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XLII. Nec iam publicis magis consiliis Servius quam privatis munire opes, et ne, qualis Anci liberum animus adversus Tarquinium fuerat, talis adversus se Tarquini liberum esset, duas filias iuvenibus regiis, Lucio atque Arrunti Tarquiniis, 2 iungit. Nec rupit tamen fati necessitatem humanis consiliis, quin invidia regni etiam inter domesticos infida omnia atque infesta faceret. Peropportune ad praesentis quietem status bellum cum Veientibus iam enim indutiae exierant aliisque Etruscis 3 sumptum. In eo bello et virtus et fortuna enituit Tulli; fusoque

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antica città dei Volsci nel Lazio, la quale fu più tardi conquistata da Tarq. il Superbo, cfr. 53, 2. ierant, cfr. quanto all'uso del piucchepf. col valore di perfetto 21, 39, 4.

XLII. 1. publicis consiliis, cioè coll'apparire in pubblico e coll'esercitare le funzioni di re, come si è dinanzi osservato. privatis, col creare nuove relazioni familiari, fortificando il suo regno per mezzo di parentadi. iuvenibus regiis. Avendo Servio menata in isposa la loro sorella (cfr. 39, 4), Lucio ed Arrunte venivano ad esser cognati di Servio, e quindi zii delle due figliuole di lui, che essi condussero spose. Or poichè il matrimonio tra zio e nipote, finchè non ne fu dato l'esempio dall'imp. Claudio (cfr. Tac. Ann. 12, 6), fu ritenuto in Roma come incestuoso, si può dubitare del grado di parentela, che intercesse tra Servio e i figliuoli di Tarquinio; come del resto fa lo stesso Livio in 45, 4, dove espone il dubbio se Lucio ed Arrunte si debban considerare quali figli o pur quali nipoti di Tarq. Prisco. 2. necessitatem: v'è qui reminiscenza di una frase di Virgilio (cfr. 6, 882 si qua fata aspera rumpas) e il ritorno di un pensiero predominante in Livio (cfr. 8, 24, 4 ut ferme fugiendo in media fata ruitur; 9, 4, 16 pareatur necessitati quam ne di quidem superant), pensiero che è a lui comune collo storico greco Erodoto, cfr. 1, 91 τὴν πεπρωμένην μοῖραν ἀδύνατά ἐστιν ἀποφυγέειν καὶ dey. quin: preferiamo, d'accordo col Madvig e col Weissenborn, questa che è la lezione dei mscr. più recenti all'altra più antica qui cum, che non dà alcun senso e che fu probabilmente sostituita alla lezione vera dagli antichi copisti, i quali non videro che quin ha in questo luogo il senso di quae non o pure di ut non, cfr. 3, 45 e Tac. Ann. 15. 44 non ope humana decedebat infamia, quin (= ut non) iussum incendium crederetur. regni gen. obiettivo: l'invidia che si ha contro di colui che è al governo o che si trova, in generale, collocato più in alto. ad praesentis q. status ad statum in praesentia quietum conservandum: la guerra esterna impedì per un po' di tempo che scoppiassero le discordie all'interno. indutiae exierant. Non si sa bene di qual tregua Livio intenda parlare, perchè egli non fa punto cenno di una guerra combattuta da Tarquinio contro gli Etruschi (cfr. Dion. 3, 57), nè fa menzione di Veio dopo il 33, 9. Però è probabile che nel 37, 2, in quel cenno così fugace ed intralciato che si fa della guerra Sabina, egli abbia omesso di ricordare gli Etruschi, che secondo Dionigi, come abbiam già visto, vi presero una parte assai notevole. sumptum "intrapreso cfr. 36, 2, 3 duellum quod cum rege Antiocho sumi populus

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ingenti hostium exercitu haud dubius rex, seu patrum seu plebis animos periclitaretur, Romam rediit.

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Adgrediturque inde ad pacis longe maximum opus, ut, quem ad modum Numa divini auctor iuris fuisset, ita Servium conditorem omnis in civitate discriminis ordinumque, quibus inter gradus dignitatis fortunaeque aliquid interlucet, posteri fama ferrent. Censum enim instituit, rem saluberrimam tanto futuro 5

iussit.

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3. haud dubius rex. Poichè la sua elezione non era stata votata dal popolo e sancita dal senato, egli non poteva considerarsi come re effettivo (ratus); ma, in seguito al successo militare conseguito contro i Veienti, egli poteva ormai esser sicuro dell'appoggio del popolo e del senato, ove avesse avuto bisogno di farvi ricorso (periclitaretur). periclitaretur: il cong. dipende da haud dubius, cfr. riguardo alla frase qui usata 6, 15, periclitari voluntates. 4. adgreditur si costruisce dagli scrittori classici costantemente con ad, quando ha il senso di intraprendere,, cfr. Cic. n. d. 3, 3, 7 aggredior ad hanc disputationem. conditorem, senza il concorso del popolo, cfr. 19, 1 e Tac. Ann. 3, 26 praecipuus Servius Tullius sanctor legum fuit, quis etiam reges obtempediscriminis è l'espressione generica, ordinum invece l'espressione specifica e si riferisce alle diverse classi della cittadinanza, stabilite sulla base del censo, cfr. 39, 44, 1 e Cic. de rep. 4, 2; de leg. 3, 7, 44. — quibus, cioè ordinibus: colla distinzione delle diverse classi, stabilite sulla base del censo, egli venne nettamente a distinguere le attribuzioni dei singoli cittadini. inter gradus dignitatis fortunaeque. Poichè le attribuzioni e gli ufficii pubblici (dignitatis) erano in relazione diretta colle sostanze da ciascuno possedute (in questo senso fortuna è sempre al sing., cfr. 35, 22, 4), ne derivava tra i diversi ordini sociali una differenza netta e precisa. Fu questo il punto, in cui la costituz. di Servio si distinse da quella spartana di Licurgo, secondo la quale furono pareggiati i diritti e le sostanze di tutti i cittadini, cfr. 34, 31, 18 noster legum lator non voluit excellere unum aut alterum ordinem in civitate sed per aequationem (" eguaglianza,) fortunae et dignitatis fore credidit ut etc.

rarent.

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aliquid interlucet, si ottiene una perfetta distinzione. Riguardo a quest'uso e significato speciale del verbo interlucere, che ricorre sempre altrove in Livio col significato proprio di "luccicare, (cfr. 29, 14, 3 nocte interluxisse), cfr. Auct. ad Her. 3, 19 dissimiles forma atque natura loci comparandi sunt, ut distincte interlucere possint e Livio 34, 54, 5 omnia discrimina talia quibus ordines discernerentur. fama ferrent chiamassero in segno di onore cfr. praef. 7. census, estratto dalla radice del v. cens-eo, corrisponde al gr. tiunois ed indica l'estimativa in danaro dei beni posseduti dai cittadini, sia patrizii sia plebei, cfr. Varr. 1. 1. 5, 81 censor ad quoius censionem, id est arbitrium, censeretur populus: i nomi censor e censura sono derivati direttamente da census. saluberrimam, cfr. Dion. 4, 16 σοφώτατον ἁπάντων πολιτευ μάτων εἰσηγήσατο καὶ μεγίστων Ρωμαίοις ἀγαθῶν αἴτιος e Cic. de rep. 2, 22, 40 is valebat in suffragio plurimum cuius plurimum intererat esse in optimo statu civitatem. tanto futuro = quod tantum futurum erat,

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imperio, ex quo belli pacisque munia non viritim, ut ante, sed pro habitu pecuniarum fierent; tum classes centuriasque et hunc ordinem ex censu discripsit vel paci decorum vel bello.

XLIII. Ex iis, qui centum milium aeris aut maiorem censum

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cfr. 21, 4, 10. ex quo in seguito al quale non viritim. Mentre prima il servizio militare ed i tributi erano imposti, indistintamente e senza alcuna differenza, a tutti quelli che entravano a far parte della cittadinanza; per effetto della costituzione, data da Servio Tullio, non solo vennero chiamati a contribuire ai carichi dello Stato tutti i possidenti (assidui, locupletes, cfr. 43, 8), e quindi anche i clienti ed i plebei, ma questi stessi in diversa misura, in corrispondenza dei loro averi (pro habitu pecuniarum). tum, dopo l'introduzione del censo, sul quale poggia tutta la divisione in classi e in centurie. classis, dal dorico xλãois (ion. ×λñois), è connesso con calare (cfr. 43, 11 vocabantur) ed indica la distribuzione del popolo rispetto al servizio militare, a cui tutti quanti erano obbligati a pigliar parte, ma in diversa misura, secondo che si dirà in seguito. Si ricordi l'uso della voce classis nel senso di armata navale, e Dion. 4, 18 ἃς ̔Ρωμαῖοι καλοῦσι κλάσεις, τὰς Ελληνικὰς κλήσεις παρονομάσαντες. centurias si riferisce alla sud

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divisione delle singole classi, sopratutto sotto il rispetto politico. hunc ordinem significa assai probabilmente il seguente ordinamento (cfr. però 43, 12, dove hunc equivale a presente,), ma potrebbe anche far le veci di harum ordinem e riferirsi alla distribuzione, secondo cui erano ordinate le classi e le centurie; nel qual senso si concilierebbe assai bene col discripsit che segue, equivalente a distribuì, cfr. 43, 7 e Cic. legg. 19, 44. vel... vel, cfr. n. 1, 8. decorum, cfr. praef. n. 6: la costituzione di Servio ebbe un doppio carattere, politico e militare. XLIII. 1. ex iis. Sebbene Livio, al pari di Cicerone e di altri, rappresenti in moneta il censo delle singole classi, quale fu stabilito da Servio; pure egli è certo, che quelle somme corrispondono soltanto alla riduzione che ne fu fatta in un'età assai più tarda. Perchè a tempo di Servio non esisteva ancora la moneta propriamente detta, ma serviva quale mezzo di scambio nel commercio tra privati, oltre al bestiame, come presso tutti gli altri popoli primitivi (cfr. Varr. 1. 1. 5, 19 pecus a quo pecunia universa, quod in pecore tum pecunia consistebat pastoribus, Festo, p. 213), anche il bronzo. Il quale, mentre era stato dapprima ammesso nel commercio allo stato naturale (aes rude, raudus, raudusculum), fu poi munito da Servio del suggello dello stato, che ne garantisse la purezza ma non il peso. Il peso veniva determinato nelle singole circostanze per mezzo della bilancia (si ricordi il v. aestimare ed il contratto per aes et libram e si metta a raffronto Plinio 33, 3, 43 Servius rex primus signavit aes, antea rudi usos Romae Timaeus tradit. Signatum est nota pecudum unde et pecunia appellata; id. 18, 3 Servius rex ovium boumque effigie primus aes signavit; Varr. r. r. 2, 1 aes antiquissimum quod est flatum pecore est notatum; id. pr. Nonio aut bovem aut ovem aut vervecem habet signum; Plut. Poplic. 11 tav voμioμáτwv τοῖς παλαιοτάτοις βοῦν ἐπεχάραττον ἢ πρόβατον ἢ σῦν; di simili pezzi di bronzo si è trovata una gran quantità nel tesoro di Volci (v. Mommsen, Röm. Münzwesen, p. 229). Tale stato di cose durò forse fino all'epoca

haberent, octoginta confecit centurias, quadragenas seniorum ac

asse

dei decemviri (451 av. Cr. 302 U. c.), tra le cui leggi doveva trovarsi probabilmente anche quella riguardante la monetazione, come par lecito di concludere non solo dal fatto, che nelle leggi delle dodici tavole si trovano le prime indicazioni di somme di denaro, ma anche più dalla considerazione, che anteriormente a quell'epoca le multe erano gnate in bestiame e furono convertite in denaro soltanto per effetto della legge Iulia Papiria dell'a. 324 U. c. /430 av. Cr. (Cic. de rep. 1, 35 gratamque etiam illam rem quarto circiter et quinquagesimo anno post primos consules de multae sacramento Sp. Tarpeius et A. Aternius consules comitiis centuriatis tulerunt. Annis postea XX ex eo, quod L. Papirius P. Pinarius censores multis dicendis vim armentorum a privatis in publicum averterant, levis aestimatio pecudum in multa lege C. Iulii P. Papiri consulum constituta est; Liv. 4, 30, 3 legem de multarum aestimatione ipsi (L. Papirius Crassus L. Iulius coss.) praeoccupaverunt ferre; Gell. 11, 1, 2 idcirco postea lege Aternia constituti sunt in oves singulas aeris deni, in boves aeris centeni; Festo p. 202, 237; Dion. 10, 50). Intorno a questo stesso giro di tempo ebbe anche luogo la trasformazione del censo di Servio Tullio sulla base di quella, che deve considerarsi come la prima moneta romana, l'aes grave, corrispondente al peso di una libra di bronzo (cfr. Varrone r. r. 1, 10 id iugerum scripula CCLXXXVIII. quantum as antiquus noster ante bellum Punicum pendebat; id. 1. 1. 5, 170 as erat libra pondus; ib. 174 libram pondo as valebat; Plin. 33, 3, 42 libralis, unde etiam nunc libella dicitur et dupondius, adpendebatur assis, quare aeris gravis poena dicta). Però, poichè Livio adopera nel contrassegnarlo l'espressione più semplice aeris (cfr. 2, 52, 5), invece dell'altra gravis aeris (la quale ricorre in 4, 41, 10. 45, 2; 5, 12, 1. 29, 7. 32, 9. 46, 5), può ritenersi come assai plausibile l'opinione di coloro, i quali assegnano al censo liviano delle singole classi non già il valore dell'asse primitivo, o per così dire decemvirale, ma quello assai più basso a cui esso fu ridotto a tempo della prima guerra punica (490 U. c., cfr. Festo p. 98: grave aes dictum a pondere, quia deni asses singuli pondo libras efficiebant, dena. rium ab hoc ipso numero dictum: sed bello Punico (l'espressione varroniana ante bellum Punicum dimostra come questa guerra non potesse essere che la prima) Romanus pressus aere alieno ex singulis assibus librariis senos fecit, qui tantundem ut illi valerent; id. p. 347: sextantarii asses in usu esse coeperunt ex eo tempore, quo propter bellum Punicum secundum (?), quod cum Hannibale gestum est, decrevere patres ut ex assibus, qui tum erant librarii, fierent sextantarii; per quos cum solvi coeptum esset et populus aere alieno liberaretur et privati, quibus debitum publice solvi oportebat, non magno detrimento afficerentur; Plin. 33, 3, 44 argentum signatum anno urbis CCCCLXXXV Q. Ogulnio C. Fabio coss. quinque annis ante primum bellum Punicum et placuit denarium pro decem libris valere aeris, quinarium pro quinque, sestertium pro dupondio ac semisse: librale autem pondus aeris imminutum est bello punico primo, cum impensis res publica non sufficeret constitutumque, ut asses sextantario pondere ferirentur. Ita quinque partes lucri factae dissolutumque aes alienum... postea Hannibale urgente Q. Fabio maximo dictatore asses unciales facti placuitque (in seguito alla lex Flaminia minus solvendi) denarium sedecim assibus permutari, quinarium octonis, sestertium quaternis: ita respublica dimidium

iuniorum: prima classis omnes appellati; seniores ad urbis cu

lucrata est. In militari tamen stipendio semper denarius pro decem assibus datus est: notae argenti fuere bigae atquae quadrigae; inde bigati quadrigatique dicti). Tale ipotesi si fa assai verosimile per la seguente considerazione, che nell'anno 335 U. c. /419 av. Cr. si consideravano ancora come ricchezze 10,000 libre di bronzo (cfr. Liv. 4, 45, 2 indicibus dena milia gravis aeris, quae tum divitiae habebantur, ex aerario numerata), mentre invece i 10,000 assi (decem milia aeris) della quinta classe Serviana rappresentano appena il minimum della proprietà, o per dir meglio quel tanto che bastava per non essere compresi addirittura tra i poveri (cfr. Dion. 7, 59). Essendosi però a distanza di pochi anni, tra la prima e la seconda guerra punica, verificati i due più notevoli cambiamenti che ebbero luogo nel valore dell'asse romano, il quale da librale quale era dianzi passò dapprima (490 U. c.) a sestantario, cioè a un sesto del suo peso primitivo, e quindi ad unciale (537 U. c.), cioè a un dodicesimo dello stesso; potrebbe restar dubbio a quale di queste due modificazioni si debbano riferire le somme liviane, se non pensassimo che la riforma della costituzione di Servio Tullio si presuppone da Livio come già compiuta nella terza delle sue decadi (cfr. 24, 7-9; 26, 22; 27, 6), che pur si apre coll'a. 536 della storia di Roma, e che quindi essa dovette aver luogo, quando delle due modificazioni non era compiuta che la prima. Nè le modificazioni successive del valore dell'asse contribuirono a trasformarla ulteriormente; perchè quelle somme, segnate nelle tabulae censoriae e tramandate alla posterità dagli annalisti contemporanei, si sottrassero ad ogni altra alterazione, tanto in seguito alla creazione dell'asse unciale quanto a quella del semi-unciale (colla lex Papiria dell'a. 665 U. c.?), a quel modo istesso che non ebbe alcuna influenza sulla paga dei soldati il fatto, che a partire dalla lex Flaminia minus solvendi il denaro non fu più considerato come equivalente a. 10, ma a 16 assi (cfr. il luogo di Plinio già citato e Festo p. 347). Di che ci lasciarono una conferma assai sicura Polibio e Dionigi, quando di fronte ai 100,000 assi di Livio assegnarono alla prima classe un censo di 100 mine o 10,000 dramme 10,000 denari romani o pure 160,000 assi unciali. Or poichè l'asse sestantario di due once, in cui Livio ha computato il censo delle singole classi, corrispondeva in realtà non più alla sesta, ma alla quinta parte dell'asse librale, per essersi questo ridotto normalmente nell'uso da 12 a 10 once, ne deriva che il censo delle singole classi corrispondeva propriamente a 20,000, 15,000, 10,000, 5000, 2500 assi librali o, che è lo stesso, a 20, 15, 10, 2 1/2 iugeri di terreno, computando a 1000 assi librali ogni iugero di terra. E se oltre a ciò si considera ancora che il denaro romano, senza tener conto della maggiore purezza dell'argento antico, corrispondeva per peso a 16 o 17 soldi della nostra lira, si vedrà chiaramente che il censo delle singole classi era tenuto ad un livello piuttosto basso, e quello della prima classe corrispondeva ad un minimum di 8333 lire italiane. Il che, mentre era richiesto dal bisogno di comprendere nella prima classe 8/17 degli assidui o locupletes, d'altra parte spiega assai chiaramente come mai L. Tarquizio, che fu nominato maestro dei cavalieri e apparteneva alla prima classe, potesse essere contrassegnato da Livio quale pauper, cfr. 3, 27, 1 postero die dictator cum ante lucem

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