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contento, parendomi d'averlo sgannato. Non so già s'io mi sgannerò coloro che sono si poco conoscitori dei beneficj ch'egli hanno avuti dalla nostra patria, che e' vogliano accomunare con esso lei nella lingua Milano, Vinegia, Romagna, e tutte le bestemmie di Lombardia.

NOVELLA PIACEVOLISSIMA

Belfagor Arcidiavolo è mandato da Plutone in questo mondo con obbligo di dover prender mogliere. Ci viene, la prende; e non potendo sofferire la superbia di lei, ama meglio ritornarsi in Inferno che ricongiungersi seco.

Leggesi nelle antiche memorie delle fiorentine cose, come già s'intese per relazione d'alcuno santissimo uomo, la cui vita appresso qualunque in quelli tempi viveva era celebrata, che standosi astratto nelle sue orazioni vide, mediante quelle, come andando infinite anime di quelli miseri mortali, che nella disgrazia di Dio morivano allo inferno, tutte o la maggior parte si dolevano, non per altro che per aver tolta moglie, essersi a tanta infelicità condotte. Donde che Minos e Radamanto, insieme con gli altri infernali giudici ne avevano maraviglia grandissima; e non potendo credere queste calunnie, che costoro al sesso femmineo davano, esser vere, e crescendo ogni giorno le querele, ed avendo di tutto fatto a Plutone conveniente rapporto, fu deliberato per lui d'aver sopra questo caso con tutti gli infernali principi maturo esamine, e pigliarne dipoi quel partito che fusse giudicato migliore, per iscuoprire questa fallacia, e conoscerne in tutto la verità. Chiamatili adunque a concilio, parlò Plutone in questa sentenza: «Ancora che io, dilettissimi miei, per celeste disposizione, e per fatal sorte al tutto irrevocabile, possegga questo regno, e per questo io non possa essere obbligato ad alcuno giudizio, o celeste o mondano, nondimeno perch'egli è maggior prudenza di quelli che possono più sottomettersi alle leggi, e più stimare l'altrui giudizio, ho deliberato esser da voi consigliato, come in un caso, il quale potrebbe seguire con qualche infamia del nostro imperio, io mi debba governare; perchè dicendo tutte le anime degli uomini che vengono nel nostro regno, esserne stato cagione la moglie, e parendoci questo impossibile, dubitiamo che dando giudizio sopra questa relazione non possiamo essere calunniati come troppo crudeli; e non ne dando, come manco severi, e poco amatori della giustizia. E perchè l'uno

peccato è da uomini leggieri, e l'altro da ingiusti, e volendo fuggire quelli carichi che dall' uno e dall'altro potrebbono dißendere, e non trovandone il modo, vi abbiamo chiamati, acciocchè, consigliandone, ci aiutiate, e siate cagione che questo regno, come per lo passato è vivuto senza infamia, così per l'avvenire viva.» Parve a ciascheduno di quelli principi il caso importantissimo e di molta considerazione; e concludendo tutti, come egli era necessario scuoprirne la verità, erano discrepanti del modo. Perchè a chi pareva che si mandasse uno, a chi più nel mondo che sotto forma d'uomo conoscesse personalmente questo esser vero. A molti altri pareva potersi fare senza tanto disagio, costringendo varie anime con vari tormenti a scoprirle. Pure la maggior parte consigliando che si mandasse, s'indirizzarono a questa opinione. E non si trovando alcuno che volontariamente prendesse questa impresa, deliberarono che la sorte fosse quella che lo dichiarasse. La quale cadde sopra Belfagor Arcidiavolo, ma per l'addietro, avanti che cadesse dal cielo, Arcangelo; il quale, ancora che mal volentieri pigliasse questo carico, nondimeno, costretto dallo imperio di Plutone, si dispose a seguire quanto nel concilio s'era determinato, ed obbligossi a quelle convenzioni che fra loro solennemente erano state deliberate; le quali erano, che subito a colui, che fosse per questa commissione deputato, fossero consegnati centomila ducati, co' quali doveva venire nel mondo, e sotto forma d'uomo prender moglie, e con quella vivere dieci anni; e dopo fingendo di morire tornarsene, e per isperienza far fede a' suoi superiori quali siano i carichi e le comodità del matrimonio. Dichiarossi ancora, che durante detto tempo e' fusse sottoposto a tutti i disagi ed a tutti quelli mali che sono sottoposti gli uomini, e che si tira dietro la povertà, le carceri, la malattia, ed ogni altro infortunio, nel quale gli uomini incorrono, eccetto se con inganno o astuzia se ne liberasse. Presa adunque Belfagor la condizione e i danari, ne venne nel mondo; ed ordinato di sue masnade cavalli e compagni, entrò onorevolissimamente in Firenze; la qual città innanzi a tutte l'altre elesse per suo domicilio, come quella che gli pareva più atta a sopportare chi con arte usuraria escrcitasse i suoi danari; e fattosi chiamare Roderigo di Castiglia, prese una casa a fitto nel borgo d'Ognissanti. E perchè non si potesse rinvenire le sue condizioni, disse essersi da picciolo partito di Spagna, e itone in Soria, ed avere in Aleppo guadagnato tutte le sue facultà, donde s'era poi partito per venire in Italia a prender donna in luoghi più umani, e alla vita civile e all'animo suo più conformi. Era Roderigo bellissimo uomo, e mostrava una età di trent'anni; ed avendo in pochi giorni dimostro di quante ricchezze abbondasse, e dando esempi di sè d'essere umano e liberale, molti nobili cittadini, che avevano assai figliuole e pochi danari, se gli offerivano; tra le quali tutte Roderigo scelse una bellissima fanciulla, chiamata Onesta, figliuola d'Amerigo Donati, il quale n'aveva fre altre insieme con tre figliuoli maschi, tutti uomini, e quelle erano quasi che da marito. E benchè fusse di una nobilissima famiglia, e di lui fusse in Firenze tenuto buon conto, nondimeno era, rispetto alla brigata che aveva, ed alla nobiltà, poverissimo. Fece Roderigo magnifiche e splendidissime nozze, nè lasciò indietro alcuna di quelle cose che in simili feste si desiderano, essendo per la legge, che gli era stata data nell'uscire dello inferno, sottoposto a tutte le passioni umane. Subito cominciò a pigliar piacere degli onori e delle pompe del mondo, ed aver caro d'esser laudato tra gli uomini; il che gli arrecava spesa non picciola. Oltre di questo, non fu dimorato molto con la sua Monna Onesta, che se ne innamoro

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fuor di misura, nè poteva vivere qualunque volta la vedeva star trista ed aver alcuno dispiacere. Aveva Monna Onesta portato in casa di Roderigo insieme con la nobiltà seco, e con la bellezza, tanta superbia, che non n'ebbe mai tanta Lucifero; e Roderigo, che aveva provata l'una e l'altra, giudicava quella della moglie superiore. Ma diventò di luuga maggiore, come prima quella si accorse dell'amore che il marito le portava, e parendole poterlo da ogni parte signoreggiare, senza alcuna pietà o rispetto gli comandava, nè dubitava, quando da lui alcuna cosa gli era negata, con parole villane ed ingiuriose morderio; il che era a Roderigo cagione d'incredibil noia. Pur nondimeno il suocero, i fratelli, il parentado, l'obbligo del matrimonio, e sopra tutto il grande amore le portava, gli faceva aver pazienza. Io voglio lasciar le grandi spese, che per contentarla faceva in vestirla di nuove usanze, e contentarla di nuove fogge, che continuamente la nostra città per sua natural consuetudine varia, che fu necessitato, volendo stare in pace con lei, aiutare al suocero maritare le altre sue figliuole, dove spese grossa somma di danari. Dopo questo, volendo aver bene con quella, gli convenne mandare uno dei fratelli in Levante con panni, ed un altro in Ponente con drappi; all'altro aprire un battiloro in Firenze; nelle quali cose dispensò la maggior parte delle sue fortune. Oltre a questo, nei tempi di carnesciali e di san Giovanni, quando tutta la città per antica consuetudine festeggia, e che molti cittadini nobili e ricchi con isplendissimi conviti si onorano, per non esser Monna Onesta all'altre donne inferiore, voleva che il suo Roderigo con simili feste tutti gli altri superasse. Le quali cose tutte erano da lui per le sopraddette cagioni sopportate; nè gli sarebbono, ancora che gravissime, parute gravi a farle, se da questo ne fusse nata la quiete della casa sua, e s'egli avesse potuto pacificamente aspettare i tempi della sua rovina. Ma gl'interveniva l'opposito, perchè con l'insopportabili spese l'insolente natura di lei infinite incomodità gli arrecava; e non erano in casa sua nè servi, nè serventi, che non che molto tempo, ma brevissimi giorni potessero sopportare. Donde ne nascevano a Roderigo disagi gravissimi, per non poter tener servo che avesse amore alle cose sue; e non che altri, quelli Diavoli, i quali in persone di famigli aveva condotti seco, piuttosto elessero di tornarsene in inferno a star nel fuoco, che viver nel mondo sotto lo imperio di quella. Standosi adunque Roderigo in questa tumultuosa e inquieta vita, ed avendo per le disordinate spese già consumato quanto mobile aveva riserbato, cominciò a vivere sotto la speranza de' ritratti, che di Ponente e di Levante aspettava; ed avendo ancora buon credito, per non mancar di suo grado prese a cambio, e girandogli già molti marchi addosso, fu tosto notato da quelli che in simili esercizi in mercato si travagliano. Ed essendo di già il caso suo tenero, vennero in un subito di Levante e di Ponente novelle, come l'uno dei fratelli di Monna Onesta s'aveva giuocato tutto il mobile di Roderigo; l'altro, tornando sopra una nave carica di sua mercanzia, senza essersi altrimenti assicurato, era insieme con quella annegato. Nè fu prima pubblicata questa cosa, che i creditori di Roderigo si ristrinsero insieme, e giudicando che fosse spacciato, nè potendo ancora scoprirsi per non esser venuto il tempo dei pagamenti loro, conclusero che fusse bene osservarlo così destramente, acciocchè dal detto al fatto di nascoso non se ne fuggisse. Roderigo, parte non veggendo al caso suo rimedio, e sapendo quanto la legge infernale lo costringeva, pensò di fuggirsi in ogni modo; e montato una mattina a cavallo, abitando propinquo alla porta al Prato, per quella se

ne uscì; nè prima fu veduta la partita sua, che il rumore si levò fra i creditori, i quali ricorsi ai magistrati, non solamente coi cursori, ma popolarmente si misero a seguirlo. Non era Roderigo, quando se gli levò dietro il rumore, dilungato dalla città un miglio, in modo che vedendosi a mal partito deliberò, per fuggir più secreto, uscir di strada, e a traverso per li campi cercare sua fortuna. Ma sendo a far questo impedito dalle assai fosse, che attraversano il paese, nè potendo per questo ire a cavallo, si mise a fuggire a piè, e lasciata la cavalcatura in su la strada, attraversando di campo in campo, coperto dalle vigne e dai canneti, di che quel paese abbonda, arrivò sopra Peretola a casa di Gio. Matteo del Bricca, lavoratore di Giovanni del Bene, e a sorte trovò Gio. Matteo che recava a casa da rodere a'buoi, e se gli raccomandò, promettendogli, che se lo salvava dalle mani dei suoi nemici, i quali per farlo morire in prigione lo seguitavano, che lo farebbe ricco, o gliene darebbe innanzi alla sua partita tal saggio, che gli crederebbe; e quando questo non facesse, era contento, che esso proprio to ponesse in mano ai suoi avversari. Era Gio. Matteo, ancora che contadino, uomo animoso, e giudicando non poter perdere a pigliar partito di salvarlo, gliene promise; e cacciatolo in un monte di letame, il quale aveva davanti alla sua casa, lo ricoperse con cannucce ed altre mondiglie, che per ardere avea ragunate. Non era Roderigo appena fornito di nascondersi, che i suoi perseguitatori sopraggiunsero, e per ispaventi che facessero a Gio. Matteo, non trassero mai da lui che l'avesse visto. Tal che passati più innanzi, avendolo in vano quel dì e l'altro cerco, stracchi se ne tornarono a Firenze. Gio. Matteo adunque, cessato il rumore, e trattolo dal luogo dov'era, lo richiese della fede data. Al quale Roderigo disse: Fratel mio, io ho con teco un grande obbligo, e lo voglio in ogni modo soddisfare; e perchè tu creda ch'io possa farlo, ti dirò ch'io sono: e quivi gli narrò di suo essere, e delle leggi avute all'uscire d'inferno, e della moglie tolta; e di più gli disse il modo col quale lo voleva arriechire, che in somma sarebbe questo, che come si sentiva che alcuna donna fusse spiritata, credesse lui essere quello che le fusse addosso; nè mai se n'uscirebbe s'egli non venisse a trarnelo, donde arebbe occasione di farsi a suo modo pagare da'parenti di quella; e rimasi in questa conclusione sparì via. Nè passarono molti giorni, che si sparse per tutta Firenze, come una figliuola di messer Ambrogio Amedei, la quale aveva maritata a Buonaiuto Tebalducci, era indemoniata. Nè mancarono i parenti di arvi di quelli rimedi che in simili accidenti si fanno, ponendole in capo la testa di s. Zenobi ed il mantello di s. Gio. Gualberto: le quali cose tutte da Roderigo erano uccellate. E per chiarir ciascuno, come il male della fanciulla era uno spirito, e non altra fantastica immaginazione, parlava latino, e disputava delle cose di filosofia, e scopriva i peccati di molti; intra i quali scoperse quelli d'un frate, che s'aveva tenuta una femmina vestita ad uso di fraticino più di quattro anni nella sua cella; le quali cose facevano maravigliare ciascuno. Viveva pertanto messer Ambrogio mal contento, ed avendo invano provato tutti i rimedi, aveva perduta ogni speranza di guarirla; quando Gio. Matteo venne a trovarlo, e gli promise la salute della sua figliuola, quando gli voglia donare cinquecento fiorini per comperare un podere a Peretola. Accettò messer Ambrogio il partito: dove Gio. Matteo, fatte prima dire certe messe, e fatte sue cerimonie per abbellire la cosa, s'accostò agli orecchi della fanciulla, e disse: Roderigo, io sono venuto a trovarti perchè tu m'osservi la promessa. Al quale Roderigo rispose: Io sono contento, má questo non basta a farti ricco; e però par

tito ch'io sarò da quì, entrerò nella figliuola di Carlo re di Napoli, nè mai n’uscirò senza te. Faraiti allora fare una mancia a tuo modo; nè poi mi darai più briga. Detto questo, s'uscì d'addosso a colei, con piacere ed ammirazione di tutta Firenze. Non passò dopo molto tempo, che per tutta Italia si sparse l'accidente venuto alla figliuola del re Carlo, nè vi trovandosi rimedio dei frati valevole, avuta il re notizia di Gio. Matteo, mandò a Firenze per lui; il qual arrivato a Napoli, dopo qualche finta ceremonia, la guarì. Ma Roderigo, prima che partisse, disse: Tu vedi, Gio. Matteo, io t'ho osservate le promesse d'averti arricchito, e però sendo disobbligo, io non ti sono più tenuto di cosa alcuna. Pertanto sarai contento non mi capitare più innanzi; perchè dove io t'ho fatto bene, ti farei per l'avvenire male. Tornato adunque a Firenze Gio. Matteo ricchissimo, perchè aveva avuto dal re meglio che cinquantamila ducati, pensava di godersi quelle ricchezze pacificamente, non credendo però che Roderigo pensasse d'offenderlo. Ma questo suo pensiero fu subito turbato da una novella che venne, come una figliuola di Lodovico VII re di Francia era spiritata, la qual novella alterò tutta la mente di Gio. Matteo, pensando all'autorità di quel re e alle parole che gli aveva Roderigo dette. Non trovando adunque il re alla sua figliuola rimedio, e intendendo la virtù di Gio. Matteo, mandò prima a richiederlo semplicemente per un suo cursore; ma allegando quello certe indisposizioni, fu forzato quel re a richiederne la Signoria, la quale forzò Gio. Matteo ad ubbidire. Andato pertanto costui tutto sconsolato a Parigi, mostrò prima al re, come egli era certa cosa che per lo addietro aveva guarita qualche indemoniata, ma che non era per questo ch'egli sapesse o potesse guarire tutti; perchè se ne trovano di sì perfida natura, che non temono nè minacce, nè incanti, nè alcuna religione; ma con tutto questo era per far suo debito, e non gli riuscendo, ne domandava scusa e perdono. Al quale il re turbato disse, che se non la guariva, che lo appenderebbe. Sentì per questo Gio. Matteo dolor grande; pure, fatto buon cuore, fece venire l'indemoniata, ed accostatosi all'orecchio di quella, umilmente si raccomandò a Roderigo, ricordandogli il beneficio fattogli, e di quanta ingratitudine sarebbe esempio se l'abbandonasse in tanta necessità. Al quale Roderigo disse: Deh! villano traditore, sì che tu hai ardire di venirmi innanzi? Credi tu poterti vantare d'esser arricchito per le mie mani? lo voglio mostrar a te ed a ciascuno, come jo so dare e torre ogni cosa a mia posta; e innanzi che tu ti parta di qui, io ti farò impiccare in ogni modo. Donde che Gio. Matteo, non veggendo per allora rimedio, pensò di tentare la sua fortuna per un'altra via; e fatto andar via la spiritata, disse al re: Sire, come v'ho detto, e' ci sono di molti spiriti che sono sì maligni, che con loro non s'ha alcun buono partito, e questo è un di quegli; pertanto io voglio fare un'ultima sperienza, la quale se gioverà, la V. M. ed io aremo l'intenzione nostra; quando non giovi, io sarò nelle tue forze, e arai di me quella compassione che merita l'innocenza mia. Farai pertanto fare in su la piazza di Nostra Donna un palco grande, e capace di tutti i tuoi haroni e di tutto il clero di questa città; farai parare il palco di drappi di seta e d'oro; fabbricherai nel mezzo di quello un altare; e voglio, che domenica mattina prossima tu col clero, insieme con tutti i tuoi principi e baroni, con la real pompa, con isplendidi e ricchi abbigliamenti convegnate sopra quello, dove, celebrata prima una solenne Messa, farai venire l'indemoniata. Voglio, oltre a questo, che dall' un canto della piazza siano insieme venti persone al

!

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