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CAPO IV.

La Lingua nella Poesia.

La quantità naturale.

La lingua è un prodotto organico della natura umana e, come tutti gli organismi vivi, trovasi in un perpetuo moto di trasformazione e di rinnovamento, che trascina tutti gli elementi fonetici, melodici e ritmici della parola. La civiltà, la scrittura, le grandi istituzioni possono rallentare quel moto, ma non arrestarlo, e tutte le volte che letterati e grammatici tentarono la pazza impresa di fissare per sempre una lingua in un dato momento del suo sviluppo, non crearono altro che una convenzione pedantesca, buona a solleticare gli ozi di popoli sonnacchiosi e sfaccendati, ad inceppare l'ingegno e la virtù creativa delle nuove generazioni, ma non ad essere strumento efficace di coltura e di progresso.

Perciò anche la quantità delle vocali, che pure è una delle proprietà più antiche della lingua, dovette patire in progresso di tempo mutazioni gravi. In generale nella evoluzione della lingua la durata delle lunghe e quella delle brevi, ben distinta negli antichissimi tempi, tende a raccostarsi, e accade piuttosto che le lunghe diventino brevi anzichè le brevi si allunghino. Così dove troviamo una sillaba di quantità incerta, è lecito argomentare dal massimo nu

mero dei casi in cui la quantità primitiva fu riconosciuta, che fosse lunga in origine e siasi gradatamente abbreviata. Entro una lingua stessa questo processo non è uniforme, ma in un dialetto è più rapido, in un altro più lento. Cosi fino nei più antichi monumenti poetici troviamo riflessa questa oscillazione della quantità. Ai poeti furono attribuite molte violenze fatte alla lingua per adattarla al metro, е queste corrono sotto il nome di licenze poetiche; ma di queste accuse essi vanno purgandosi via via per opera degli studi linguistici, i quali appunto dimostrano che variò la forma e la quantità delle parole secondo i tempi e i luoghi. Anzi i poeti, piuttosto che essere colpevoli di violenze contro la lingua, esercitarono un influsso conservativo, perciò che stabilirono un'autorità e servirono di modello. E in vero, le così dette licenze sono più frequenti in quei generi di poesia che ritraggono più fedelmente la nativa pronunzia del linguaggio popolare, cioè nei comici; e molto maggiori nei Latini che nei Greci, perchè la comedia greca fiori dopo molti secoli di letteratura poetica, la cui autorità s'imponeva anche ad essa; laddove i comici latini poetarono nei primordi della loro letteratura, senza autorità nè modelli da imitare. Per questa medesima ragione molte varietà prosodiche si trovano nel metro più antico dei Greci, che è l'esametro dattilico. In quei tempi il poeta disponeva d'una lingua vivace e rigogliosa, ricca e varia di forme, non ancora limitata da autorità o convenzione letteraria. La quantità di molte sillabe pendeva ancora incerta nella armoniosa pronunzia popolare, ed ora obbediva a leggi istintive d'eufonia, altre volte a varietà dialettiche di genti confuse insieme, come pare che Eoli e Joni fossero a Smirne, una delle sedi principali della poesia epica. Di questi preziosi elementi poteva approfittare il poeta per ridurre la lingua sotto la legge d'un ritmo, e poichè egli cantava i proprii componimenti, poteva con la forza della percussione e con varie modulazioni riparare a molte difficoltà metriche.

ZAMBALDI, Metrica Greca e Latina.

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Quasi tutte adunque le licenze poetiche dei classici greci fino ad Alessandro, e in parte quelle dei Latini, si possono spiegare o con la storia della lingua o con l'uso degli elementi ritmici, cioè la percussione forte e debole e lo stacco della cesura. La vera licenza poetica incomincia coi tardi poeti, i quali imitarono gli antichi quando la lingua aveva già patito alcune trasformazioni, e certi usi non potevano essere nè spiegati nè giustificati.

Il processo d'abbreviazione della quantità naturale apparisce meno spiccato in greco che in latino; di che credo esservi parecchie ragioni: 1) che il greco ebbe esplicazione molto anteriore al latino e più rapida di questo; 2) che ad Omero andò innanzi una lunga serie di poeti, i quali contribuirono a fissare le quantità; 3) che Omero godette la massima autorità su tutti i poeti posteriori. Al contrario nel latino, ch'ebbe più tardo sviluppo, la lunghezza originaria delle sillabe si conservò per maggior tempo; i comici latini, come avvertimmo, non ebbero modelli poetici avanti a sè ed esercitarono ben poca autorità sulla poesia posteriore. Nondimeno troviamo che Omero usa kaλós e iσog sempre lunghi, laddove gli Attici li usarono brevi. Nei suoni e ed o la quantità dovette essere ben distinta, perchè trovò la sua espressione nella doppia scrittura e ŋ, o w; ma le altre vocali rimasero più incerte, sicchè troviamo la doppia quantità dell'a in Αρης, Αιδος, Απόλλων, ἀνήρ, καλός, ἀρῶ, ἀτάλλω, ἀμᾶν, φάρος, ἑκάς; poi negli accusativi ea, eas dei sostantivi in eúg, che specialmente negli Attici si conservò lungo. L'oscillazione della quantità apparisce principalmente da quei passi, dove lunga e breve sono raccostate nella stessa parola, come, per esempio, l'a di "Apec nel verso E, 35:

Αρες Αρες, βροτολοιγέ, μιαιφόνε, τειχεσιπλῆτα.

Edi quantità incerta la 1 in ἴλαος, ἴσασι, ἴσος, ἐμάς,

ἐλάσκομαι, οίω, τίω, μηνίω, θίασος, ἤια, πιαίνω, πιφαύσκω, ἡμῖν, ὑμῖν, πρίν, λίαν, ἀνία, καλία, κονία, Αἴγινα, πέρδικος, καρίδος, ῥαπίδος, κακίων, Κρονίων, nelle desinenze di πάις, κληίς e in quelle dei nomi in ις, ιν nel nominativo e nell'accusativo, come ὄρνις, γλαυκῶπις, βλοσυρῶπις, ἔρις, βοώπις, θούρις, μήτις, ἤνις, πόλις.

Ε incerta la u in ὕω, λύω, ἀλύω, φύω, ῥύομαι, ὕδωρ, ἰλύς, οἰζυρός. E sempre lunga nei nominativi e accusativi in ύς, ύν, come ἰχθύς, πληθύς, ἀχλύς, ιθύς, πέλεκυς.

Anche nei suoni e, o, che pur erano i più regolari, la doppia quantità trovasi rappresentata dalla doppia scrittura ἀργῆτι ο ἀργέτι, ήύς e εύς, γηραιός ο γεραιός, Διώνυσος Θ Διόνυσος.

A questo processo d'abbreviazione sembra contraddire il congiuntivo omerico con la vocale breve, laddove più tardi apparisce lunga; per esempio, βούλεται, ἔδομεν, ἴομεν per βούληται, ἴδωμεν, ἴωμεν. Cio appariva una licenza poetica, fino a che fu dimostrato che il carattere del congiuntivo era breve, e tale rimaneva in tutti i temi forti del presente, dell'aoristo attivo e passivo e del perfetto ("). Cosi agli indicativi forti ἴμεν, ἴδμεν, εἶκτο, άλτο corrispondevano i congiuntivi ἴομεν, εἴδομεν, εὔχεται, ἅλεται. La lunga del congiuntivo risultò poi dall'unione di questa vocale breve con la vocale tematica, e secondo tale analogia si formarono poi tutti i congiuntivi con vocale lunga. È questa la ragione storica dell'antico congiuntivo, che troviamo ancora in Omero; per esempio, i presenti κιχήομεν, ἴομεν, (εἴομεν ?), φθίεται, φθιόμεσθα, gli aoristi attivi ἐπι-καταβήομεν, στήομεν, παρατήετον, θήομεν, ἀπο-καταθήομαι, βλήεται,

(1) Vedi il PAECH, De vetere conjunctivi græci formatione. Bresl. 1861. H. STIER, Bildung des Conjunctivs bei Homer. Stud. 2, 125 e segg. A. BARGAIGNE, De conjunctivi et optativi in indoeuropæis linguis informatione et vi antiquissima. Paris, 1877.

γνώομεν, δώομεν, gli aoristi passivi δαμήετε, τραπήομεν, (νεμεσσηθήομεν? ω 53), i perfetti εἴδομεν, εἴδετε, πεποίθου μεν, (προσαρήρεται, Hes., Op. 431). Questa forma di congiuntivo si trova inoltre, parallela all'altra, in circa centoventi forme d'aoristi sigmatici, come ἀβροτάξομεν, ἀγείρομεν, βήσομεν, ἐρύσσομεν, ἀλγήσετε, τίσετε, σαώσετον, ματήσετον, παραλέξομαι, μυθήσομαι, εὔξεαι, δηλήσεται, ἀμείψεται, ἰλασόμεσθα, ecc.

L'allungamento di e in et come τελείω per τελέω, ἀκειόμενον per ἀκεόμενον, ecc., non & neppur esso un arbitrio poetico, ma trova la sua spiegazione nelle forme primitive τελέσιω, ἀκεσιόμενον.

In altri casi Omero usa gli elementi ritmici del verso per modificare la quantità. Una sillaba su cui cadesse la percussione forte del piede acquistava tale intensità, che pur essendo breve poteva valere per lunga. Questo mezzo fu usato anzi tutto per quelle parole che non potevano entrare nell'esametro, quelle cioè che avevano tre brevi di seguito. Cio fu detto dagli antichi grammatici δακτυλίζειν τὸν τριβραχύν. Questo influsso dell'esametro sulla quantità delle parole non parrà strano a chi pensi che l'esametro fu per secoli l'unica forma della poesia, e ciò quando la poesia era l'unica forma della coltura. A questo influsso va probabilmente attribuita la doppia formazione del comparativo e del superlativo con o e con w secondo la quantità della sillaba precedente, come χρηστότερος ο στενωτερος. Cosi adunque per virtù della percussione Omero ed i poeti posteriori usano per lunga la prima sillaba di ἀθάνατος, ἀκάματος (απάλαμος, Hes., Op. 20), ἀπονέοντο, ἀποδίωμαι, ἀγοράασθε, ἀποπέσησι, ἐπίτονος, διογενής δυναμένοιο, ζεφυρίη, θυγατέρεσσι, πανάπαλος, πιόμενος ("). Di cosi fatti allungamenti

(1) La lunga dell'a privativo in ἀθάνατος, ἀκάματος potrebbe spiegarsi con la sillaba av privativa, di guisa che si sarebbe detto dapprima ἀνθάνατος, ἀνκάματος, come si disse ἀναιδής, ἀνάλγητος.

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