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parte haud satis prosperum fuerat, aut neglectis religionibus aut prave cultis, longe [que] antiquissimum ratus sacra publica, ut ab Numa instituta erant, facere, omnia ea ex commentariis regiis pontificem in album elata proponere in publico iubet. 3 Inde et civibus otii cupidis et finitimis civitatibus facta spes in avi mores atque instituta regem abiturum. Igitur Latini, cum quibus Tullo regnante ictum foedus erat, sustulerant animos et, cum incursionem in agrum Romanum fecissent, repetentibus res Romanis superbe responsum reddunt, desidem Romanum regem inter sacella et aras acturum esse regnum 4 rati. Medium erat in Anco ingenium, et Numae et Romuli memor; et praeterquam quod avi regno magis necessariam

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resto cfr. per l'uso di quest'accusativo di relazione, affatto estraneo a Cic., Sall. fr. 196, 13 imperi percupidus habebatur, cetera egregius: altrove L. adopera in sua vece ad cetera, cfr. 30, 1, 4. religionibus funzioni religiose, culto longe antiquissimum, essere impresa assai nobile e degna della maestà del popolo romano. Si noti che altrove Livio adopera esclusivamente la forma di comparativo nihil antiquius. facere, ordinare come soprintendente al culto degli dèi. commentariis. In tempi più recenti correva tra le mani d'ogni pio romano una raccolta di sacre prescrizioni, le quali si riferivano a Romolo, a Numa ed alcune anche a Tullo Ostilio, e pigliavano perciò il nome di commentarii regum o anche di leges regiae (cfr. 6, 1, 10); esse passarono prima nelle mani dei pontefici, e quindi entrarono a far parte del ius Papirianum. — pontificem, cfr. 20, 5. album, su di una tavola spalmata di gesso, la quale il pontefice soleva esporre nella sua abitazione, che era situata nel foro e pigliava il nome speciale di regia, cfr. 9, 46, 5 fastos circa forum in albo proposuit; Cic. de or. 2, 12, 52: mandabat litteris pontifex maximus efferebatque in album et proponebat tabulam domi: Dion. 3, 36 tàs negi τῶν ἱερῶν συγγραφὰς προὔθηκεν ἐν ἀγορᾷ ἂς ἀφανισθῆναι συνέβη τῷ χρόνῳ. elata. Altrove L. invece di efferre adopera la frase referre in a., cfr. 4, 11, 4. 13, 7. 34, 6. La prima frase è data dai mser. non solo in questo luogo di Livio, ma anche nel passo di Cic. già riferito. abiturum, che egli abbandonerebbe la via battuta dal suo predecessore, per continuare le tradizioni pacifiche di Numa. 3. foedus. Anche di questo trattato L. non ha fatto dianzi alcuna menzione, ma sembra però che egli ammetta, che si fosse concluso a tempo della distruzione di Alba. sustulerant: sembra che i popoli antichi considerassero come scaduti i trattati, quando uno dei contraenti di essi fosse già morto, cfr. 42, 6, 8: Dionigi 3, 49 fa espressamente tale dichiarazione, a proposito della morte di Anco Marzio. superbe: l'avv. serve a modificare il concetto espresso dalla frase responsum reddere, cfr. 2, 15, 2. acturum regnum, costruzione Liviana modellata sull'analogia di agere vitam, aetatem. 4. medium: l'animo di Anco non aveva tendenze così bellicose come quello di Romolo, e nemmeno così estremamente pacifiche come quello di Numa; ma stava di mezzo tra l'uno

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fuisse pacem credebat cum in novo tum feroci populo, etiam quod illi contigisset otium sine iniuria, id se haud facile habiturum; temptari patientiam et temptatam contemni, temporaque esse Tullo regi aptiora quam Numae. Ut tamen, quoniam 5 Numa in pace religiones instituisset, a se bellicae caerimoniae proderentur, nec gererentur solum sed etiam indicerentur bella aliquo ritu, ius ab antiqua gente Aequiculis, quod nunc fetiales habent, descripsit, quo res repetuntur.

Legatus ubi ad fines eorum venit, unde res repetuntur, capite 6

cum in novo t. f.

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tamen:

in

e l'altro, cfr. 2, 27, 3 medium se gerendo. populo cum novo tum feroci. Anco Marzio giudicava che il mantenimento della pace fosse stato assai più necessario per Numa di quel che non fosse per sè, perchè quegli aveva dovuto attendere a mitigare le tendenze troppo bellicose di un popolo, ancor giovane e nuovo alle consuetudini della vita civile; e pensava inoltre che a Numa era toccata la singolar ventura di poter vivere in pace per così lungo spazio di tempo, senza soffrire ingiurie da chicchessia. id, cioè otium sine iniuria. habiturum, sott. credebat. temptari, al pari di habiturum e di con temni, dipende da credebat sottinteso, o meglio da un verbo che abbia il significato generico di pensare, existimabat, putabat. temporaque: egli si accorse ben presto che i tempi, in cui era costretto a vivere, richiedevano piuttosto un Tullo anzichè un Numa. poichè i tempi non gli permettevano un governo pacifico pari a quello di Numa, egli volle, almeno in questo, seguire l'esempio dell'avo, nello stabilire le cerimonie religiose, che dovessero praticarsi in tempo di guerra, al modo stesso che Numa aveva stabilite le cerimonie religiose, che dovevano aver luogo in tempo di pace. proderentur fossero istituite cfr. 11, 7. aliquo ritu appartiene esclusivamente a indicerentur. ius quo res repetuntur, la cerimonia per mezzo di cui si domandava la riparazione dei danni sofferti (clarigatio), cfr. Cic. off. 1, 11, 36 ac belli quidem aequitas sanctissime fetiali populi R. iure perscripta est. Ex quo intellegi potest, nullum bellum esse iustum, nisi quod aut rebus repetitis geratur aut denuntiatum ante sit et indictum. Livio qui attinge forse ad una tradizione, affatto diversa da quella che egli ha seguìta in 24, 4, dove si parla dell'istituzione dei Feziali come già esistente a tempo di Tullo. Per conciliare insieme le due opposte tradizioni, egli attribuisce ad Anco Marzio soltanto la redazione scritta del ius fetiale.

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Aequiculi o Aequicoli, un ramo degli Equi, di quella popolazione cioè che essendo dedita alle rapine ed alle lotte diede non poco a fare ai Romani, abitavano nel territorio dei Sabini, nella regione che da essi piglia anch'oggi il nome di Cicolana (Aequiculanum). Sebbene il loro nome di Aequi-culi sia formato probabilmente sull'analogia di Siculi Saticuli ecc., pure sembra che gli antichi, nell'attribuire ad essi l'origine del diritto Feziale, li considerassero senz'altro come il popolo qui aequom colunt, cfr. C. I. L. 1, p. 564 Erresius rex Aequeicolus; is preimus ius fetiale paravit; inde P. R. discipleinam excepit. nunc anch'ora 6. legatus pater patratus, nuntius pop. Rom. ad fines, cfr. Dion 2. 72 ἐπιστὰς τοῖς ὁρίοις. res repetere

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= τὰ δίκαια

lanae velamen est

velato filo << audi, Iuppiter » inquit; << audite fines >> cuiuscumque gentis sunt, nominat —; 7 « audiat fas: ego sum publicus nuntius populi Romani; iuste pieque legatus venio verbisque meis fides sit ». Peragit deinde postulata. Inde Iovem testem facit: « si ego iniuste impieque illos homines illasque res dedier mihi exposco, tum patriae 8 compotem me numquam siris esse ». Haec, cum fines suprascandit, haec, quicumque ei primus vir obvius fuerit, haec portam ingrediens, haec forum ingressus paucis verbis carminis 9 concipiendique iuris iurandi mutatis peragit. Si non deduntur, quos exposcit, diebus tribus et triginta tot enim sollemnes 10 sunt peractis bellum ita indicit: « audi, Iuppiter, et tu, Iane Quirine, dique omnes caelestes, vosque terrestres, vosque inferni,

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fides, cfr. 16, 8.

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αἰτεῖν dimandare la riparazione dei danni sofferti e la cessione dei colpevoli filo, un filo di lana o pure una benda legata attorno al berretto (apex), che portavano sul capo i sacerdoti. velamen &π. εἰρ., cfr. Verg. Ge. 3, 313: altrove Livio adopera in sua vece velamentum. Iuppiter: si invocavano gli dèi, perchè pigliassero parte ai fatti e conoscessero chi era il colpevole, cfr. 24, 8. inquit precede comunemente, anche in Livio, al nome della persona cui un discorso è diretto, cfr. 28, 9. audiat: il cong. si sostituisce all'imp. soltanto per mutare l'espressione, cfr. 8, 5, 8 audite ius fasque. fas la giustizia divina, qui personificata. iuste " in conformità del diritto umano pie in conf. d. d. divino cfr. 22, 4. peragit, cfr. 18, 10. 7. iniuste impie contro il diritto umano e divino cioè consciamente violandoli. illos... illas, nominati cioè nei postulata. dedier dedi. Si noti quest'antica forma, non adoperata altrove da Livio, e accanto ad essa il velamen del § 6 e il suprascandit del § 8 (cfr. superscandens 7, 36, 2): tutte queste espressioni arcaiche si trovavano forse nella formola antica, che a Livio era ancor dato di consultare. p. compotem: chi giurava coscientemente il falso era impedito dal pigliar più parte ai publica sacra, e quindi costretto ad andar lungi dalla patria. siveris, forma arcaica usata nelle preghiere, cfr. sirit 28, 28, 11. 8. quicumque vir viro quicumque ei pr. ob., cfr. 6, 4. — fuerit. Si noti questo cong. assai raro in unione di quicumque: il Weissenborn propone di mutarlo in fuit. carminis, cfr. 26, 6. concipiendique: il giuramento veniva dato, allora come sempre, con una formola solenne e già prestabilita, donde ebbe origine la frase conceptis verbis iurare, cfr. 43, 16, 15; Verg. 12, 13 concipe foedus; Cic. ad Qu. fr. 2, 15 vadimonium concipere. 9. quos, cioè i colpevoli. sollemnes di rito, è questo il termine prestabilito dal ius fetiale, per dar principio alle ostilità: altrove questo termine è ristretto a 30 giorni, cfr. Dion. 8, 37. indicit, cfr. § 13. 10. Ianus aveva il soprannome di Quirinus, come afferma Macr. 1, 9, 16 quasi bellorum potens ab hasta, quam Sabini cumin vocant. caelestes. Gli dèi si dividevano comunemente in superi et inferi (cfr. 24, 38, 8 superi infernique di), e solo qui e in qualche altro luogo è aggiunta la terza categoria dei terrestres o medii. Quando

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siris:

audite: ego vos testor, populum illum »

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quicumque est,

nominat « iniustum esse neque ius persolvere. Sed de istis rebus in patria maiores natu consulemus, quo pacto ius nostrum adipiscamur ». Cum his nuntius Romam ad consulendum redit. 11 Confestim rex his ferme verbis patres consulebat: « quarum rerum, litium, causarum condixit pater patratus populi Romani Quiritium patri patrato Priscorum Latinorum hominibusque Priscis Latinis, quas res nec dederunt nec solverunt nec fecerunt, quas res dari solvi fieri oportuit, dic » inquit ei, quem primum

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con

gli dei non si potevano invocare tutti quanti uno per uno, si ricorreva all'espediente di invocarli per classe, confuse, generaliter invocare deos. maiores natu = seniores, senatores, patres o consilium regis. sulemus. Era propriamente il re che interrogava il parere del senato e ne provocava una deliberazione, cfr. § 11. Come di qui apparisce chiaramente, il pater patratus apparteneva anch'egli al numero dei senatori, cfr. Dion. 2, 72 ἐκ τῶν ἀρίστων οἴκων. cum his con questa dichiarazione cioè dopo di aver pronunziate queste parole, cfr. Dion. 2, 72 ἀπῄει τοσοῦτο μόνον εἰπὼν ὅτι βουλεύσεται περὶ αὐτῶν ἡ ̔Ρωμαίων πόλις. consulendum a domandar consiglio si trova adoperato così assolutamente anche in 37, 6 e 21, 16, 2. 11. patres consulebat. Abbiamo qui una descrizione del modo come funzionava il senato a tempo dei re: esso era costituito dei maiores natu o patres, i quali venivano interrogati dal re uno per uno secondo un ordine prestabilito, così come a tempo della repubblica furono interrogati dai consoli. quarum condixit. Si noti l'omissione del dimostrativo de iis (rebus) dopo censes, e si consideri che il gen. in dipendenza da condixit adoperato in quest'antica formola sull'analogia di capitis ... pecuniae ... perduellionis iudicare alicui 26, 3, 9, cfr. Gaio 4, 21 ego tibi sestertium X milium iudicato manum inicio. rerum le cose rubate cfr. res repetere. litium oggetto di litigio e contesa cfr. 3, 72, 2. causarum comprende l'indicazione di tutti i vantaggi, che il popolo ritraeva dalle cose rubate, cfr. Dig. 50, 16, 246. Il Novák sostituisce invece causa a causarum, dando così alla frase un costrutto più regolare, ma forse meno arcaico. — condixit, cfr. Paul. Diac. p. 64 condicere est dicendo denuntiare, cioè fissare il termine dentro il quale le cose rubate possono essere restituite. · pater patratus, qual rappresentante dei diritti e delle lagnanze del popolo Romano. Priscorum Latinorum, cfr. n. 3, 7 e Paul, Diac. p. 226 Prisci Latini proprie appellati sunt hi qui priusquam conderetur Roma fuerunt... Priscus Tarquinius est dictus quia prius fuit quam Superbus Tarquinius. hominibus: si trova aggiunta tanto qui che nel § 13 questa indicazione così generica, per contrapporre al pater patratus tutti i Latini singolarmente presi. dederunt etc. Nella condictio o si domandava la restituzione della cosa rubata (dare reddere), o pur l'equivalente in danaro di essa (solvere), ovvero anche il risarcimento dei danni sofferti col ridurre le cose al loro pristino stato (facere), cfr. Gaio 4, 5 actiones, quibus dari fieri oportere intendimus, condictiones appellantur. fieri. Nei mscr. si nota una inversione, che contraddice

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12 sententiam rogabat, « quid censes?» Tum ille: « puro pioque duello quaerendas censeo itaque consentio consciscoque ». Inde ordine alii rogabantur; quandoque pars maior eorum, qui aderant, in eandem sententiam ibat, bellum erat consensum. Fieri solitum, ut fetialis hastam ferratam aut sanguineam praeustam ad fines eorum ferret, et non minus tribus puberibus praesen13 tibus diceret: « quod populi Priscorum Latinorum hominesque Prisci Latini adversus populum Romanum Quiritium fecerunt deliquerunt, quod populus Romanus Quiritium bellum cum Priscis Latinis iussit esse senatusque populi Romani Quiritium censuit, consensit, conscivit, ut bellum cum Priscis Latinis fieret, ob eam rem ego populusque Romanus populis Priscorum Latinorum hominibusque Priscis Latinis bellum indico facioque >>. 14 Id ubi dixisset, hastam in fines eorum emittebat. Hoc tum modo

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alla formola precedente, fieri è anteposto a solvi. quid censes è usato indipendentemente da dic, alla maniera dei poeti comici. Con questa formola, o pure con l'altra quid fieri placet, il presidente del senato invitava i singoli senatori a pronunziare il loro parere sull'affare in questione. 12. puro, cioè non macchiato di ingiustizia, cfr. § 6 iustum. pio, in quanto era stato già innanzi intimato con tutte le cerimonie religiose di rito. duello, cfr. 26, 6. quaerendas si dovessero ottenere itaque et ita, perchè consentio e conscisco formano un concetto solo con censeo, cfr. 4, 8 e 8, 6, 8 consensit et senatus bellum; 10, 18, 2 Tusci consciverant bellum. ibat, o anche pedibus ibat (9, 8, 13), è la frase che si adopera comunemente a riguardo delle deliberazioni del senato, le quali erano prese per discessionem, cioè coll'occupare che facevano i senatori i due punti opposti dell'aula delle loro riunioni, secondo la diversa sentenza da essi abbracciata, cfr. 3, 41, 1.

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consensum,

cfr. 8, 6, 8 consentire bellum e 24, 37, 11 consensa contio est. Cicerone non congiunge con consentire altro che l'acc. neutro del pronome, cfr. de fin. 5, 35. — fieri: questa osservazione generale serve come d'introduzione al racconto che segue. sanguineam praeustam. Questa lancia, dovendo servire come simbolo di guerra, aveva per solito la punta di ferro ovvero anche l'estremità di legno, ma indurato nel fuoco, ed era poi o intrisa nel sangue o pur colorata in rosso, cfr. Tac. Ann. 2, 14 praeusta aut brevia tela, Germ. 1, 4 cruentam frameam; Amm. Marcel. 19, 2, 6 hastam infectam sanguine ritu patrio coniecerat fetialis; Dione Cass. 71, 73 τὸ δόρυ τὸ αἱματωδές. - 13. pop. Rom.: è questo il primo luogo in cui si accenni a una deliberazione popolare. indico: L. adopera la pr. pers., perchè il feziale è un rappresentante del popolo, sicchè la frase ego populusque Romanus equivale propriamente a ego pro pop. Rom. facioque: col gettar lungi da sè la lancia, egli dichiarava simbolicamente la guerra, cfr. 21, 53, 11. ubi dixisset, cong. iterativo, per indicare che questa era la formola che si ripeteva invariabilmente nelle singole circostanze. Quest'uso del cong. iterativo è abbastanza frequente

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