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Del resto, secondo Mario Vittorino, 2, 2: heroi versus vitiosi habentur qui ex solis dactylis vel qui ex solis spondeis constant, quia in talibus aut gravis tarditas aut velocitas nimia vitiosa est.

Per dare un'idea dei tipi diversi predominanti in greco e in latino prendiamo i cento primi versi dell'Iliade e i cento primi dell'Eneide, e negli schemi seguenti poniamo a sinistra il numero di volte che ciascun tipo ritorna nei cento versi di Omero e a destra in quelli di Virgilio:

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-123

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1331

531

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KC KC KC KC KC IC IC IC IC IC IC IC IC IC ICICIC ICIC

Eneide

(0)

(5)

(1)

(4)

(0)

(5)

(5)

(8)

(12)

(3)

(3)

(16)

(11)

(0)

(5)

(0)

(16)

(6)

(0)

Da questo confronto apparisce abbastanza chiaramente che i tipi più frequenti in Omero sono tra i più rari in Virgilio e viceversa. Dei cinque tipi omerici che mancano in Virgilio tre sono spondaici, uno il dattilo puro, uno con gli spondei nel primo e nel secondo piede.

Le percussioni dell'esametro.

L'esametro è composto di due membri, ciascuno dei quali deve avere una percussione più forte delle altre, che gli dia l'impronta dell'unità ritmica. Noi però non sappiamo se le due percussioni cadessero sempre negli stessi piedi o se variassero di posto, e non possiamo discorrerne che per conghiettura. Nei versi composti di membri eguali divisi da una cesura costante è ragionevole che la percussione cadesse sempre allo stesso posto, come negli ottonarii e nei decasillabi italiani gli accenti stanno sempre sulle stesse sillabe. Ma in un verso come l'esametro, con la cesura mobile e i membri di varia grandezza, la stabilità della percussione avrebbe prodotto una tediosa monotonia (). La percussione era designata probabilmente dalla sillaba più significativa di ciascun membro, e perciò mutava di posto, contribuendo anch'essa con gli altri elementi alla varietà dell'esametro. Per esempio, versi come A 37, 39:

κλύθί μευ Αργυρότοξ, ὃς Χρύσην ἀμφιβέβηκας,
Σμινθεῦ, εἴ ποτέ τοι χαρίεντ ̓ ἐπὶ νηὸν ἔρεψα,

(1) Il KIRCHHOFF, trattando intorno all'accento dell'esametro eroico, volle dedurre dalla melodia dell'Inno alla Musa, che ci è conservata, che le due percussioni cadessero sempre vicino alla cesura: perciò nelle quattro cesure sarebbero distribuite così:

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In queste quattro cesure non vi sarebbero adunque che due combinazioni. Ma forse il KIRCHHOFF prese per regola generale un caso particolare.

è verisimile che avessero la percussione principale del primo membro sopra la prima sillaba. Invece A 106:

μάντι κακῶν, οὐ πώποτέ μοι τὸ κρήγυον εἶπας

è ragionevole che l'avesse nella seconda arsi, e finalmente A 148 sulla terza:

τὸν δ ̓ ἂρ ὑπόδρα ἰδὼν προσέφη πόδας ὠκὺς ̓Αχιλλεύς.

Eguale varietà dev'esservi stata nel secondo membro dei versi omerici. Ma nei Latini, incominciando dall'età d'Augusto, e nei Bizantini, quando incomincia a farsi valere l'accento, la percussione del secondo membro pare legata al quinto piede. In effetto le leggi dell'accentuazione latina, che lasciano atona la sillaba finale e nei polisillabi fissano l'accento sulla penultima lunga, ebbero per effetto che l'accento cadesse sopra la quinta arsi tutte le volte che il verso terminasse con parola trisillaba; per esempio, luctuque refugi, ed anche bisillaba non preceduta da altra bisillaba, per esempio, misérrima vidi. A queste combinazioni naturali del latino s'aggiunse lo studio evidente nei poeti di evitare quelle altre, che avrebbero spostato l'accento dalla quinta arsi. Virgilio e Ovidio non ammettono quasi altra chiusa che la bisillaba e la trisillaba; la monosillaba preceduta da parola giambica solo per ottenere particolari effetti, come il procumbit humi bos che abbiamo recato sopra. Erano giudicate brutte, e perciò sono rare, clausole come queste :

et quo quaeque modo fierent opera sine divum.
propter egestatem linguae et rerum novitatem.

benchè i buoni poeti abbiamo saputo adoperare a proposito

ZAMBALDI, Metrica Greca e Latina.

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anche queste forme disarmoniche, come Virgilio, Aen. 4,

667:

E Ovidio:

lamentis gemituque et femineo ululatu.

et bis io Arethusa, vocavit, io Arethusa.

I poeti satirici, i quali, anzichè evitare gli esametri sgangherati, spesso li cercano a bella posta, usano libertà maggiori anche in questa parte. In Orazio troviamo, per es., di così fatti versi, Sat. 1, 7, 13 e seg.:

ira fuit capitalis ut ultima divideret mors,

non aliam ob causam nisi quod virtus in utroque.

Lo studio dei Latini di conciliare l'accento con la percussione del quinto piede si trova pure negli epici bizantini della scuola di Nonno, il quale chiude una sola volta il verso con le parole ἄκοιτιν ἐλάσασα. Invece non evita le chiuse πειθώ χαλινά, όπωπῆς Ἰνδῶν e simili, perchè in questi casi l'accento grammaticale, venendo dopo la sillaba colpita dalla percussione, perde gran parte della sua forza.

Ma nella prima parte dell'esametro i Latini, non che cercare la coincidenza dell'accento con la percussione, si studiavano piuttosto di evitarla; e se l'accento cadeva sopra la seconda arsi in parola terminata a forma di dattilo, il verso non piaceva; per esempio:

irreparábilis abstulerit iam praeterita aetas.

celso péctore, saepe iubam quassat simul altam.

L'esametro nella lirica.

L'uso continuato dell'esametro dattilico fu proprio soltanto dei poeti lirici più antichi. La poesia religiosa dei vóμo aveva carattere epico, e perciò Terpandro, autore principale di quel genere, usò questo metro (vedi nell'Anthologia lyrica del Bergk, fr. 5 e 6), e ad imitazione di lui i poeti nomici più tardi, Timoteo, il quale, secondo Suida, compose vóμoug di ẻmŵv, Filosseno e Teleste. I poeti lirici Alcmano, Stesicoro, Ibico, che trattarono soggetti epici, usarono anche l'esametro continuato (vedi Alcmano, fr. 26, 27, 40, 41, 42), ma per lo più diedero al ritmo dattilico maggiore varietà e composero strofe di varii membri. L'esametro unito al pentametro rimase poi sempre il metro dell'elegia, e in questa la sua struttura non differisce da quella dell'epos. Archiloco, il più antico poeta lirico, lo usò pure unito in un distico a tripodie e tetrapodie dattiliche, di che ci restano esempi nelle imitazioni di Orazio, carm. 4, 7: 1, 7 e 28. Nei cori del drama l'esametro continuato si trova soltanto in Sofocle, Trachin. 1009-1013: Philoct. 839-842, e in Euripide, Suppl. 271-274 (Seneca, Med. 110-15: Oed. 233-38, 403 e segg.). In generale l'esametro nel drama è raro, e s'accompagna ad altri metri dattilici o giambo-trocaici; ritorna però quasi sempre quando si riportano oracoli, che da tempo antichissimo erano dati in questo metro, e perciò chiamavasi anche πʊðiкóν; per esempio, Eurip., Hec. 75; Aristof., Equ. 197 e segg.: 1015 e segg.: Pax, 1063: Av. 992 e segg.: Lysistr. 770 e segg.

Gli esametri lirici hanno in generale carattere diverso dagli eroici; i loro membri non sono tanto fusi insieme in una semplice unità ritmica, ma restano più sciolti; e quindi

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