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midi; ma finchè quella timidezza dura, vincere in amore è impossibile. E che nel Petrarca durasse, ve lo dice tutta la prima parte del suo Canzoniere, dove l'ultimo Sonetto rimane al punto del primo. Sono sempre gli occhi che parlano. Siamo già probabilmente al 1347, ed egli dice ancora:

In quel bel viso ch'i' sospiro e bramo
Fermi eran gli occhi desiosi e intensi.

Il poeta guarda la donna timoroso; piange e desidera in segreto, e non ardisce mai nulla di più. Quindi è naturale che gli occhi di lei, che gli furono

in sul cominciar tanto cortesi,

diventassero poi gli occhi che lo hanno a schivo (1).

Il poeta crede che bastino gli sguardi e le poesie:

ma sbaglia.

Quante lagrime, lasso, e quanti versi

Ho già sparsi al mio tempo! e in quante note
Ho riprovato umiliar quell'alma! (2) ....

Egli ha amato per lungo tempo in silenzio (notatelo bene, è lui stesso che lo confessa):

Vedesti ben quando si tacito arsi;

e quando finalmente si decide a parlare, parla coi suoi versi, e ne fa tanti,

Che vo nojando e prossimi e lontani (3).

Egli spera con essi di vincer Laura, spera che Laura li leggerà (4), e si sdegna che non bastino a farla cadere ai suoi piedi. Le mie rime, egli le dice, sarebbero capaci d'infiammare d'amore mille donne:

I vostri onori in mie rime diffusi

Ne porian infiammar fors' ancor mille; (5)

voi sola, pare che sottintenda, voi sola non ne rimanete commossa.

L'amore del Petrarca è dunque un dramma vero, e qualche volta terribile, che si svolge però tutto dentro l'anima sua. Reale è la donna, reale la passione. Quando quella immagine entra nel suo cuore, tutto il resto ne fugge. Questo che è cosi vero, egli lo dice in due versi ammirabili:

Quando giunge per gli occhi al cor profondo
L'imagin donna, ogni altra indi ne parte.

Ma questa immagine non sta fissa là dentro; ma codesto dramma non ha esteriorità; ma Laura non è che il riflesso dello spirito del poeta. Quindi tutte le bellezze, quindi anche tutti i difetti del Canzoniere.

(1) Son.: Come talora al caldo tempo sole.
(2) Sest.: Là ver l'aurora, che si dolce l'aura.
(3) Canz.: Ben mi credea passar mio tempo omai.
(4)
Mostrimi almen ch'io dica

Amor, in guisa che se mai percote

Gli orecchi della dolce mia nemica,
Non mia, ma di pietà la faccia amica.

Canz.: Poi che per mio destino.

(5) Son.: Lasso, ch'i' ardo ed altri non mel crede.

Un moderno scrittore (1) ci dice che la Laura del Petrarca « è una dea, e non è ancora una donna ». Possiamo noi accettare un tale giudizio? Non mi pare. Quello che fosse Laura obiettivamente non lo sappiamo; quello che fosse per il Petrarca è chiaro: era una dea quando egli era un angelo; tornava donna quando egli tor

nava uomo.

La ragione per la quale « l'amore del Petrarca non fa un passo, è avvolto in un costante equivoco »: codesta ragione non è che il poeta consideri Laura sempre come una dea; ma anzi perchè spesso la guarda e la desidera come donna, e si spaventa poi del proprio ardire, ed ha rimorso del proprio peccato; e quindi fa un passo avanti e due indietro. Se egli le dice il vero, si sente mutare in un sasso. Ma codesto vero dunque egli lo pensa; e sente rispondersi: io non son chi tu credi (2). E dunque ancora, ci sono dei momenti nei quali Laura è donna, affatto donna; e la dea è rivolata nel cielo.

Neppur mi par vero quello che lo stesso critico dice, che « la donna del medio evo o è rozza materia di piacere, frutto di plebea barbarie, o è concezione metafisica e religiosa; o è terra, o è dea ».

Basterebbe, mi pare, la Francesca da Rimini, quale fu concepita da Dante, a smentire questo giudizio così assoluto. Ma anche senza risalire al sommo poeta, si potrebbe domandare: e, per esempio, la Beatrice di Monferrato cantata da Rambaldo di Vaqueiras, era terra o era dea? e per esempio molte delle eroine dei romanzi di avventura francesi, erano dee o erano terra? era terra o era dea l'amante, la sposa, la sorella, l'amica di Abelardo, la divina Eloisa?

Ed anche Laura, nel cuore del Petrarca era, nè dea nè donna, ma or l'una e ora l'altra; un essere che si trasmutava, oserei dire, d'ora in ora; e colle sue mutazioni dava luogo ai vari motivi che sentiamo nel Canzoniere, dove ogni sonetto, ogni canzone, ogni ballata, ogni madrigale è il suono di una corda di quella lira che oscillava sotto impressioni diverse.

Ed ora appunto, dovrei passare a parlare della trasformazione che subisce l'amore del Petrarca nella seconda parte del Canzoniere e nei Trionfi.

Ma prima è indispensabile ch'io cerchi di sciogliere un' altra grave questione. C'è un sistema di critica del Canzoniere, che vede in esso la espressione di altrettanti fatti storici. Secondo codesto sistema, non solo, come crediamo anche noi, Laura è donna reale; ma quasi ogni sonetto è spiegato con un dato avvenimento della relazione amorosa tra essa ed il Petrarca.

Se questo fosse, è facile intendere che sarebbe falso tutto quello che sono fin qui andato dicendo di Laura; falsa tutta la mia critica e della donna e dell'amore del Petrarca.

Resta dunque da esaminare una tale questione; resta, cioè, da vedere se ci sono nel Canzoniere dei dati storici, e quali sono le conseguenze che da essi si possono trarre.

(1) De Sanctis, Saggio sul Petrarca.

(2)

Poi la rividi in altro abito sola,

Tal ch'i' non la conobbi (o senso umano!),

Anzi le dissi 'l ver, pien di paura;

Ed ella nell'usata sua figura

Tosto tornando, fecemi, oimè lasso!
D'uom, quasi vivo e sbigottito sasso.

Canz.: Nel dolce tempo della prima etade.

CAPITOLO VENTESIMOTERZO.

L'AMORE DEL PETRARCA

NELLA SECONDA PARTE del canZONIERE E NEI TRIONFI.

Fra i dati storici del Canzoniere, due richiamano prima degli altri la nostra attenzione; e sono la data del giorno nel quale il Petrarca vide Laura per la prima volta, e la data del giorno nel quale essa mori:

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Come sentesi, questa data corrisponde esattamente con quella della Nota del Virgilio Ambrosiano.

E sarà lo stesso dell' altra:

Sai che 'n mille trecento quarantotto
Il di sesto d'aprile, in l'ora prima,
Del corpo uscio quell' anima beata (2).

Se Laura fosse stata un essere immaginario, il Petrarca non avrebbe certo potuto registrare cosi le due giornate nelle quali egli la vide ed ella mori. La critica più sofistica può lambiccarsi il cervello quanto vuole, ma non riuscirà mai a persuadere nessuno che queste date non abbiano un chiaro e sicuro valore storico. Nè a questo solo si limita il Petrarca. Egli ci dà altri particolari; ci dice che il giorno nel quale si innamorò

Era 'I giorno ch' al sol si scoloraro
Per la pietà del suo Fattore i rai;

cioè, per i calcoli che sono stati fatti (3), l'anniversario del giorno in cui Cristo fu crocifisso; e via via, scrivendo, nota gli anni del suo amore, come per esempio:

e altrove:

oggi ha sett' anni

Che sospirando vo di riva in riva (4);

Ch'i' son già pur crescendo in questa voglia
Ben presso al decim' anno (5);

(1) Son.: Voglia mi sprona, Amor mi guida e scorge.
(2) Son.: Tornami a mente, anzi v'è dentro, quella.
(3) De Sade, Mém., I, 136.

(4) Sest.: Giovane donna sotto un verde lauro.
(5) Canz.: Nella stagion che 'l ciel rapido inchina.

e

Or volge, Signor mio, l'undecim' anno
Ch'i' fui sommesso al dispietato giogo (1);

e così seguitando, ricorda il quartodecim' anno, il quindicesimo, il sestodecimo, il diciassettesimo; e ricorda che nell' ardente nodo fu preso per

anni ventuno interi (2),

il che torna benissimo colle date del 27 e del 48.

Questi sono fatti, e fatti sui quali il discutere ci parrebbe vano.

Io non so quello che precisamente intenda di dire un moderno, quando scrive che le date possono essere, se non inventate, alterate anch'esse per ragioni di contrappunto » (3).

Per quanto io pensi, non vedo la ragione che poteva avere il Petrarca di darci ad intendere ch'egli vide Laura nel 1327 piuttosto del 26; e che essa morì il 48, piuttosto del 45 o del 50. Codesto contrappunto a me riesce inintelligibile.

E come credo alle date, credo a certi fatti citati nel Canzoniere. Per esempio, se leggo

Ed or di picciol borgo un Sol n'ha dato,

Tal che natura e 'l luogo si ringrazia
Onde si bella donna al mondo nacque (4);

non so perchè si riçusi di trovar li accennata la patria di Laura, ed accetto benissimo l'opinione del De Sade che questa fosse Avignone.

Ancora mi par giusta quella che chiamerei interpretazione storica del Canzoniere, a proposito del famoso Sonetto:

Real natura, angelico intelletto.

che mi giova riferire qui per intero.

1

Real natura, angelico intelletto,

Chiar' alma, pronta vista, occhio cerviero,
Providenzia veloce, alto pensiero,

E veramente degno di quel petto:

Sendo di donne un bel numero eletto

Per adornar il dì festo ed altero,
Subito scorse il buon giudicio intero
Fra tanti e si bei volti il più perfetto.
L'altre maggior di tempo o di fortuna
Trarsi in disparte comandò con mano,
E caramente accolse a sè quell'una:

Gli occhi e la fronte con sembiante umano

Baciolle si, che rallegrò ciascuna:

Me empiè d'invidia l'atto dolce e strano.

In questo Sonetto si accenna, come sentesi, ad un principe, che in una festa solenne, dove erano raccolte le donne più illustri della città, allontanate tutte le

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altre, baciò gli occhi e la fronte di una di esse; ed in quest' una, naturalmente, noi siamo sicuri di riconoscere Laura, sia perchè il Sonetto fa parte del Canzoniere, sia per l'ultimo verso di esso:

Me empiè d'invidia l'atto dolce e strano.

I commentatori si sono affaticati a ricercare chi fosse codesto principe. C'è stato chi ha sostenuto che fu l'imperatore Alberto; chi, Carlo d'Angiò; chi, il re Roberto di Napoli. L'ab. De Sade ha invece, e con buone ragioni (1), voluto dimostrare che si tratta di Carlo di Lussemburgo.

Ma questo per noi non ha che una importanza secondaria. Quello che a noi preme di più è di stabilire che nel Canzoniere si accenna a dei fatti nei quali Laura apparisce necessariamente come personaggio reale. Questo per noi basta. Anzi niente più di questo possiamo ammettere. Andando al di là, oltrepassando questo confine, si cade facilmente nell' assurdo, e si corre rischio di travisare tutta la storia dell'amore Petrarchesco.

Ecco qua un altro Sonetto del Canzoniere:

Due rose fresche, e colte in paradiso
L'altr' ier, nascendo, il di primo di Maggio,
Bel dono, e d'un amante antiquo e saggio,
Tra duo minori ugualmente diviso:

Con si dolce parlar, e con un riso
Da far innamorar un uom selvaggio,
Di sfavillante ed amoroso raggio
E l'uno e l'altro fe' cangiare il viso.
Non vede un simil par d'amanti il sole,
Dicea ridendo, e sospirando insieme;
E stringendo ambedue, volgeasi attorno:
Cosi partia le rose e le parole:

Onde 'l cor lasso ancor s'allegra e teme.
O felice eloquenzia! o lieto giorno!

È ben facile intendere quello che il Petrarca racconta. Un vecchio galante regalò due rose a Laura e al Petrarca, dicendo:

Non vede un simil par d'amanti il sole.

. Noi abbiamo qui un fatto che non possiamo mettere in dubbio. Ma tutte le circostanze del fatto ci restano ignote.

Dove erano Laura e il Petrarca quando ebbero il done delle rose? E l'amante antiquo e saggio che le donò loro, sapeva o indovinava o supponeva o augurava il loro amore? Erano essi insieme deliberatamente o per caso?

Il Petrarca non dice nulla, e noi non abbiamo diritto di leggere tra rigo e rigo, di leggere più di quello che egli non ha scritto. Anche da questo sonetto apparisce dunque chiara, incontestabile la realtà oggettiva della donna; ma non ne salta fuori niente di più di quel che già sapevamo intorno alla sua relazione amorosa col poeta.

Ma sentiamo ora quello che scrive l'abate De Sade (2): « il 1° di maggio Laura passeggiava al mattino, come di solito, colle sue compagne. Petrarca la seguiva. Si fermarono davanti al giardino di un vecchio amabile, che aveva consacrata tutta la vita all'amore. L'età avendolo costretto a rinunziare ai suoi piaceri, egli si divertiva a coltivare i fiori. Questo buon uomo, al quale l'immagine dell'a

(1) Ved. Not. XVIII.

(2) Mem. II, 362.

PARTOLI. Letteratura italiana

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