Immagini della pagina
PDF
ePub

La declinazione greca in - è rappresentata da accusativi in eni « Euphraten » H. IV, 59; « Eumenen » IV, 69, 8; « Metrophanen » (?) IV, 2.

Abundantia. In C. 10, 3 si legge « materies », in G. 13, 5 « materia »; in G. 85, 35, P à « mollitiem », V « mollitiam ». È noto che parecchi nomi femminili ebbero due forme una in -ia, della 1a declinazione, l'altra in -ies della 5a. Questi doppioni mettono capo ad una forma protoaria unica col nominativo sgl. in -î (Stolz, gramm. lat. p. 203). Corssen attribuisce l'e alla i precedente, quantunque in greco i avanti a le vieti di diventare . Secondo Havet la s è organica e avaritiês : avaritia :: inñótyg: inñóta :: parricidas: parricida. In Nonio p. 493 troviamo perfino un « effigia » di Afranio.

b) Aggettivi. Anche qui notiamo delle doppie forme. Così accanto a « decorus » troviamo « decoris » in H. III, 20« equis et armis decoribus cultus. » (Nevio; Apuleio; Tacito Agr. 16 e H. 1, 53 ma incerte e respinte dai più recenti editori): accanto a« inermis » « inermus » nelle forme « inermos » G. 66, 3; 94, 2; H. I, 77, 18; II, 61, e« inermis » G. 107, 1 (abl.). In C. 59, 5, P à « inermos »; ma tutti gli altri codd. ed Arusiano, VII, p. 459, 1 ànno « inermis » (V. Th. Opitz, N. Jahrbuch f. Phil. 131, 267)). Sono forme arcaiche comuni anche a Tacito. Cfr. Plauto, Bacch. 966; Quadrigario pr. Gellio XVII, 2, 3: oltre << opulentus » usa « opulens » in G. 69, 3. Notevoli ancora sono << sublimus » in H. III, 27 « sublima nebula » (cfr. Lucrezio); ed « inquies » in H. I, 7; 77, 11, 16; IV, 55 al nomin., e H. II, 25 all'accus. : « inquies », (e quies) sono le forme originarie, arcaiche di « inquietus », « quietus »; e si trovano la 1a in Plauto, Plinio, Velleio, Tacito; la 2a in Nevio (Prisc. VI, p. 242 K.) e Licinio Macro (Framm. 7).

Sallustio à inoltre alcuni comparativi e superlativi nuovi; ma è in ciò meno ardito di Cicerone. Tra i comparativi abbiamo « divorsius » in C. 61, 3 ch'è unico esempio. Secondo il Köhler (1) che legge in « Bellum Afr. » 40, 6« corpora divorse iacebant » e fa notare che questo avverbio si legge in Cic. De inv. 1, 50, 93; in Nep. Dat. 11, 3; in Svet. Tib. 66, Galba 19; in Gell. 7, 19, 9; questa parola apparterrebbe al discorso famigliare. Notiamo ancora « intestabilior » H. I, 55, 1; « promptior » G. 44, 1; « socordius » H. III, 25; ed alcuni participî presenti e passati che anno perduto la loro forza verbale

(4) In« De auctorum Belli Afr. et B. Hispan. latinitate » Acta Semin. Erlang. 1877.

e sono usati come aggettivi, quali « adulescentior » H. I, 86; « properantius » G. 8, 2; 96, 3 (cfr. Tac. An. II, 55); « inconsultius » G. 35, 6 (Ces. B. g. I, 45; Liv. 41, 7; Plinio, paneg. 83); « purgatiores > H. II, 111; suspectiores » C. 7, 2 (Cic. Or. 2, 4). Tra' superlativi: << dextumus » G. 100, 2; è un arcaismo: Prisciano (III, 95) dice << excipitur dextimus et sinistimus pro dexterrimus et sinisterrimus, » e cita appunto l' es. Sallustiano, e lo nota pure in Celio e Varrone; antico lo dice Festo (p. 74, ed. Müller): « ocissume » G. 25, 5; che pare un volgarismo, comune ai Comici e ad Apuleio: « promptissumus » H. II, 91; I, 77, 1: « sollertissumus » G. 96, 1 (Catone K. 8, 2); << strenuissumus » C. 61, 7 (Catone K. praef. 4; e I. 19, 1 « viros strenuissumos >>: Tac. H. IV, 69 « strenuissumi cuiusque » certo imitato da Sallustio): Plauto à « strenuior » in Epid. III, 4, 1. I comparativi e superlativi di aggettivi in -ius, -uus sono quasi affatto stranieri alla prosa classica, che usa la perifrasi: li troviamo negli arcaicizzanti Frontone, Gellio, Apuleio; frequenti in Catone (« arduius » I. 85, 6; << arduissumus » I. 38, 9; « industrius » I. 55, 12; « innoxiior » I. 42, 10; perpetuius » I. 55, 3; « perpetuissumus » I. 45, 7;....); in Pacuvio troviamo « egregiissimus » ed « industrius » in Plaut. Mostell. I, 2, 71; Gracch. (pr. Prisc. III, p. 88 K.). Si à ancora <« maturrume » in H. I, 66; 77, 13; lo à pur Catone I. 34, 1; (ma << maturissime » I. 36, 11); Cicerone de Orat. III, 20, 74; Ces. b. g. I, 33: Tac. An. I, 63; XII, 65; XV, 74. Di participî citeremo << cupientissumus » H. V, 19; G. 84, 1; « conruptissumi » H. I, 77, 7; « quaesitissumae (epulae) » H. II, 70, 4 (1).

c) Numerali. Soltanto è degna di nota la forma « duum » per « duorum » in unione con « milium » in G. 91, 3; 106, 5; «duum milium intervallo »; e G. 50, 3 « praesidium quasi duum milium peditum ». Cfr. Cesare b. g. III, 17, 5.

d) Flessione pronominale. Di notevole non c'è che la forma « quis » per « quibus »: la Catilinaria non ne à es., poichè il « quis » in 18, 1 accettato da Jordan e Lallier è dato solo da Mss. inferiori, e da Diomede, le cui citazioni Sallustiane sono spesso errate. Al contrario

[ocr errors]

(4) Nota ortografica. Il suffisso del superlativo in S. è -umus per -imus. Non è un arcaismo come s'è creduto. Ne l'età sallustiana c'era ancora dualismo tra le due forme. L'atonicità di quella vocale -u- produceva però un affievolirsi del suono pieno u in i, ed -imus pronunciarono già i letterati, e adottò Cicerone; -umus era conservato dal popolo, si trova in Livio ed anche nelle iscrizioni dell'età imperiale.

è frequentissimo in G. e H.: quis dat. in G. 13, 6; 14, 10; 18, 1; 66, 4; 80, 5; 81, 1; 105, 1; 111, 2; H. I, 55, 6; II, 29: quis abl. in G. 7, 7; 80, 3; 85, 37; H. I, 32; II, 47, 4; in quis G. 25, 4; 28, 4; 70, 5; H. II, 47, 1: III, 9; I, 5: pro quis in H. II, 98, 6. Nei nuovi Framm. dell' Hauler si à pure due volte «quois » (= quis). Tale forma, ch' era in uso ancora ai tempi di Prisciano, ma di cui le iscrizioni antiche ed i poeti comici (1) non ci danno esempî, pare fosse del discorso famigliare ; infatti l'à frequentissima Varrone; è nelle lettere di Cicerone (ad Fam. 11, 16, 3, e ad Att. 10, 11, 2-3; 13, 22, 4); nel Bellum Hispan. 23, 8; in Livio; in Tac. Annali; è frequente nei poeti Catullo, Virgilio, Orazio (serm. ed epodi).

Il genitivo << nullius » in C. 29, 3 è dato dai mss. più autorevoli (P). Altri, (fra cui lo stesso P'), dànno « nulli ». Ammettendo questa ultima forma occorre spiegarla come contrazione di « nullius » e confrontare << istimodi », « illimodi » di Plauto (Trucul. 5, 38) e di Catone (I. 50, 4; 55, 5); « ali rei » di Celio Antipatro; « nulli rei » di Catone (I. 88, 7), che à anche « illi rei » (K. 25), ed in Afranio << satias toti familiae ». Il « nullo » di G. 97, 3 è abl. di qual. non dativo (cfr. Cic. ad Att. X, 18).

e) Flessione verbale. In Sallustio prevalgono nella 3a persona plurale del pf. attivo le forme in -ere. Lo Jordan ammette solo 4 es. sallustiani certi di erunt: C. 20, 10; G. 14, 5; 58, 3; H. IV, 69, 10; ma conviene aggiungere H. I, 33; II, 5; 8. Di altri cinque verbi circa à le due forme. Le forme in -ere sono arcaiche ed arcaicizzanti; basta a provarlo la loro frequenza in Frontone, ed anche la statistica fatta dal Neue (II, 389); sono frequentissime in Catone (cfr. Cortese op. cit. p. 182, aggiungendo ai numerosi es. ivi citati << emptitavere »; « redemptitavere » (69, 7); « succidiavere » (fr. 39); ed ere: erunt : 24: 10). Ma allato all'arcaismo ed alla imitazione Catoniana possiamo qui scorgere un influsso del discorso famigliare; cfr. l'uso che ne fa Cicerone (Leg. agr. I, 4, 12; Pis. 40, 96; Leg. 1, 2, 6; Fam. 9, 21, 3; 10, 19, 2): e quel ch' ei dice in Orat. 47, 15 << Nec vero reprehenderim - scripsere alii rem ; et - scripserunt esse verius sentio; sed consuetudini auribus indulgenti libenter obsequor. » L'uso poi divenne tradizione nella prosa storica. Livio usò tali

(1) Si eccettuino fra le iscrizioni una in versi, britannica, Orelli 5863 « ex quis numeribus », ed un' altra in versi, spagnuola, C. I. L. 2, 2660 « legio quis est septima »; e in Plauto, Mostell. 1040.

forme anche quando si confondevano coll'infinito; così Velleio e Tacito. Desinenza arcaica è pure -re della 2a pers. sgl. passiva: in C. 52, 4 « persequare ». Cfr. Quintil. 1, 5, 42 « Apud veteres pro male mereris, male merere ».

Forme di coniugazione.

Si notano le forme di pf. « neglêgi », << intellegi »; la 1a è supposta dal « neglegeris » di C. 51, 24 e dal « neglegisset » di G. 40, 1: la 2a è in G. 6, 2 e H. I, 55, 23. Sallustio usa pure le forme regolari « intellexi »..... ed è difficile il dire s'egli abbia fatto qui vero arcaismo, o soltanto usato una forma rara. Avvene un solo esempio; è il « neglegerit » del fr. 22 di Licinio Macro.

<< Solui» forma attiva di pf. supposta da H. II, 102 « Neque subsidiis, uti soluerat, compositis ». È arcaismo proprio di Ennio, Celio (fr. 43) e di Catone (I. 89, 34). Cfr. Varrone (1. 1. IX, 61). << Sequitur ut contra quoniam est soleo, oporteat dici « soluit » ut Cato et Ennius scribit non ut dicit vulgus, «solitus sum», debere dici ». Si potrebbe pure credere un volgarismo, su analogia di « gavisi », « ausi » forme popolari da «gaudere », « audere ». Forme partecipiali notevoli sono: «nequiens » H. III, 98, C.; << nequeuntes » H. III, 40. « luxus » (= luxatus) H. V, 6 « luxo pede » (cfr. Catone K 160). «agnôturus » (= agniturus) H. II, 61 « Inermos viros quemquam agnoturum ». — << arguiturus » H. II, 71 « falsum filium arguituri » unico es. noto di tutta la latinità.

Ed i participi futuri in-ndus della 3a e 4a coniugazione preceduti dalla vocale u; possiamo dirlo un arcaismo più quantitativo però che qualitativo. Tali in Cat. 16, 4; H. I, 77, 3 e 6 « opprimundus »; C. 18, 3 e 39, 2 e H. I, 55, 6 « repetundus »; C. 50, 4 « referundus »; G. 18, 5« emundus » ; 26, 2 « cogundus » ; 32, 1 « dicundus » (e 31, 1); 35, 3 « gerundus » (e 54, 5); 93 1 « legundus » ; H. I. 77, 8« subvortundus. >> Ricorre pure la forma in -endus; ma solo in casi ov'è per avventura dovuta a dissimilazione: G. 19, 1 « minuendus » ; 50, 6 « persequendus » ; 106, 6 « relinquendus » ; H. I, 77, 3« metuendus » ; H. III, 48, 6 « fruendus » ; H. III, 48, 16 << exequendus ». Nel lat. arcaico viveano ambedue le forme; nel

« S. C. de Bacchanalibus > (568) troviamo

>>

troviamo << exdeicendum », « faciendum »....; nella «<lex agraria », « deducendae » e accanto a « vendundeis ». Ma la forma in -undus, divenne meno frequente e fu poi considerata come arcaica, e mantenuta solo in formule giuridiche. Cicerone l'usò coi verbi in -bo, -mo, -co, -go, -to, -do, -ro, -io.

Noteremo infine una forma infinitivale « sallere » della 3a coniugazione per << salire » condir con sale: Catone) della 4a. Pare un

arcaismo (cfr. Prisc. X, 9, 57 e Diomede 372 Putsch) in H. III, 87 << reliqua cadaverum sallere. »

3o. Considerazioni lessiologiche. Come in ogni organismo anche nelle lingue sono due parti, che si comportano diversamente nello svolgimento fatale loro assegnato. Gli elementi materiali di suoni e di forme, come quei che rappresentano lo strato primo, più profondo della formazione loro, rispondente ad un primo strato granitico in una sezione geologica, ànno variazioni di poco momento e lentissime, che solo acquistano valore dal lungo accumularsi di esse, in un tempo di secoli. Al contrario l'ordinamento loro sia nella parola (derivazione e significato, lessico), sia nella proposizione (sintassi e stile) varia assai più rapidamente ed intensamente di età in età, da individuo a individuo. I primi resistono più tenacemente alle molteplici forze modificatrici dell'ambiente; il secondo resiste meno, asseconda di più gl' influssi modificatori: ed è naturale; l'ambiente di quelli è fisico e meno variabile : di questo è morale-politico, è un ambiente più complesso e quindi soggetto a più e più rapide mutazioni; capace di energie modificatrici più potenti nel primo il giuoco maggiore è dell' organismo fisico; nel se condo è dell' intelligenza.

E questa, ch'è legge generale, à nel caso nostro un' applicazione che la conferma. Dove l'originalità di Sallustio, le sue speciali tendenze arcaizzanti e popolareggianti da noi già rilevate, ànno la più splendida manifestazione è appunto nel Lessico; e si affermano non solo nella derivazione lessicale, ma eziandio nella variazione di significato ch'egli attribuisce alle parole. Da un lato ei ritorna all'antico sia nella parte formativa, accettandone suffissi oramai caduti; sia nella parte intima, psicologica direi quasi, attribuendo loro significati che aveano bensì in origine già avuto, ma che nella lor vita letteraria avean definitivamente perduto e così egli fa opera di ringiovanimento del vocabolario nazionale. D'altra parte egli è democratico, epperò ama certe forme di derivazione proprie del popolo; il carattere della lingua popolare, per quanto riguarda il lessico, è una energia creatrice sempre vigorosa e vivace che non à gli scrupoli della lingua letteraria conservatrice per natura; e come il popolo, così anche Sallustio à certe negligenze nell'uso dei sinonimi, che a Cicerone sono ignote, ed ama le forme piene di significato.

Le parole ordinarie, consuete mancano di bellezza; l'uso le à rese comuni; le parole antiche e poetiche, nuove e ben create, ravvivano ed abbelliscono il discorso. Sallustio usa dell' une e dell' altre: parole nuove, o rinnovate con un uso originale di cui egli si vale per tradurre una sottile sfumatura del suo pensiero, o semplicemente per eccitare con la sorpresa l'attenzione del lettore.

« IndietroContinua »