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difettavano anch'essi dei necessarj documenti che attestassero i fatti? Rimane a dirsi, che la sola tradizione orale sia stata quella che abbia conservata la memoria delle cose prima avvenute, e dei primi re che governarono l'Egitto. Ma qual fede mai si merita una tradizione orale, che per due secoli e mezzo si mantenne fra un popolo profugo che traeva a stento la vita fra la guerra, ed il provvedere alle prime sue necessità? Indebolita al certo ed ottenebrata si sarà la tradizione, massime in tempi di poche lettere. Come poi, rintegrate le egiziane cose, si presero a scrivere i tramandati racconti, questi si potevano a man salva esagerare, impicciolire, travisare, e coll'aggiunta di altri nuovamente ideati ampliare. Non erano gli Egiziani estranei a quella vanità, per cui le antiche nazioni andavano a gara nobilitando le origini loro, e spingendole verso un'antichità oltre maravigliosa. I sacerdoti soli depositarj delle scienze e però delle tradizioni, soli educatori e censori dei re, potevano senza tema di venir contraddetti soddisfare a tal vanità della nazione, e rendere sè medesimi e i re più venerandi. Quindi è che la parte favolosa, da cui incominciano tutte le storie de' popoli, se non era stata già prima d'allora creata, inventare si potè ed a bell' agio ornare ed ampliare dai sacerdoti cronisti della dinastia XVIII e delle seguenti. Da tali cronache conservate negli archivj de' templi derivò Manetone la parte storica delle prime dinastie; essa per tanto è mal certa e di dubbia fede, quanto quelle cronache medesime.

Stabilita come verità evidentissima l'incertezza della storia d'Egitto anteriore alla Dinastia XVIII, non ci ha più ragione alcuna, per cui i filologi biblici temano che gli studj egiziani abbiano a contraddire Mosè e la sua cronologia. Se non che, havvi forse una cronologia mosaica che sia dommatica? Nella cronologia anteriore e posteriore al diluvio il testo ebreo, e però la Volgata, dissente dalla versione dei 70 Interpreti per modo che la differenza è di 1500 anni; i varj

testi dei 70 non concordano fra loro; sono pure svariate le lezioni di parecchie versioni orientali derivate dal greco; eppure tutti i testi anzidetti pubblicamente si leggono nelle chiese cattoliche. Si può pertanto cattolicamente ampliare la cronologia mosaica; e sulla fede di testi cattolici mi venne fatto di allargarne talmente i confini, che entrovi potei collocare tutte le dinastie di Manetone, eccettuate quelle troppo maravigliose dei Mani e de' Semidei. Cessino pertanto i timori, che per gli studj egiziani abbia Mosè a scadere dalla sua autorità, e si ripensi che nella cronologia non v' ha un numero dogmatico.

Che anzi colla storia egiziana concorda quella del popolo d' Israele, e mirabilmente vi si innesta. Gli Egiziani abborrivano i pastori. Gen. XLVI. 34; come mai adunque lietamente accolsero ed onorarono Giacobbe ed i suoi figli pastori? Ciò altrimenti non si può spiegare, se non dicendo, che quando gli Ebrei rifuggironsi nell' Egitto, non i Faraoni, ma i Pastori vi regnavano. Ma col tempo un re nuovo che non aveva conosciuto Giuseppe prese a regnare sull' Egitto, così Esod. 1. 8; vale a dire, sconfitti i Pastori, un Faraone, a cui Giuseppe ed i servigi da lui resi alla dinastia sbandita erano ignoti, prese a regnare. Disse egli, così prosegue il sacro testo, al popolo suo: gli Israeliti ci superano per numero e per forza, badiamo pertanto, che troppo più non crescano, ed avvenga che collegatisi coi nostri nemici ci guerreggino. Gli Egiziani dopo la strage che ne fecero i Pastori, assottigliati ancora dalle guerre continue fatte contro essi, e dall' ultima per cui con grave loro perdita espugnarono Auaris e ne cacciarono il nemico, non erano più quel popolo fiorentissimo per numero e per forza, che ampiamente dominava l'Egitto sotto la dinastia XVI; e però meritamente dovevano temere i vicini Israeliti, sì perchè cresciuti a straordinaria moltitudine e forza, e sì perchè amici dei Pastori ed avversi agli Egiziani odiatori della vita pastorale, potevano quando che sia collegarsi colle

reliquie dei Pastori e tentare una nuova invasione. Per tal modo la storia mosaica si concilia colla Egiziana; nè quella si può spiegare se non ammettendo un cangiamento di dinastia avvenuto dopo la morte di Giuseppe.

La seconda conseguenza più sopra annunziata si è, che gli studj egiziani confermano la storia di Manetone. Questa verità evidentemente apparisce da tutti gli studj del Chanipollion, e da quelli più accurati del Rosellini: i documenti raccolti ed interpretati a a nient'altro riescono se non a corroborare quanto aveva scritto il sacerdote Sebennitico. Se non che, siccome il testo di Manetone fu variamente compendiato da Giulio Africano e da Eusebio, e questi compendj talora differiscono dall' originale scrittura di Manetone, di cui parecchi frammenti ci furono conservati da Giuseppe Flavio, però in tali discrepanze valgono i monumenti egiziani a determinare il genuino testo di Manetone. Così nella dinastia XVIII Giulio ed Eusebio riferiscono soli sedici re, mentre Manetone citato da Giuseppe ne numera diciassette: qual sarà il vero numero? L'esame de' monumenti ci conduce a riconoscere, che diciassette appunto furono i re della dinastia XVIII. Il confronto di tali documenti paralleli occupa una notevole parte del libro. Io non seguiterò il chiarissimo autore in tal paragone di cartelli succedentisi, donde e i nomi si ricavano, e le varianti dei medesimi: contento di avere indicate le due principali conseguenze che dagli studj egiziani derivano, non credo di dover entrare in quistioni filologiche. Confido in oltre di avere riconciliati parecchi colla nascente cronologia d'Egitto, e di avere accennato qual debito di riconoscenza ci stringa al Sovrano, che volle l'Italia non fosse estranea alla spedizione scientifica ideata dai Francesi, ed al chiarissimo prof. Rosellini, il quale con solerte dottrina ordina ed illustra i monumenti che con mirabile fervore raccolse.

Peyron.

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Esame della Storia degli antichi popoli italiani di Giuseppe MICALI, in relazione ai primordj dell' italico incivilimento. Memoria di Gian Domenico ROMAGNOSI. Parte II. Vedi i quaderni di febbrajo e marzo p' p. pag. 146 e 285 di questo Giornale. Perchè la nostra penisola abbia ricevuto il nome d'Italia.

S VII. Prima ragione. Denominazione propria originaria.

Quando

Quando si tratta delle origini storiche sogliono gli scrittori ed anche i leggitori ben tosto chiedere da che sia derivato il nome d'Italia imposto alla nostra penisola. Ma nel fare questa domanda si è forse pensato all' indole ed all' estensione della medesima? Si è forse avvertito che essa racchiude eminentemente la soluzione del problema storico della sua origine etnica e civile? Volendo adunque soddisfare ad una impaziente curiosità, altro fare non si può fuorchè rispondere in via di anticipazione, rimettendone le prove ad un susseguente discorso. Ecco ciò che noi avvisiamo di fare per ora, salvo a' nostri lettori di sospendere il loro assenso definitivo alle nostre parole. Questa riserva è per noi tanto più rispettabile, quanto più insolita dovrà apparire la nostra opinione, di far procedere il primitivo italico incivilimento, e quindi le popolazioni dall'Africa di qua dell'Atlante, compresa dai Greci sotto il nome di Libia, senza rifiutare le orientali procedenze soprattutto siriache. Quest'opinione si deve supporre già dimostrata prima di definire la quistione dell'origine del nome d'Italia imposto al nostro paese. E siccome questa opinione suppone nei Libj e negli Orientali l'attitudine di apportare incivilimento, e suppone del pari l'altra tesi della procedenza da un punto unico del globo, così esige almeno che dimostrato venga in que' popoli il possesso di ciò che comunicarono all' Italia.

Ciò sia detto onde avvertire quali e quanti rapporti racchiuda nel suo grembo la quistione della denominazione d'Italia data alla nostra penisola. Da ciò ognuno vede che la soddisfacente risposta sulla denominazione d'Italia non può in buona logica emergere fuorchè in via di finale risultamento dalla discussione dei punti ora mentovati. Tutto ciò pertanto che siamo ora per dire, accogliere si dovrà come mera premessa della risposta definitiva e nulla più. Ciò prevenuto, entriamo in materia, dimostrando che di fatto gli Oschi, Ausoni, gli Esperidi, gli Etruschi e le altre popolazioni non estesero a tutta la penisola nostra veruna delle loro particolari e proprie denominazioni.

I Raseni, benchè orientali, non imposero il loro nome nemmeno al territorio da essi occupato. Essi furono indicati col nome di Tuschi, nè appariscono con verun segno di autonomia e nemmeno con monete proprie. Dedurre il nome d'Italia dal greco Italos, che significa bove, è una di quelle scempiaggini etimologiche alle quali non corrisponde fatto alcuno. Forse che l'Italia fu terra originaria dei bovi o l'aver bovi era forse una singolarità onde meritare all'Italia di essere chiamata terra dei bovi (1)? Aristotile e dopo lui tutti gli altri dedussero il nome d'Italia da un Re detto Italo che le diede il suo

(1) Quest' etimologia potrebbe avere un senso ragionevole allorchè si ammettesse con alcuni scrittori che i Fenicj-Tirreni detti altrimenti Pelasgi i quali chiamarsi potevano dalle navi dei bovi (che di fatto portavano seco nella loro prora) si fossero impossessati pei primi di quel pezzetto di paese che dapprima chiamossi Italia. Ma anche quest' uso non era singolare. Alla testa dell' emigrazione che si eseguiva colle sacre primavere interveniva il bove. I Cimbri sconfitti da Mario nelle vicinanze di Vercelli conducevano seco la statua di un bove che fu portato a Roma. Gli Ebrei nel deserto, giusta il costume di altre genti, vollero avere un bove da adorare. Ora gli etimologisti grecizzanti veggano se si possa usare della loro spiegazione.

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