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BIBLIOTECA ITALIANA

Maggio 1833.

PARTE I.

LETTERATURA ED ARTI LIBERALI.

Esame della Storia degli antichi popoli italiani di Giuseppe MICALI, in relazione ai primordj dell' italico incivilimento. Memoria di Gian Domenico ROMAGNOSI. Parte III. Vedi i quaderni di febbrajo pag. 146, marzo pag. 285 e aprile p. p. pag. 38 di questo Giornale.

Indizj comprovanti l Affricana e l'Asiatica provenienza dei primordj dell Italico incivilimento.

S X. Primi indizj da Scrittori Latini spettanti alla Libica provenienza suddetta.

Quali sono le genti rammemorate come primitive

dell' Italia? Gli eruditi rispondono essere stati gli Aborigeni. Ma questa denominazione non dice nulla specialmente al nostro proposito in cui non si tratta dell'origine della popolazione, ma bensì di quella dell' incivilimento. Ragionando per analogia fu detto anche da Virgilio che una stirpe selvaggia esistette dapprima in Italia: «< Hæc nemora indigenæ Fauni Nymphæque Gensque virum truncis et duro robore Queis neque mos neque cultus erat, nec jungere tauro - Aut componere opes norant aut parcere parto: Sed rami atque asper victu venatus >> alebat. - Primus ab ætherio venit Saturnus Olympo

>> tenebant

> nata

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» Tum manus Ausoniæ et gentes venere sicanæ. (Eneide lib. VIII, vers. 314 e seg.)

>>

Non crediamo che verun lettore intelligente volendo spiegare il secondo verso dirà come l'interprete ad usum delphini: natio hominum orta truncis et duris arboribus, ma piglierà la locuzione poetica come significante uomini abitatori delle selve, i quali si ricoveravano in vuoti tronchi di alberi o in caverne, viventi di caccia e di frutti spontanei della terra, ed i quali erano simboleggiati col nome di Fauni e di Ninfe. Il buon Servio, nel suo comento su questi versi, con tutto che puro grammatico, disse: «Hoc figmentum ortum est ab antiqua hominum habi» tatione qui ante factas domos aut in cavis arbo» ribus aut in speluncis manebant, qui cum exinde >> egrederentur aut suam educerent sobolem dicti sunt » inde procreati. » Perchè mai nel XVIII secolo disonorar Virgilio ed ingannar i lettori coll' insegnare aver Virgilio parlato di una nazione nata dalle querce? Per analogia fu pure figurata una primitiva educazione di popoli bamboloni allevati alla maniera praticata dagl' Incas del Perù ed imitata dai Gesuiti del Paraguai, in cui i Temosfori dirigendo questi bamboloni uniti, distribuirono occupazioni e mestieri sotto la vigilanza di certi ispettori. In tale stato tutto era comune fra gli educati: niuno serviva all' altro, tutti a modo di allievi di collegio fanciullesco seguivano le direzioni dei Temosfori. Questo genere di vita esprime essenzialmente i caratteri del regno di Saturno che servì di tipo al regime delle Caste delle quali esiste la memoria in Egitto, nella Persia e sopra tutto nell' India, ove tali caste furono rese impermutabili.

Questo regime di transizione dalla più rozza selvatichezza ed infanzia sociale ad un consorzio di convivenza rispetto all'Italia fu o per analogia o per annotazione pontificale, simile da per tutto, supplito da Virgilio dove parla di Saturno temosforo, simile del tutto ai suddetti Incas del Perù e ad altri primissimi

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istitutori dell' Oriente (1). Ma considerando attentamente tutte le tracce superstiti dei primordj sociali dell'Italia, noi crediamo di dover dubitare che non mai esistito abbia questo regime di transizione, perocchè se si fosse verificato se ne incontrerebbero le vestigia successive, come appunto avvenne nell'Egitto, nella Persia, nelle Indie ed in altre parti dell' Oriente. Ma nulla di tutto ciò ci viene ricordato nelle antichità italiane. All' opposto la leggenda allegorica porta, secondo Virgilio medesimo, che Saturno si rifuggì presso Giano, fugiens arma Jovis, ove rimase nascosto e poscia regnò con lui. Dunque consta che Saturno fu ausiliario e socio di Giano nell' opera dell' incivilimento italico già iniziato da Giano. Ma se Giano era temosforo prima della venuta di Saturno, se anche dopo l'asilo preso in Italia lungamente sta nascosto e molto tardi regna con Giano; ne consegue che il trarre da vita selvaggia la gente non fu opera di Saturno, ma in ogni caso sarebbe stata di Giano. Più ancora si può storicamente provare che il culto Saturnio, ossia il suo sacerdozio, dapprima espulso da Candia sostituendo quello del Tina o Giove Atlantico, fu recato a noi dopo che gl'Itali erano di già dominanti e colti. Dunque con ragione possiamo rifiutare in Italia come fatto positivo il così detto regno di Saturno, non quanto al concorso dell' orientale sacerdozio, ma come simbolo di quella primitiva infantile educazione che si verificò altrove, e la ricordanza della quale apparteneva alle genti che seco la recarono in Italia dal loro

paese.

(1) Is genus indocile ac dispersum montibus altis composuit legesque dedit, Latiumque vocari maluit his quoniam latuisset tutus in oris (Ibid. lib. VIII, vers. 33 e seg.). Notate che Latium è la traduzione pura e semplice del Saturn Siriaco, cioè latente come notò il Pokoke Specimen Historic Arabum pag. 120. Oxonii, 1806, Clavendon.

Si sa che Roma fino all' anno 170 dopo la sua fondazione non ebbe iddii effigiati nei tempj. Veggasi Plutarco nella vita di Numa. Varone presso S. Agostino De Civitate Dei (lib. IV, cap. 31).

Altro è il Saturno teurgico, ed altro è il sacerdozio o il culto suo. Il primo è tutto mitico cabalistico; il secondo è una personificazione storica che accompagna l'era Pelasgica dopo che i Fenicj col loro sacerdozio furono espulsi di Creta e sottentrò l'Eritreo Tina, che leggiamo anche nei vasi etruschi col Kalos, cioè invocato. Virgilio tien conto delle vicende storiche del Lazio distinto dall' Enotria senza entrare ne' misteri della teurgia, ed ora noi seguiamo questo punto di vista del tutto separato da quello trattato nel primo articolo. Ad ogni modo questo primo stadio si deve tenere precipuamente atlantico con Italo, e siriaco con Sabino. Sia che l'Italia innanzi la venuta de' Libii asiatici fosse terra vacante, almen nei luoghi nei quali presero essi stanza, sia che quei primi selvaggi siano periti, sia finalmente che siano stati parte passiva, queste circostanze non possono intralciare le nostre ricerche nelle quali dobbiam tener d'occhio P opera effettiva e progressiva dell' Italico incivili

mento.

Eccoci pertanto alle altre notizie positive sulle quali gli scrittori più riputati incominciano le loro origini speciali: poste perciò in disparte le irruzioni liburniche ed illiriche, le quali non possono entrare nel nostro argomento, portisi l'attenzione sull' Italia meridionale. Eccoci al classico verso « Tunc manus Au» soniæ et gentes venere sicanæ. » Qui facciamo punto. Evandro racconta ad Enea che Saturno venne pel primo dall' Etereo Olimpo: ma lo stesso Enea sente che venne arma Jovis fugiens, e però si parla dell' Olimpo di Creta: indi poco dopo vede sul vestibolo della curia il Saturnus senex, che prima disse fugiens arma Jovis posto nella posteriore età della vita civile dei popoli del Lazio (1). Come stą tutto questo? Forse

(1) Quin etiam veterum effigies ex ordine avorum -- Antiqua e cedro, Italusque paterque Sabinus - Vitisator, curvam servans- sub imagine falcem Saturnusque senex Janique Vestibulo adstabant (Æneid. lib. VII, v.

bifrontis imago

accuseremo Virgilio di storditezza? Forse dovremo accusarlo d'omissione? nè l'uno nè l'altro. Col racconto di Evandro, Virgilio espone l'opinione volgare: colla scultura sul vestibolo della curia espone la verità storica. Questa verità storica incomincia appunto col verso: Tunc manus Ausoniæ et gentes venere sicana. É inutile contraddire con arguzie filologiche: chiaro, positivo e formale si è il testo, cioè che questi Ausonj e Sicani furono le prime genti note venute in Italia. Qui è temerità il contrapporre l'Alicarnasseo a Virgilio. Qui è sofisticheria filologica il disputare sui nomi di Sicani e Siculi; perocchè è noto che o per diversa posizione o per mutazione di tempi tali denominazioni si cangiano senza che si mutino le persone e le prosapie. Distinguere colla sola discendenza gli avi dai nipoti, ciò venne praticato dagli scrittori. Il fatto sta che con Virgilio, il quale distinse nella stessa Italia tanto i Veteres Sicani, quanto i Siculi, e li rammemora con queste denominazioni, con Virgilio, dissi, concorda anche Macrobio. Quest'ultimo assennatissimo scrittore in fatto di nomi nel capo 2.° dei Saturnali scrisse quanto segue: « Antiquissimi viri plane et dilucide cum » suis fabulati sunt. Neque Auruncorum, aut Sica» norum, aut Pelasgorum, qui primi coluisse in Italia » dicuntur, sed ætatis suæ verbis loquebantur.» Qui Macrobio non aggiunge che un nome di più e questo è quello dei Pelasgi. Il nome di Aurunci è pretto sinonimo in altro dialetto di quello di Ausonj: « Au» runcos autem solos mihi, Ausones dicere cogita (Joannes Tetze in chiliadibus). » Il Rotacismo posteriore, come osservò Festo, fece cambiare l'antico nome di Ausonj: « Ausonia proprie Auruncorum appellatur » terra inter Campanos et Volscos apud mare sita » (Dio Cocejanus apud Bochart Geografia sacra pag. 651). In vece di Auson fu detto Auron: di ciò si dirà più

177-181). L' epiteto di senex dato a Saturno non è ozioso, perocchè nella Teurgia segnata da Sanconiatone si nota un secondo Saturno che direbbesi juniore.

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