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almeno applicare ad argomenti italiani e vestire di forme nazionali un genere di scritture venute d'al tronde; e tutti gli altri gettaronsi ad un' abbietta imitazione. Non è gran tempo che i nostri giovani dilettavansi di Romanze, e l' uno cantava la partenza, l'altro il ritorno di un Crociato, immaginandosi di collocarsi così fra i grandi poeti rigeneratori del mondo. Ora nessuno vorrebbe più mettersi in quella schiera; e quasi tutte quelle Romanze già sono consegnate all'oblio insieme con quelle tante poesie del secolo scorso che i nostri Editori giustamente stimarono indegne di entrare nella loro Collezione. Ma distogliendoci dalle Romanze siamo forse diventati più nazionali? abbiamo fatto alcun passo che veramente avvicini le nuove produzioni de' nostri ingegni a quell' alto posto a cui le lettere domandano di essere sollevate? Che diranno i posteri di noi quando vedranno che, lodando a parole i nostri filosofi del secolo XVIII, coi fatti poi ci allontanammo per si gran tratto dal loro esempio? quando leggeranno le innumerevoli nostre Novelle? quando vedranno che noi siamo andati con tanto studio imitando gli oltremontani per arricchire la nostra letteratura con un viaggio in diligenza o colle avventure d' un carrettiere? quando fra mezzo a cotante puerilità troveranno che molti de' nostri scrittori mostraron di gemere sotto l'infausto dono del genio?

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Considerando lo stato d'Italia nel secolo XVIII, rispetto ai progressi così delle lettere come della ci viltà in generale, può dirsi che in quella età parecchj individui sollevaronsi a grande altezza, ma l'universale della nazione rimase a grande distanzą da loro. Nè vogliamo con ciò rimproverare i nostri scrittori d'allora; perocchè essi fecero quanto era possibile in que' tempi, e quanto più importava di fare in quello stato di cose: nè alcuno ignora che la coltura dell' universale non può metter radice altrove che in quella di alcuni pochi divenuti capaci di farsene diffonditori e maestri. Quelli pertanto ch'erano

cresciuti sotto la dominazione spagnuola appena poterono educare sè stessi e mettersi in grado di cooperare all' abolizione di que' grandi mali che più rendevano infelice il paese: a quegli altri che vennero dopo sopraggiunsero gli anni tumultuosi e le persecuzioni e le calamità con cui finì il secolo XVIII; ed allora chi avrebbe potuto, senza cadere in pericolosi sospetti, osare di accingersi all' educazione della moltitudine? Quel tanto ch era possibile a farsi si trova negli scrittori degli Apologhi menzionati poc' anzi.

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Quest' obbligo adunque è venuto come in retaggio alla nostra generazione, la quale sarà giustamente chiamata in colpa da chi verrà dopo di noi, se i nostri scrittori non pensano ad arricchire la patria di libri accomodati'a diffondere un sistema di utili cognizioni in tutti coloro ai quali le circostanze non consentono nè di consacrare lungo tempo allo studio, nè di avere la scorta e il consiglio di sapienti maestri. Dov'è un libro che insegnando a conoscere questo immenso edifizio del mondo, guidi il pensiero dei giovani per la infinita catena degli esseri, sicchè risalga all' idea del Creatore fornito di quelle cognizioni che valgono più d'ogni astratto raziocinio a mostrarne la bontà e l'onnipotenza? Dov' è una storia che, senza spirito di parte, racconti i casi del genere umano, e i buoni principj e gl' infelici traviamenti di tante instituzioni; e insegnando sempre a distinguer le cose dall' abuso che gli uomini poterono farne, racconti il vero di tutte senza pericolo di rendere in qualsivoglia maniera pregiudicate le menti? Indarno cerchiamo questi libri fra i nostri; indarno sperano alcuni di trovarli fra gli stranieri. Che diremo poi di coloro i quali pensano che un popolo possa utilmente educarsi con quelle tante Novelle da cui siamo inondati? Poniamo pure che molte siano buone ad eccitare un qualche utile sentimento nei giovani; ma come possono dar loro il corredo delle cognizioni positive, senza le quali il sentimento è sempre

incerto, e, quasi pianta che non abbia radici, può cadere ad ogni piccolo soffio di vento? . .

La posterità è sempre giusta nelle sue sentenze: e se noi non accusiamo i nostri maggiori di quello che non poterono fare, anche gli avvenire giudicheranno di noi con questa medesima discrezione: ma possiamo noi dire ch' essi colla storia alla mano dovranno persuadersi che noi abbiam fatto (come fecero gli scrittori del secolo XVIII) quanto era da noi? Del resto fra le cose che a questo proposito verranno in considerazione dei posteri non sarà di poco momento il pericolo in cui si trovano gli scrittori di consumare senza profitto l'opera e il tempo per la impudenza con cui suole ai di nostri violarsi in Italia la proprietà delle letterarie produzioni. Contro questa pessima usanza i soli ricchi potrebbero lottare, e il potrebbero in due maniere: l' una imitando i loro avi che nel secolo scorso furono maestri della nazione: l'altra assicurando ai letterati di professione quel premio delle opere loro che d'altra parte non possono sperare. Senza di ciò non vediamo con quanta ragione essi possano lamentarsi di non trovar libri adattati alla prima educazione de' loro figliuoli. I letterati coi quali essi dolgonsi spesso di questa mancanza potrebbero rispondere: Quanto avete voi fatto per averli? E i posteri domanderanno: Che cosa fecero i discendenti di quegl' illustri Italiani del secolo XVIII per accrescere o tener viva nell' età loro la sapienza nazionale?

A.

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Annali civili del Regno delle due Sicilie.- Napoli, 1833, dalla tipografia del Real Ministero degli affari interni nel reale albergo de' poveri, in 4.° doppia colonna di stampa, vol. I. fasc. I., gennajo e febbrajo (1).

Non

on di rado a'di nostri avviene che neglette le moderne patrie o nazionali glorie tutto si rivolga lo studio ai fasti antichi od alle straniere grandezze; e non senza vitupero addiviene ancora che taluno de' nostri di ritorno da qualche viaggio innalzi a cielo le opere di belle arti e d'industria, non che le morali e le politiche istituzioni dei paesi da lui visitati, del tutto poi ignaro dei tesori de' quali è la patria sua posseditrice. Che se poi pongasi mente all' onore grandissimo in cui tiensi l'antichità, i cui monumentali frammenti si ricercano con avida sollecitudine, mentre il più delle volte trascuransi le virtuose azioni de' reggitori delle genti, e di coloro che intenti alle pubbliche faccende onorarono con belle opere i paesi alle lor cure affidati, è forza il maravigliarsi della umana ingiustizia. A tutto ciò s'aggiugne che talvolta con vergogna dell' Italia le ricchezze nostre ci vengono dagli stranieri manifestate: noi quindi la taccia ne riportiamo d'infingardi ed ignoranti; e l'audacia giugne al segno che oltramonti si mettono a sacco le invenzioni nostre, e persino i nostri pensieri. Chè non ha guari un agronomo della Francia pubblicava come sua novella invenzione l'uso nelle due Sicilie antichissimo di serbare i frumenti nelle fosse.

A provvedere a siffatti inconvenienti tendono gli Annali civili del Regno delle due Sicilie, che sotto gli auspicj di Ferdinando II ivi regnante ebbero col principiare di quest'anno faustissimo cominciamento. Lo scopo di essi quello è adunque di raccogliere e pubblicare tutte le Memorie che servir possono alla storia civile di quel regno, e svolgere quindi le vicende della pubblica amministrazione

(1) Opera periodica che appartiene alla classe de' giornali. Perciò si pubblica per fascicoli, ciascuno de' quali contiene due xuesi. Il prezzo d'associazione per un anno è di ducati sei.

ANNALI CIVILI DEL REGNO DELLE DUE SICILIE. 311

fra' Siciliani; esporre a mano a mano le riforme fatte alle antiche istituzioni; seguire il corso sempre svariato e crescente dell' industria, dell' arti, del commercio in que* paesi; illustrare i pubblici edificj che colà sorgono mercè del governo; annunciare di mese in mese i fenomeni del Vesuvio e dell' Etna, i tesori di antichità che vanno traendosi da quella terra, classica ed inesauribile miniera; rabbellire e far più agiate le provincie e le valli del regno, finalmente divulgare colle stampe ogni utile impresa che ne' reali dominj di qua e di là del Faro si vada operando.

Questi Annali per tanto non altro hanno di mira che la prosperità delle due Sicilie, vietata qualunque politica discussione. Essi compilati sono e posti in luce sotto la direzione del Ministro Segretario di Stato degli affari interni che pel primo ne vagheggiò il nobile utilissimo di visamento. Il lavoro non è esclusivamente affidato a pochi con pericolo che questi s' usurpino colà la dittatura dell'umano sapere, ma esso venne anzi proposto da quel governo come un mezzo per conoscere ed onorare i più gentili ingegni da un estremo all' altro delle due Sicilie. Le scritture però saranno da probi e dotti uomini disaminate, a' quali apparterrà il decidere se degne siano d'essere negli Annali inserite. L'autore ne riporterà il premio d' una medaglia di prima o seconda classe. Il suo nome non meno che quello del comune e della provincia o valle cui egli appartiene verranno onorevolmente menzionati. Sono associati di dritto i comuni del regno di prima e di seconda classe; quelli di terza classe hanno l'opera senza alcun pagamento. Così l'istruzione verrà a diffondersi per tutto il regno; ed anche gli abitanti delle più piccole terre conoscere potranno i pregi, i vanti, la civiltà di quella lor parte d'Italia che dal massimo tra' moderni epici fu chiamata pompa maggior della natura. Così l'emulazione anderà eccitando gli animi; e forse avverrà che in quelle medesime terre finora neglette si sviluppi più d'un possente ingegno, che in addietro per mancanza d'istruzione sterile rimanevasi o dimenticato. I prodotti di tali associazioni tornano interamente a profitto degli stessi comuni. Perciocchè essi destinati sono a premiare i cultori delle scienze e delle lettere della capitale e delle provincie invitati ad arricchire l'opera con le loro scritture, ed a sovvenire i veri dotti con ricompense animatrici delle utili fatiche.

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