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Sollicitare: C. 24, 4 « servitia urbana sollicitare »; 28, 4 << Manlius plebem sollicitare »: 36, 1; 39, 6; 50, 1; G. 19, 1. << Sollicitare » per « inducere, hortari, persuadere » l'usa pure Plinio III, 19, 1 « in his me multa sollicitant aliqua, nec minora deterrent; sollicitat primum... ».

Subigere: C. 10, 1 « populi ingentes vi subacti »; 51, 18 « metus aut iniuria te subegit, Silane »; G. 24, 2 « vis Jugurthae subigit »; 31, 4« obviam ire... animus subigit »; 44, 4 « pabuli egestas locum mutare subegerat ». Qui « subigere » sta per « cogere », con un po' più di forza però. Cicerone userebbe « adigere », che Sallustio usa pure ma di forza irresistibile.

Superare: G. 85, 27 « falsam (orationem) vita moresque mei superant » cioè « refutare » (superiorem esse).

Suspicere: G. 70, 1 « suspectus regi et ipse eum suspiciens » ; questo fatto rappresenta una vittoria della Stilistica sul Lessico: è questo l'unico es. di « suspicere aliquem », ed è dovuto ad esigenze di simmetria.

Transgredi: = << excedere » come in Velleio e Plinio, H. II, . 62 < communem habitum transgressus ».

Vastare: C. 15, 4 « conscientia mentem excitam vastabat »; G. 41, 9 avaritia polluere et vastare omnia ». Si à qui il passaggio dal significato primo di « devastare » (render deserto), ad un significato traslato che dà all' espressione grande energia.

Volvere: pensare, « secum reputare », lo troviamo o solo come in C. 41, 3 « haec illis volventibus »; 0 con << secum » C. 32, 1; G. 113, 1; od unito a « cum animo » G. 6, 2; 108, 3. Non è uso Ciceroniano ed è raro; l'usa Livio (« volvere in animo aliquid », « volvere inanes cogitationes »); Virgilio (« volvere sub pectore alqd. »). Cfr. 1' Omerico « ὁρμαίνειν » con o senza « κατά φρένα, ενί φρεσί, κατά ovvero ανά θυμόν ».

III) Fraseologia.

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Qui ci pare opportuno numerare alcune particolarità fraseologiche, intendendo la parola « fraseologia » nel suo significato ristretto. Esse sono di triplice maniera <<< arcaismi >>, << volgarismi », « novità ».

a) Arcaismi. Animos tollere per « animos erigere » in G. 101, 7. Cfr. Ter. Hec. 3, 5, 5; Plaut. Truc. 2, 8, 10; Lucilio (in Nonio p. 286, 6).

Transvorsum agere « fuorviare » in G. 6, 3 « quae opportunitas etiam mediocris viros spe praedae transvorsos agit ». Cfr. Catone ([. 28, 1) « secundae res laetitia transvorsos trudere solent a recte consulendo atque intellegendo »; Lucano. Fars. IV, 817, -18 << ambitus et luxus et opum metuenda facultas Transverso mentem

dubiam torrente tulerunt »; poco felice variante! Si ritrova poi in Seneca, Quintil., ed altri dell' età argentea.

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b) Volgarismi. Hostem ferire = « metter fuori di combattimento il nemico » C. 7, 6 « se quisque hostem ferire... properabat »; 60, 4; G. 85, 33. Fuori di Sallustio altri due soli esempi se ne ànno; Ennio An. VIII, 40 « hostem qui feriet, mihi Karthaginiensis quisquis erit », e Liv. 22, 38, 4 « hostis feriendi aut civis servandi causa ». La frase à tutta l'apparenza di frase propria del linguaggio militare, arcaica e volgare al tempo stesso.

Offerre pugnam: H. III, 96, D« ultro offerre pugnam cupientibus »; cioè « pugnae copiam facere ».

Sono qui pure a ricordarsi alcune espressioni in cui ad una parola se ne sostituiscono due, ad un verbo semplice un verbo più un oggetto; modo carissimo al popolo che ama questi sdoppiamenti di pensieri, quest' abbondanza di parole, quest' espressioni composte che lumeggiano il pensiero e gli dànno più vivacità, più forza e pittura. Fu già notato (V. Köhler, op. cit. p. 450) come il « sermo plebeius » in tutte le letterature soglia far grande uso di verbi generali circoscritti da sostantivi e da nomi verbali.

A quest' ordine di fatti appartengono in Sallustio i modi; fugam facere, di G. 53, 3 « Numidae fugam faciunt »; 58, 4 « Metellus animadvortit fugam ad 'se vorsum fieri »; per « fugere ». In altri scrittori più spesso à senso transitivo, fugare: così in Livio 21, 5, 16 « Hannibal agmine quadrato agmen ingressus fugam fecit ex ripa ». Pugnam facere = « pugnare »: G. 56, 4 « in porta pugnam facit »; (Cfr. l'uso del gr. mosis)xt).

Victos dare = « vincere »: G. 59, 3 « hostis paene victos dare ». È modo popolare di cui offrono es., Plauto Cist. 2, 3, 51 « perfectum hoc ego dabo negotium » (enfatico = perficiam); Pers. IV, 1, 19 «< intricatum dabo »; Ter. Heaut. 5, 1, 77 << exornatum dabo » ; Phorm. 5, 8, 81 « incensam dabo »; Virg. E. XII, 437 << defensum dabit >>; Seneca Med. 528 « demersos dabo »; Liv. 4, 49, 3 « hanc mactatam victimam legatorum manibus dabo »; 8, 6, 6 « stratas dare »; 7, 33, 11.

c) Novità Sallustiane sono: Gratiam facere alicuius rei = « veniam dare, ignoscere »; C. 52, 8 « qui mihi atque animo meo unquam delicti gratiam fecissem » G. 104, 5« Boccho, quoniam paenitet, delicti gratiam facit »; H. III, 47 « quibus Senatus belli Lepidani gratiam fecerat ». (Cfr. Liv. 3, 56, 4).

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Maria montisque polliceri: C. 23, 2. La frase in uso era « montis polliceri », che leggiamo in Terenzio Phorm. 1, 2, 18 « montis auri pollicens »; Persio 3, 65 « magnos promittere montes »; Plaut. Epid.

1, 1, 78 à « in te inruunt montes mali ». L'aggiunta di « maria » è tutta Sallustiana forse derivata dallo studio sui Greci che dicevano (V. Aten. XII, p. 530, Ε ὅστις εἶχε χρυσίου

« χρυσίου πόντος ».

πόντον).

Transire vitam: C. 1, 1 « ne vitam silentio transeant veluti pecora »; 2, 8 « indocti, incultique vitam sicut peregrinantes transiere »: << degere vitam ». Cfr. Tac. Agr. 6, 5 « tribunatus annum quiete et otio transit » Seneca Ep. 45, 12; prov. 4.

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IV). Avverbî. - Qui parleremo degli avverbi notevoli in Sallustio solo riguardo alla « derivazione » loro. Delle variazioni di significato dovremo parlare altrove.

a) Avv. in -e. Ferme: G. 48, 3 « mons aberat ferme milia XX »; 74, 3 « ferme Numidis in omnibus proeliis... tuta sunt ». È forma superlativa «*ferime » ed è più energica di « fere ». Pare uso arcaico poichè si trova in Catone I. 9, 7 e Varrone 1. 1. VII, 5, 92: in Cicerone è rarissimo, ed è solo usata con una negazione (Att. V, 20); l'usa pure Livio ed i posteriori, per lo più con una negazione. Nave: G. 77, 3 « cuncta imperata... nave fecerant ». È forma arcaica in luogo di « naviter », da « navus » (cfr. « navare operam » ed << ignavus »). L'adopera pure Cic. in Fam. V, 1, 2, 3 e Livio 30, 4: 43. 7.

b) Avv. in tim (1). I più degni di nota tra i numerosissimi che ne à Sallustio sono: « carptim » (C. 4, 2); « confertim » (G. 50, 5); << catervatim » (97, 4); « turmatim » (101, 4). Il Bruennert (op. cit., p. 24) ne fa una imitazione sisenniana: ma son forse piuttosto un arcaismo generale, non dovuto a speciale influsso di uno scrittore; poichè tale formazione è frequente in tutti gli scrittori arcaici ed arcaicizzanti. Nè vale il numero di esempi Sisenniani (14 circa), trattandosi di tutta una letteratura pervenutaci frammentaria. Qui è degno di speciale attenzione illim, G. 114, 2 « illimque usque ad nostram memoriam »>, cioè « di là », « ex illo tempore ». Se la grafia dei Codd., in questione così delicata, à valore, l' usarono frequentemente i Comici (cfr. Plauto, Men. 5, 2, 48; Merc. 3, 1, 13; Poen. 2, 7; 5, 2, 27 e 98; Terenzio Hec. 3, 1, 7); ne ànno pure esempio Lucrezio e Pomponio (in Nonio Com. 90). Che lo abbia usato anche Cicerone (Verr. 5, 54, 142; Phil. 2, 31, 77) è dubbio assai. Pare quindi un arcaismo; forse al tempo stesso un volgarismo.

(1) Sono accusativi avverbiali fatti con -im, regolarmente da temi in -i, o per analogia da altri temi. Tali accusativi cristallizzati in avverbî indicano il modo, l'oggetto interno di un' azione.

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c) Avv. varii. Diu nella formula « diu noctuque » G. 38, 3; 44, 5; 70, 1; e« noctu diuque » H. II, 89; IV, 34: in luogo del più frequente « die » (1).

Perperam: G. 31, 27 « malite cives vostros perperam quam recte fecisse ». Pare che sia parola d'origine popolare passata al « sermo urbanus » pel tramite della lingua giuridica. Infatti la si trova sempre in formule fisse, o unita al verbo « iudicare » (Dig. 42, 1, 82) od opposta a << recte » com'è qui: e poi è usata da Varrone r. r. 1, 69; e nel B. Hisp. 12, 3. In Cicerone trovasi soltanto nel « De Inv. » e nelle prime orazioni.

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V). Preposizioni. La sola lessicalmente notevole è fine prep. loc. Si trova una volta H. III, 52 « fine inguinum ingrediuntur mare ». È propriamente un locativo (*fid-ne-i), che si trova prima in Catone K. 28, 2 « radicibus fini » e 113, 2 « ansarum infimarum fini ». Certamente fu anche un uso del « sermo plebeius » poichè lo leggiamo in B. Afr. 85, 1 « umbilici fine »: l'usano anche Livio (30, 1, 10); Ovidio (Pont. 1, 4, 18; Halieut. 120); Giust. 30, 4, 6); Hygin. (Astron. 272; fab. 92); Agostino (de Civ. Dei 5, 13). (L'esempio cesariano << pectoris fine » (7, 47, 5) non à valore essendo solo di due Mss. di quelli interpolati). Passò poi nella nostra lingua.

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4o. Considerazioni sintattiche. La sintassi è la parte più complessa e complicata dell' organismo grammaticale, nella quale tutte le altre parti sono in giuoco, ed è fattore importantissimo l'elemento psichico dello scrittore; poichè la funzione dei suoni e delle forme in tutta la sua ricca varietà non si può derivare soltanto dal vario atteggiarsi degli elementi fonetici costitutivi delle parole, ma conviene pure fare notevole parte all' elemento psichico, alle rappresentazioni psicologiche, a cui nella maggioranza dei casi si uniformano le funzioni sintattiche, trovando in quelle la loro ragione d'essere (2). Ond'è che, se è vero in genere per ogni singola lingua esservi molte grammatiche, ciò è specialmente vero della Sintassi: nè lo studio sintattico d' una lingua può essere e dirsi compiuto se non dopo uno studio accurato di tutte le varie stasi della sua evoluzione sintattica ed una minuta ed amorosa

(1) In tale formula avverbiale « diu » è avverbio, e sta per « dius »; ma << noctu »è ablativo (cfr. antico lat. << hac noctu » ecc.).

(2) Lo studio della Sintassi è d'importanza suprema << pour la psychologie et pour la partie la plus noble, la plus instructive de l'histoire, la seule qui porte la vie, l'unité, la lumière dans les annales de l'humanité et en rend l'étude vraiment morale et salutaire, je veux dire l'histoire même de l'esprit et du coeur de l'homme » (Regnier).

ricerca dei costrutti che sono più proprî

particolari a ciascun individuo, fino a confondersi con le osservazioni specialissime così dette stilistiche, fatte sui vari generi letterarî negli scrittori delle varie età. La difficoltà s'accresce per l'incertezza dei criterî antichi, e per le oscillazioni dell' uso che qui sono necessariamente in numero maggiore. E può ben dirsi che lo studio della Sintassi sta rispetto allo studio delle altre parti grammaticali, come nella fisiologia lo studio del cervello e delle sue funzioni rispetto a quello dell' altre parti dell' organismo grammaticale.

Il problema poi è tanto più complesso trattandosi di Sallustio. Lo stile di Sallustio ha natura spiccatamente originale; e ciò à particolari effetti sulla Sintassi, ch'è come il freno dello stile. La Sintassi sallustiana à originalità sue, e costruzioni tratte dalla sintassi arcaica, e dalla sintassi popolare. Un terzo elemento, di cui finora non ci si presentò occasione di parlare, richiede ora due parole, l'Ellenismo. Com'è avvenuto per l'arcaismo, così pure fu esagerata la imitazione greca in Sallustio da quasi tutti coloro che trattarono tale questione e specialmente il Poppo nei suoi Prolegom. ad Thucyd. (Leipzig 1821, vol. I) non vide altro in Sallustio che ellenismi, che travestimenti latini di costruzioni Tucididee. Ma un accurato studio della lingua di Sallustio, e maggiormente la conoscenza più esatta della grammatica storica, ànno ridotto di assai il numero di questi pretesi ellenismi sallustiani. Dalla contemporanea esistenza di un identico costrutto nella lingua greca e nella latina non si può dedurre, come fu fatto, che presso i latini sia quel costrutto merce forestiera, frutto d'imitazione greca. Veri ellenismi sono soltanto i tentativi di uno scrittore d'introdurre nella sua lingua una costruzione fino allora ad essa ignota e ch'egli prende dal greco.

Inoltre occorre distinguere bene tra imitazione formale, esteriore, ed imitazione di contenuto, di pensiero. L'imitazione Tucididea in Sallustio si rivela specialmente nei concetti, nello speciale ritmo e nel colorito generale dello stile, nel lato artistico, più che nella costruzione, nella frase, nel lato grammaticale. È piuttosto lo speciale atteggiamento del pensiero, la brevità e concisione dello stile, il modo di vedere e di capire i fatti, che avvicina lo storico latino al greco è una imitazione inconscia, dovuta in gran parte ad un' affinità d'animo e di carattere: ed anche quando s' appropria pensieri Tucididei, Sallustio non sacrifica quasi mai il genio della sua lingua al modello straniero, ma imita e riproduce liberamente, in forme schiettamente latine.

Certo la frequenza di una letteratura straniera, l' assidua lettura e lo studio di uno scrittore forestiero, non può non lasciare qualche traccia anche materiale nella lingua del lettore, tanto più se vi sia

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