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sono evitati i monosillabi, come quelli che rendono la chiusa troppo pesante e quasi staccata dal verso. Si fa eccezione soltanto per quei monosillabi che si pronunziano uniti strettamente alla parola che precede, come le particelle enclitiche τέ, κέ, γέ, τοί, μοί, ποί, πού, ecc., e qualche monosillabo pospositivo, come ráp, dn, ecc. Anche in latino vi sono enclitiche con le quali non avevasi riguardo di terminare il verso, come l'indefinito quis dopo si, ne, cum, num; poi i pronomi me, te, se, nos, vos, uniti a preposizioni, per esempio, intérse, intráme. Alcune volte, come in greco, è enclitico est ed anche le altre forme dello stesso verbo: sum, es, sunt, sim, sis, sit, sint, quando siano precedute da un monosillabo o da un polisillabo terminato con sillaba breve e chiusa, per esempio, heluatus est. Se però al monosillabo finale stava innanzi un altro monosillabo, il cattivo effetto era tolto; per esempio, Orazio, Carm. 4, 7, 11 e 23.

In fine di verso preferivasi la sillaba lunga alla breve, la sillaba chiusa all'aperta. Anche se fra l'uno e l'altro verso l'iato non offendeva, il periodo ritmico acquistava però in questo modo maggior saldezza.

Amavasi molto chiudere il verso con due lunghe precedute da breve, principalmente nell'esametro dattilico ed in molti versi lirici; quindi comuni i bisillabi spondaici

i trisillabi bacchiaci

i quadrisillabi epitriti

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canti gravi e maestosi della tragedia preferivano parole spondaiche precedute da sillaba lunga. Energica e vivace era la chiusa cretica e coriambica preceduto da un giambo formava il dochmio

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Il cretico -,-~-, clau

sola giudicata grave e severa da Quintiliano, Inst. 9, 4.

Il principio de! Verso.

Meno importante, ma non senza un certo influsso sul carattere del verso, è anche il modo in cui esso incomincia. Qui ci conviene ricordare quanto abbiamo detto parlando dell'anacrusi. I versi discendenti cominciano con la percussione, e questo declinare dal tempo forte al tempo debole conferisce loro un andamento tranquillo; gli ascendenti fanno invece l'impressione d'un moto crescente e quasi di un impeto a cui si prenda l'abbrivo, ed hanno quindi carattere più vivo ed energico. L'anacrusi può essere monosillaba e bisillaba. Se è monosillaba, la quantità è sempre indifferente, e quindi la sillaba è ancipite anche in quei versi, che in altri luoghi non comportano veruna sillaba irrazionale, come, per esempio, alcuni metri giambici. Se l'anacrusi è di due sillabe, queste di regola sono brevi non ammettono irrazionalità.

In alcuni metri, usati principalmente dai poeti eolici, il primo piede aveva forma libera e indipendente da quella dei piedi che seguivano. Hermann diede a questo dioσúlλαβον ἀδιάφορον il nome di base, che poi ritenne in quasi tutti i trattati moderni. Nei poeti eolici la base poteva avere le seguenti forme:

Anacreonte e i poeti corali, e poi i dramatici che ne seguirono l'esempio, non usano il pirrichio, ma invece sciolgono la lunga del trocheo ed usano il tρißpaɣús. In essi adunque la base può avere queste forme:

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Quando la lirica non fu più cantata ma solo recitata, cessò questa libertà di forme e la base prese la forma stabile dello spondeo. Tale la troviamo in Orazio:

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E qual è il valore di questa base? Va essa contata fra i piedi che formano il verso, ovvero è una specie di anacrusi bisillaba con quantità libere, che sta davanti alla prima percussione principale? Le opinioni dei moderni sono divise. G. Hermann la considera come una specie di anacrusi e la definisce << præludium quoddam ac tentamentum numeri deinceps secuturi ». Il Westphal vuole che sia una parte ritmica e integrale del verso. È da notare anzitutto che la base incomincia versi di ritmo trocaico, cioè o logaedi o versi dattilici, nei quali i dattili vanno riguardati come ciclici. Volendo adunque tenere la base come il primo piede del verso, conviene attribuirle la durata di tre tempi. A questo non v'è nessuna difficoltà quando essa incomincia col trocheo razionale o irrazionale, o sciolto. Anche se ha forma di giambo potrebbe valere come piede trocaico, o prendendo la percussione sulla breve, o lasciando la prima breve in anacrusi e protraendo la lunga per τový, La difficoltà incomincia dove essa abbia forma di pirrichio, come nei poeti eolici, perchè in questo caso dovrebbesi interpretare in modo insolito, o attribuendo alle due brevi una durata maggiore, in maniera che raggiungessero l'estensione del trocheo, o ammettendo che il piede incominciasse con una pausa, su cui cadesse la percussione A. Certo è che questa libera forma del primo piede aveva le sue ragioni nella melodia, tanto che, scomparsa questa, essa prese forma stabile. Ciò dimostra, a parer mio, che Orazio la interpretava, non come un tempo anticipato, ma come il primo piede del verso; e come tale la riguarda

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vano probabilmente anche i poeti corali e gli altri che non usarono il pirrichio.

Denominazione dei Versi.

I versi prendono il loro nome dal numero delle battute (μétpa) di cui sono composti, aggiungendovi il genere dei piedi; per esempio: trimetro giambico, tetrametro trocaico, esametro dattilico, ecc. Vi sono piedi che hanno ciascuno una percussione principale, e perciò formano da soli una battuta, come i cretici e per lo più i dattili. Questi adunque si misurano per monopodie, e perciò dicendo esametro dattilico o tetrametro cretico intendiamo versi composti di sei dattili o di quattro cretici. Altri piedi, come i trochei, i giambi, gli anapesti, sogliono unirsi a dipodie, in maniera che la percussione principale ritorna di due in due piedi. In questi il uμéτpoν consta di due piedi e perciò si misurano per dipodie. Dicendo adunque trimetro giambico o tetrametro trocaico s'indicano versi composti di sei giambi o di otto trochei. Quando si voglia indicare un verso o un membro di esso dal numero dei piedi, si usano i nomi di dipodia, tripodia, tetrapodia, ecc., e questi si usano principalmente qualora una serie vada misurata in modo diverso dall'ordinario. Per esempio, un verso di sei giambi misurato a dipodie è un trimetro; ma questa medesima serie misurata a monopodie dicesi un'esapodia. Per converso diremo esapodia dattilica una serie di sei dattili quando non sia l'esametro dattilico ordinario, ma un verso lirico che segue probabilmente la misura dipodica. Con questi nomi indicheremo anche le serie di trochei dattili anapesti che hanno un numero dispari di piedi, e quindi non si possono ridurre a dipodie se non mediante le misure liriche. Tali sono le tripodie, le pentapodie, le ettapodie, ecc.

Gli antichi indicavano i periodi anche dal numero dei membri; per esempio, περίοδος τροχαϊκὴ ὀκτάμετρος τετράkwλoç è un sistema di sedici trochei, cioè di otto dipodie, diviso in quattro membri; περίοδος ἀναπαιστική δεκάμετρος πЄντάкшλоç è un sistema di dieci dipodie anapestiche diviso in cinque membri, ecc.

Scrittura dei Versi.

I versi comuni, come l'esametro dattilico, il trimetro giambico, il tetrametro trocaico e l'anapestico, ecc., furono scritti fino dall'antichità ciascuno in una linea, ond'ebbero il nome di σtíxoi, versus. I loro membri non erano indicati da verun segno, perchè nei versi brevi l'importanza dell'intero prevale su quella delle parti e poi la spezzatura si trova facilmente. Ma nei periodi maggiori i membri hanno un valore ritmico più importante, perchè quanto più esteso è il giro della melodia, tanto è più difficile percepirne l'unità, ně a questo si potrebbe giungere se le suddivisioni interne non fossero molto sensibili. Ciò ebbe per effetto che nei secoli posteriori ai classici i membri di lunghi periodi furono trattati come versi compiuti e indipendenti, allo stesso modo che nella strofa italiana. Quindi i grammatici alessandrini nelle loro recensioni dei poeti corali e dramatici divisero appunto e strofe e periodi nei loro membri, e così ci pervennero nei manoscritti. In questo modo scomparve ogni indizio del verso e del periodo entro la strofa, e sventuratamente anche la divisione dei membri non riuscì esatta, perchè i grammatici nella colometria seguirono spesso criterii falsi; di maniera che tutta la rappresentazione esteriore della strofa e dei suoi elementi fu interamente distrutta. I moderni si accinsero a ricostruirla, cercando la fine dei

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