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troppo facilmente a quella provincialità di lingua, dalla quale molti scrittori d'oggidì vorrebbero che ognuno si stesse contento come a fonte di chiarezza, non s'avvedendo che questa loro chiarezza somiglia spesso a que' bagliori internubilari che il valligiano crede comuni a tutta una regione, quando che non si stendono più in là che la sua valle. In secondo luogo procacci che il suo stampatore attenda un pochin più alla correzione. In un libro impresso in bella carta e con bei caratteri, come è il presente, fa pena l'abbattersi troppo frequentemente in voci o storpiate o ingrossate o decimate per evidente incuria di correzione. La Liguria trasformata in Luguria, i Biagi e gli Ambrogi rintronfiati a Biaggi e Ambroggi, le cappelle raumiliate a capelle, gli oggetti strappati a violenza ai loro soggetti da un torrente di virgole invadenti ogni parte a diritto e a rovescio, sono mende tipografiche troppo gravi. E giacchè oggidì è infinito l'amore del vero, a tale che lo si vuole puro purissimo fin anco in ciò che ha per base il mero verisimile, e a singolare atto pratico di sì egregia teoría si trae in romanzo la storia e si mandano le Muse a pigliar d'assalto le rive armate di quel Whal, di quel Lech dove Le vers est en déroute, et le poète à sec, a omaggio di questo vero non taceremo allo stampatore ligustico che alle mani oneste le speculazioni mercantili sono ben lontane dall'essere le spelucazioni della sua pagina 34. Per ultimo non pesi all'autore d'imitare l'usanza che s'aveano i nostri vecchi buona memoria dell' aggiugnere indici, e indici copiosi e disposti in molti aspetti, a que' loro lavori; e conforti egli pure questo suo libro di un buon indice nominale così degli uomini illustri, come de' paesi e delle produzioni loro naturali e dell'arte. Anche questa è contraddizione singolarissima tutta propria dell' età nostra! Mentre per un lato non è scienza, non arte, non dottrina i cui precetti non siano posti oggidì alla tortura dell'ordine alfabetico, dall' altro lato non è quasi libro che esca originale alla penna d'alcuno a cui s'accordi quel po' d'indice che tanto gioverebbe ad agevolarne l'uso occorrente dopo una prima lettura. Se a taluno cui venga letta questa nostra osservazione venisse voglia di buttarci in viso quella brutta parolaccia di vecchiume, noi offeriamo il viso pronto a riceverla purchè lo scagliatore ci assicuri in buona fede d'avere in prima dato un pensiero a' quattro secoli

di vita oltre ogni credere prolifica che conta oggimai l'arte maravigliosa della stampa.

Opere di C. Crispo Sallustio volgarizzate da Giulio TRENTO e Francesco NEGRI. La guerra di Catilina tradotta da Giulio Trento. Treviso, 1833, dalla tip. Trento, vol. I, in 8.o, di p. 191. L. 1. 92 aust.

Opportuno divisamento fu quello di pubblicare in Trevigi con nitida ed elegante edizione le traduzioni di Sallustio dettate da que' due begl' ingegni Trivigiani Giulio Trento e Francesco Negri, e ben con ciò si provvide al decoro della patria ed al vantaggio delle lettere. Giulio Trento nacque nel 1732, sortì un temperamento tranquillo e festivo, ed alla guisa dei Manuzi e degli Stefani divise la sua vita fra gli studj delle lettere e le cure della domestica tipografia. Mancò a' vivi nell'anno 1813, e lasciò pubblicati alcuni sermoni, un Trattato della Commedia, una Traduzione della Sarcotea del P. Masenio, ed una Traduzione di Sallustio. In quest'ultimo aringo scese competitore dell' Alfieri; ed un chiaro scrittore dei giorni nostri ebbe ad affermare che la sola grandezza del nome del rivale rende incerta la palma. Nella quale sentenza forse non tutti converranno quelli che vogliono por mente alle diverse indoli dei due traduttori ed alla loro corrispondenza con quella dello scrittore latino. Perocchè l' Alfieri privilegiato di un animo sublime, veemente, ardentissimo, e severo e forte, per non dire aspro e duro, nel suo dire ben poteva colla mente adeguarsi all'energia ed alla profondità di Sallustio, e colla parola a quella, che Quintiliano chiamava mirabile brevità e rapidità immortale: laddove il Trento che mite animo aveva ed alla ilarità piuttosto che all'austerità inclinato fece una traduzione fedele bensì, tersa, accuratissima, ma che, a parer nostro, non sorge all'altezza dei concetti Sallustiani. Per altra parte giustizia vuole che si osservi, che si è già detto da gran tempo che chi non ha l'animo dell' Alfieri non deve alfiereggiare; cosicchè, chiunque senza esser fornito delle singolari di lui tempere si attenti ad emulare con lui ed a imitare lo stile, fallisce nell'impresa ed anzichè breve, chiaro, energico, diviene oscuro e gonfio, o palesa difetto di nervi e di spiriti. Così non avviene del Trento, le cui scritture

formano un esemplare più profittevole, e più facilmente imitabile; ed ognuno che intenda a divenir colto e purgato scrittore italiano trova in esse una gran dovizia di pure ed evidenti parole e di modi elettissimi. Ed a prova di ciò vogliamo riferirne qui non già un brano delle due traduzioni scelto a nostro piacimento, ma quello bensì che, aprendosi il libro, primo si affaccia.

Bellum Catilinarium.

Omnis homines, qui sese student præstare cæteris animalibus, summa ope niti decet, ne vitam silentio transeant, veluti pecora, quæ natura prona, atque ventri obedientia finxit. Sed omnis nostra vis in animo et corpore sita est. Animi imperio corporis servitio magis utimur. Alterum nobis cum dis, alterum commune cum belluis est. Quo mihi rectius esse videtur, ingenii, quam virium opibus gloriam quærere, et quoniam vita ipsa, qua fruimur, brevis est memoriam nostri quam maxime longam efficere. Nam divitiarum et formæ gloria fluxa atque fragilis est: virtus, clara, æternaque habetur. Sed diu magnum inter mortalis certamen fuit, vine corporis, an virtute animi res militaris magis procederet. Nam et, prius quam incipias, consulto: et, ubi consulueris, mature facto opus est. Ita utrumque per se indigens alterum alterius auxilio eget.

Traduzione di V. Alfieri.
I.

Agli uomini che ambiscono esser da più degli altri animali, conviene con intenso volere sforzarsi di viver chiari; e non come bruti, cui natura a terra inchinò, e del ventre fe'servi. Anima e corpo siam noi: a quella il comandare si aspetta, a questo il servire. Coi Numi l'una, colle bestie l'altro accomunaci. Parmi perciò, che desiare si debba assai più la gloria con l'ingegno acquistata, che non colla forza; e che, di una breve vita godendo, lunghissima lasciare si debba di noi la memoria. Beltà e ricchezze son fragile e passeggiera gloria:

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Traduzione di G. Trento.

I.

Tutti gli uomini, che aman di sovrastare agli altri animali, hanno a porre ogni studio e forza per non trascorrere la lor vita in silenzio come le bestie, le quali col muso a terra ed al ventre serventi formò natura. Ora essendo ogni facoltà nostra posta nell'animo, o nel corpo; l'animo a comandare, il corpo meglio in di lui servigio adoperiamo; l'uno ci accomuna agli Dei, l'altro a' bruti. Ond' io stimo che sia miglior cosa procacciar gloria coll'energia dell' ingegno, che con le forze del corpo; e conciossiachè la stessa vita, che godiamo, sia breve,

la virtù è illustre ed eterna. Grande pure ed antica contesa fra gli uomini ell'è; se al guerreggiare più giovi la robustezza del corpo, 0 dell' animo; dovendosi prima il consiglio, e immediatamente poscia la mano adoperare. Ma ciascuna di queste doti per sè non bastando, l'una dell' altra abbisogna.

stendere quanto si può più lontano la memoria di noi. Perchè la burbanza di ricco e di bello è leggiera e se ne va; la virtù fiorisce e splende in eterno. Ma fu già lunga e grande contesa fra gli uomini, se per la milizia prevalga gagliardia del corpo, o il vigor dello spirito. Imperciocchè e prima di fare un' impresa dei prender consiglio, e, come preso l'hai, speditamente eseguirla. Però ciascuna delle due cose da sè mancante, sostiensi con l'ajuto dell'altra.

Il libro è intitolato al ch. professore G. A. Paravia, ed alla epistola dedicatoria seguono un avviso degli editori ed un discorso del traduttore Trento in cui questi dottamente ragiona sulle Istorie sallustiane, e rende conto di alcune norme osservate e delle avvertenze usate nel fare la traduzione. Aggiungiamo che l'edizione è degna di lode per correzione e per venustà; ed in essa s'inserirono gli argomenti e le tavole cronologiche, ovvero i fasti della guerra catilinaria e giugurtina sull'esempio della nitidissima edizione stampatasi in Torino nel 1827 per Giuseppe Pomba, della quale fu pure seguito il testo, ogni qual volta la traduzione lo consentiva.

Biografia degli Scrittori Padovani, di Giuseppe VEDOV A, Vol. 1., fascicolo 1.o, di pagine 176, in 8.o Padova, 1832, coi tipi della Minerva, Lir. 3 austr. Roma, Napoli, Perugia, Ferrara, Bologna, Venezia, Milano, Brescia, Parma, Cremona ed altre città d'Italia, anche di minor grado, non che alcune provincie, come il Piemonte, la Liguria, il Friuli, gli Abbruzzi ecc, ebbero le loro bibliografie municipali, provinciali, nazionali, cioè biblioteche, elenchi o cataloghi degli scrittori di quel paese, e delle opere da essi pubblicate, o passate ai posteri manoscritte in modo che se ne potesse avere notizia. Riesciva dunque singolare, che Padova, città anticamente celebre per dottrina, per insegnamento e per buon numero di maestri e di coltivatori d'ogni maniera dei buoni e dei più utili studj, non avesse finora sortito un nomenclatore,

un illustratore de' suoi autori anche più rinomati, in fine degli scrittori padovani. E questo forse poteva servire di scusa a quell' uomo di cui si parla nella prefazione del signor Vedova, il quale dopo di avere carpita in Italia qualche riputazione con un' opera sulle sue rivoluzioni, passò sott'altro cielo a scrivere in lingua, ed anche talvolta colla leggerezza francese, e parlando di Padova, negolle la gloria di avere dato la luce a guerrieri e ad artisti non solo, ma anche ad una quantità di dotti e a pochi ancora non di primo ordine. A quell'autore di cui poteva dirsi talvolta quello che Franklin disse del canonico Paw, ch' egli scriveva un giorno per pentirsene l'indomani, rispose con calore il Cesarotti; lo Sberti pubblicò due cataloghi di Padovani celebri ne' loro secoli, ed un più compiuto lavoro si attendeva dall' ab. GennariTM storico di quella celebre accademia, lavoro che rimasto imperfetto per la di lui morte, andò poi, almeno in parte, miseramente perduto. Ma questa lacuna, della quale coi Padovani avea a dolersi l' Italiana letteratura, vedesi ora nobilmente riempiuta per opera del signor Vedova, il quale partendo appunto dalla necessità di far conoscere anche agli stranieri i grand' uomini in ogni genere, ai quali Padova diede la culla, e dubbioso di poter condurre a fine un sì lungo lavoro, ne presenta ora un saggio nella Biografia degli scrittori padovani, tra i quali comprendonsi quelli pure del territorio, e fino di Cittadella che solo di recente ne fu staccata. Chiude egli la sua prefazione con un' amara doglianza contro le moderne biografie universali e nominativamente quella che si è riprodotta ultimamente in Venezia dal Missiaglia, per l'omissione fatta di tanti e tanti nomi di Italiani benemeriti in ogni ramo di scienze, lettere ed arti, omissione che era stata da noi fatta osservare in varj articoli di questa Biblioteca, e che i veneti editori di quella biografia sono ancora in tempo di riparare coi volumi di supplemento, ch'essi ci hanno spontaneamente promessi.

A questa biografia opportunamente si premette il catalogo dei libri dei quali più di frequente si è fatto uso dall'autore di questa compilazione, tra i quali con sorpresa non vediamo citato il Quensted che scrisse un grosso libro sulle patrie degli uomini illustri. Lodevole però ci sembra il disegno, seguito costantemente in questa biografia, disposta per ordine alfabetico, nella quale sotto Bibl. Ital. T. LXX.

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