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potuto arrivare ancora a capo della sua impresa (68). Non si sa se lavorassero a questo stesso fine anche Nicomaco Flaviano, proconsole d'Asia nel 383 e prefetto del pretorio nel 431, e Nicomaco Destro, prefetto della città nel medesimo tempo, i cui nomi si trovan congiunti nei codici a quello di Vittoriano, il primo pei libri VI, VII ed VIII ed il secondo per il III, IV e V (69).

Non è d'altro lato neppure ben chiara la relazione che intercede tra gli attuali codici di Livio e questa primitiva redazione. Tenendo presente la lezione più accurata dei manoscritti, e non distaccandoci da essa tranne che in casi di supremo bisogno, e quando le ragioni dell'emendazione riuscissero perfettamente evidenti, noi abbiam mirato soprattutto a interpretare e illuminare il pensiero di Livio, nella maniera più perfetta che per noi si potesse. Nè abbiam rinunziato ad alcuno di quei còmpiti, che s'impongono ad un editore solerte e coscenzioso, che vive in mezzo a tanta luce di cultura storica, quali sono la critica del testo e lo studio della lingua e della grammatica speciale dell'autore, che si interpreta. Ma, assurgendo di volta in volta da questo còmpito ad un altro più arduo ed elevato, abbiamo atteso con particolar cura a mettere in luce non solamente il pensiero di Livio, ma la realtà storica che da esso traspare come da velo sottilissimo. Diranno i lettori benevoli e coscenziosi, se nel tentarlo non abbiamo ecceduto quei confini di prudente riserbo, in cui l'indagine critica sulla primitiva storia di Roma deve oggi contenersi.

Napoli, calendimaggio, 1919.

(68) A termine di tutti quanti i libri della prima decade si legge comunemente nei codici : « Victorianus v. cl. emendabam domnis Symmachis ». Symm. Epist. 9, 13: munus totius Liviani operis, quod spopondi, etiamnunc diligentia emendationis moratur ». Non è improbabile che di Livio si sieno salvati soltanto quei libri, che furono emendati per incarico di Simmaco, a quel modo che di Plauto non sono arrivate sino a noi che le 21 fabulae considerate come genuine da Varrone.

(69) Nei codici si legge: « Nicomachus Flavianus v. cl. III. praef. urbis emendavi apud Hennam » e «Nicomachus Dexter v. c. emendavi ad exemplum parentis mei Clementiani ».

TITI LIVE

AB URBE

CONDITA

LIBER I.

PRAEFATIO.

Facturusne operae pretium sim, si a primordio urbis res populi Romani perscripserim, nec satis scio nec, si sciam, dicere

Praefatio. 1. In questa splendida Introduzione all'opera sua, Livio espone in forma solenne i sentimenti e i motivi che lo indussero a scrivere la storia di Roma, della cui grandezza fin dal principio egli si mostra intimamente e profondamente compreso. — facturusne ... sim è un tetrametro dattilico. Quint. Inst. or. 9, 4, 74 osserva: T. Livius hexametri exordio coepit: facturusne operae pretium sim, nam ita edidit, estque melius quam quomodo emendatur, cioè dell'altra lezione: facturusne sim operae pretium, che i mscr. ci han conservata. Sebbene gli antichi considerassero come estremamente difettoso l'innesto di versi o di piccole serie metriche al discorso in prosa (Cic. Or. 56, 189), e Livio stesso mostri altrove evidentemente lo studio posto per evitarle (cfr. § 8 ponam discrimine invece di discrimine ponam; 1, 14, 7 subsidere in insidiis iussit invece di i. i. subsidere iussit), pure esse ricorrono anche in altri punti dell'opera sua; cfr. i segg. esametri: 4, 57, 7 Volscis intra Moenia compulsis nec defendentibus agros, 22, 50, 10 haec ubi dicta dedit stringit gladium cuneoque Facto per medios. Il tetrametro dattilico, con cui qui si apre la storia di Roma, ha raffronto coll'esametro che dà principio agli annali di Tacito: urbem Romam a principio reges habuere; cfr. anche Cic. p. Arch. 1, 1, Verr. 4, 50, 110. f. operae pretium: far cosa che metta conto di fare, o pur di cui si senta realmente bisogno, o tale il cui effetto risponda interamente alla fatica che vi si spende dattorno; cfr. operae est 24, 6 e operae pretium est 3, 26, 7. La frase operae pretium corrisponde in certo modo ad opera magni pretii, cioè opera pregevole, importante, di valore res o pure res gestas perscripserim è un perf. del cong., che fa le veci del cong. del futurum exactum; difatti questo periodo ipotetico trasportato nell'oratio recta avrebbe la seguente forma: faciam... si perscripsero. ausim, per *aud-sim, è una forma arcaica di perfetto del cong. (cfr. fac-sim, dic-sim, auc-sim, capsim, occěpsim), che fa le veci di ausus sim: essa ha sempre significato poE. COCCHIA, Tito Livio, I, 2a ediz.

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la storia

1

2 ausim, quippe qui cum vetérem tum vulgatam esse rem videam, dum novi semper scriptores aut in rebus certius aliquid allaturos se aut scribendi arte rudem vetustatem superaturos 3 credunt. Utcumque erit, iuvabit tamen rerum gestarum memoriae principis terrarum populi pro virili parte et ipsum con

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tenziale e ricorre frequentemente sia presso i poeti sia nei prosatori (e una volta sola anche in Cic. Br. 5, 18 e nell'Auct. ad Herenn. 4, 3, 5), e in quest'ulimi quasi esclusivamente in proposizioni negative (unica eccezione.in Livio è il 6, 40, 5). 2. cum veterem tum vulgatam rem. Alcuni credono che Livio qui accenni alla consuetudine assai antica e quasi costante presso gli Storici, di far parola nell'Introduzione alle lore pere, sia per un verso sia per un altro, dell'importanza di esse, e di affermare ingenuamente se operae pretium esse facturos; la qual presunzione od abuso gli torrebbe l'ardimento di affermare altrettanto di sè. Ma, secondo ogni probabilità, con quella frase egli volle ben piuttosto riferirsi al fatto, che la narrazione della storia di Roma fin dalle sue origini (a primordio urbis res populi Romani perscribere), a partir da Catone, era stato come il tema prediletto di tanti scrittori, i quali avevan creduto di poter contribuire coll'opera propria o ad accertar meglio i fatti, o pure a conferir loro maggior notorietà. Contro la prima interpretazione sta la frase dum credunt, dove si aspetterebbe forse meglio in quel caso una proposizione infinitiva (cfr. l'it.: trovando esser questa una consuetudine antica e costante che ogni nuovo scrittore creda „). dum è qui adoperato nel senso causale di perchè che gli attribuisce talvolta anche Cic. (cfr. ad Att. 1, 16, 2) e ben più spesso Livio (cfr. 2, 64, 6 dum se putant vincere, vicere); ed è messo a dichiarazione del senso assai indeterminato della frase vulgatam rem che precede. novi semper script. novi semper exsistunt scriptores qui credunt; cfr. 8, 1, 9 suos semper hostes, 5, 42, 6 novae semper cladis. scriptores = rerum gestarum scriptores, cioè gli scrittori di storia; perchè le voci historia e historicus, adoperate già da Cicerone, non ricorrono mai in Livio. in rebus nel racconto dei fatti,; cfr. res nella frase res perscribere. — ́rudem vetustatem, cfr. 3, 32, 8 Menenius prisco illo dicendi et horrido modo narrasse fertur. 3. utcumque erit è messo direttamente in relazione colla frase facturusne operae pretium sim, e serve ad esprimere il seguente pensiero: qualunque sia il giudizio che si porterà dell'opera mia, io troverò sempre soddisfazione (iuvabit) e premio (praemium § 5) nell'averla composta. memoriae rerum g. pop. princ. terr.: una simile agglomerazione di genitivi, la cui reciproca dipendenza risulta di per sè stessa evidente, si incontra anche altrove in Livio, cfr. 38, 1; 23, 30, 3. pro virili parte: per quella parte che spetta a ciascun uomo (cfr. pars virilis 6, 11, 5), per quello che un uomo può compiere o fare; cfr. 7, 7, 5 plus quam pro virili parte adnitendum. In alcuni luoghi, come ad es. in 3, 71, 8 e 10, 8, 4, Livio segue una collocazione di parole affatto diversa, e pospone in modo interamente contrario all'uso dei classici e di Cicerone virilis a pars. et ipsum = et me ipsum" anch'io (xai avtór). Il costrutto et ipse non s'incontra mai nè in Cesare nè in Sallustio, e sol rare volte in Cicerone (cfr. de inv. 2, 2, 7, p. Caec., 20. 58

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suluisse; et si in tanta scriptorum turba mea fama in obscuro sit, nobilitate ac magnitudine eorum me, qui nomini officient meo, consōler. Res est praeterea et immensi operis, ut quae 4

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e ad Att. 8, 7); ma è invece assai frequente in Livio e negli scrittori posteriori, i quali l'adoperano ogni qualvolta ad un nuovo soggetto si attribuisce un predicato, che è comune anche al soggetto che precede. Il soggetto, che qui va sottinteso di fronte a et ipsum, è: novos semper scriptores. consuluisse. Il perfetto è messo in relazione con iuvabit, cioè proverò soddisfazione, quando avrò composta l'opera mia, di aver contribuito, ecc.; cfr. Tac. Agr. 3 non tamen pigebit composuisse. Il sospetto del Ritter, che questo perfetto serva come a provare che la storia era già scritta prima dell'Introduzione, vien chiarito falso dal primo periodo con cui questa incomincia: facturusne... si perscripserim. in obscuro obscura. La prep. in col neutro sostantivato dell'agg. fa ben spesso in Livio le veci del predicato; cfr. 2, 3, 1 cum in dubio esset, 3, 8, 9 cum exitus haud in facili essent, 5, 28, 5 ut in incerto fuerit, 3, 65, 11 moderatio in difficili est. nobilitate può accennare così alla loro rinomanza di scrittori, come al loro grado sociale; poichè non bisogna dimenticare che i primi storici di Roma, come ad es. Catone e Fabio, furono anche Senatori, e che in genere la storia in Roma, a differenza della tragedia e della commedia che eran considerate quasi come occupazioni indegne di Romani di uomini liberi era riserbata esclusivamente in antico alle più alte classi sociali; cfr. Suet. de rhet. § 3: Voltacilius Pilutus primus omnium libertinorum, ut Cornelius Nepos opinatur, scribere historiam orsus, nonnisi ab honestissimo quoque scribi solitam ad id tempus. officient: cfr. la frase giuridica luminibus officere "toglier la luce e 26, 40, 5 haec eius gloria iam imperatoris famae officiebat (“ oscurava „). 4. res qui accenna contemporaneamente, per una specie di brachilogia o di zeugma, dapprima alla storia e quindi al soggetto di essa, cioè l'impero romano; cfr. il doppio significato di moles in 5, 12, 7 o pur di praesidia in 4, 58, 9 e la libera relazione in cui il relativo è talvolta messo col suo antecedente, anche nelle storie di Tucidide. Del resto questa stessa confusione tra Roma e la sua storia si trova anche fatta nel seguente luogo di Tacito, Hist. 1, 2: opus aggredior opimum casibus... ipsa etiam pace saevum, e in Livio si spiega col ricordare il concetto che in quella espressione indeterminata res si trova racchiuso, cioè a primordio urbis res populi Romani perscribere Che poi res possa avere da sola il significato di respublica non vi è chi l'ignori, cfr. res Romana, res Albana. praeterea: alla prima cagione, da cui Livio era mosso a dubitare tra l'immenso numero degli scrittori che s'erano occupati della storia di Roma dell'importanza dell'opera sua, qui si aggiunge ancora la natura stessa dell'impresa, lunga non meno che difficile, per la varietà degli eventi e la grandezza del popolo che a quelli aveva collegato il suo nome. et immensi: questo et corrisponde all'altro che trovasi in seguito collocato dinanzi a legentium plerisque, dove veramente per uniformità di costruzione si aspetterebbe et ingrati quia non dubito quin leg. plerisque, etc. Ma a causa della lunga parentesi l'A. si è contentato di accennare semplicemente ai fatti, senza tener stretto conto della relazione che essi hanno tra loro. ut quae è adoperato frequentemente

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