbale difettivo della 4a declinazione (con riduzione di -ui ad -u): cfr. infatti Plauto Bacch. 62 « istaec lepida sunt memoratui »; Liv. 45, 30, 2 « Macedonia... quam divisui facilis »; Plin. H. N. 6, 37 « aqua potui iucunda >>...

(2) Alcuni (Kritz, Herzog,...) ànno scritto « optumum factum » (partic. pf. pass.) che indicherebbe un'azione compiuta in date circostanze speciali sulla quale si porta un giudizio; mentre il supino in u indica un'azione in genere su cui si pronuncia tale o tal altro giudizio qualora la si compia. Cfr. Cic. de Off. I, 3. 9 « honestumne factu sit an turpe dubitant », con Or. Sat. 1, 4, 124 « sive vetabat, an hoc inhonestum et inutile factum || necne sit, addubites? » (è il padre di Orazio che lo istruisce per via d'esempî). V. pag. 207, .

Sallustio, contro la regola, scrive: C. 17, 1 « L. Caesare et C. Figulo consulibus »; C. 38, 1 « Cn. Pompeio et M. Crasso consulibus »; H. I, 11 « Servio Sulpicio et Marco Marcello consulibus »: (cfr. Liv. 39, 8, 1: 20, 2; 56, 4;... Tac. An. 4, 68) (1).

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B) Quando agli aggettivi di quantità (unus, multi, pauci,...) è unito un aggettivo qualificativo, i due aggettivi sogliono congiungersi mediante et, specialmente se il secondo segna una progressione d'idea. Sallustio ora segue la regola, frapponendo et (o atque, o que) e dando così a tutti e due gli aggettivi pari valore, come in C. 20, 3 « multis et magnis tempestatibus...; 51, 35 ed H. IV, 69, 7 « multa et varia »; G. 5, 4 « multa et praeclara »; H. I, 55, 12 » multis et egregiis >>: - G. 102, 10 « multa atque opportuna » G. 2, 4 « multae variaeque »; 28, 5 « multae bonaeque »; 62, 9 « multis magnisque »; 78, 5« multi vastique » : ora usa l'asindeto, come in C. 15, 1 « multa nefanda stupra fecerat »; 19, 5 « imperia saeva multa »; 20, 7 paucorum potentium »; 51, 6 « multa nefaria facinora »; G. 14, 17 hostilia monumenta pluruma »; 27, 2« paucos factiosos »; 30, 3 multa superbia et crudelia facinora » (2); 31, 9 « paucis nobilibus »; H. II, 47, 14 « multi ingentes labores » : asindeto molto raro; cfr. Cic. Acad. 1, 6, 23; ad Fam. V, 17, 3 ; e Livio.

Y) Mentre Cicerone unisce per mezzo di que, atque, et gli aggettivi infestus ed inimicus (v. Phil. 10, 10, 21 « Galliam infestam inimicamque »; Verr. 1, 15, 12 « clamore populi romani infesto atque inimico »), Sallustio scrive C. 19, 1« infestum inimicum Cn. Pompeio », dove « inimicum » è sostantivo e il dativo dipende da << infestum >> epiteto.

8) Et, que, atque esplicativi (= ed infatti) sono molto frequenti in Sallustio C. 19, 2 « simul quia boni complures praesidium in eo (Pisone) putabant, et iam tum potentia Pompei formidulosa erat » (= poichè già fin d'allora...); 20, 17 « nisi forte me animus fallit, et vos servire magis quam imperare parati estis »; 51,

(1) Alcuni citano anche Ces. b. g. 1, 2, 1 « M. Messala et M. Pupio Pisone consulibus » ma i codd. ànno M. Messala et P. M. Pisone dove et P pare piuttosto una ripetizione di M. P(isone), e quindi dai più si cancella (Max Bonnet), tanto più volontieri confrontando il cap. 35, 4 « M. Messala, M. Pisone consulibus ».

(2) Quando dopo multus seguono due aggettivi già riuniti con et, in generale si usa l'asindeto: così Cic. Or. 2, 6 « multi oratores magni et clari»;... Liv. 23, 14, 7 « multa gravia indignaque » ;...

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postrema meminere, et... de poena disserunt »; 52, 30 (atque); G. 2, 3 postremo corporis et fortunae bonorum ut initium sic finis est, omniaque orta occidunt et aucta senescunt »; 9. 3 « et Jugurtham beneficiis vincere aggressus est, statimque eum adoptavit et... heredem instituit »; 31. 20 « nisi forte nondum etiam vos dominationis eorum satietas tenet, et illa quam haec tempora magis placent »; 43, 5« in Numidiam proficiscitur, magna spe civium, cum..., tum maxume quod advorsus divitias invictum animum gerebat, et avaritia magistratuum ante id tempus in Numidia nostrae opes contusae hostiumque auctae erant »; 58, 3; 106, 1 (ac); ecc. (cfr. Tac. An. 2, 35).

E) Et non semplicemente copulativa. ma contenente una gradazione, et quidem, specialmente col pronome is, idem: G. 14, 11; 31, 12; 85, 3; 89, 6; 94, 2 (ac plerisque...); H. I, 77, 1; IV, 69, 5.

Un uso assai raro è quello di et con praeterea, come in C. 50), 4 (il Linker lo sopprime contro l'autorità di P, P' e dei migliori codd.); H. I, 63 (add. L. Müller); cfr. Cic. ad Fam. III, 10, 1.

7) Raramente si adopera et per congiungere un pensiero negativo ad uno positivo, unendosi per lo più la negazione colla congiunzione. Sallustio ne à alcuni esempî: G. 21, 2 « et... non »; 64, 6 « et... nihil »; 95. 4 « atque... numquam »; 110, 4 « et... numquam »; H. I, 126 « et nullo... discrimine »; II, 37 « vir gravis et nulla arte cuiquam inferior »; 47, 9 « atque... non ».

C. 58. 11 « non

0) Par, pariter, idem con et in luogo di ac, atque: C. 3, 2 « haud quaquam par gloria sequitur scriptorem et auctorem rerum » ; H. II. 98, 7 « meo et hostium exercitui par condicio est » : G. 88, 2 << suorum et hostium res pariter adtendere »: eadem nobis et illis necessitudo inpendet »; G. 83, 1 « non in eiusdem potestate initium eius (belli) et finem esse »; 85. 1 e 33. Cfr. G. 5, 5 « imperii vitaeque finis idem ». Altri opina che qui et non sia sinonima di ac (idem ac lo stesso che), ma conservi il suo senso puramente copulativo.

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) Una costruzione molto rara nella prosa classica, per indicare la simultaneità non appena... ecco che subito), è simul... et: G. 97, 4« simul consul ex multis de hostium adventu cognovit, et ipsi hostes aderant »: è molto espressiva. Cfr. Virgilio; Tacito, An. 4, 25 << simulque coeptus dies, et... aderant semisonnos in barbaros »; Ces. b. c. 1. 62, 3 « eodem tempore pons effectus nuntiabatur et vadum reperiebatur ».

x) Et = etiam, è raro in Sallustio: C. 35, 3 <«< non quin aes alienum meis nominibus ex possessionibus solvere possem, cum et alienis nominibus liberalitas Orestillae... persolveret, sed... »; G. 20, 1

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