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e in Orazio, Ep. 2, 3, 99 e sg., e Sat. 1, 1, 79:

Non satis est pulcra esse poemata; dulcia sunto,

et quocumque volent animum auditoris agunto.

horum

semper ego optarim pauperrimus esse bonorum.

La rima si trova pure fra i due membri di un verso, p. es.:

ἔσπετε τῦν μοι Μούσαι Ολυμπια δώματ ̓ ἔχουσαι (Β. 484).
limus ut hic durescit et hæc ut cera liquescit (VIRG.).

ne tamen ignores quo sit Romana loco res (HOR.)
quot cælum stellas, tot habet tua Roma puellas (OVID.).

Questo tipo di verso fu poi imitato nel medio evo nei così detti versi leonini. L'uso della rima diventò più frequente nei poeti cristiani, come uno spediente per imprimere le canzoni sacre nelle rozze menti delle plebi. Così la troviamo negl'inni attribuiti a S. Ambrogio e nei posteriori.

Anche l'assonanza dell'ultima sillaba si trova ne' due membri d'un verso, che spesso terminano con due parole corrispondenti; p. e.:

Troiaque nunc stares Priamique arx alta maneres.

Ciò avviene di frequente nel pentametro, dove alla fine dei membri sogliono stare aggettivo e sostantivo, o participio e sostantivo, o due parole coordinate; p. es., nella prima delle Eroidi: insanis-aquis, deserto-lecto, antilochum-victum, patrios-deos, posita-mensa, ecc.

Ora che abbiamo esposto brevemente quali rapporti corrano fra il ritmo e la lingua, possiamo definire che cosa s'intenda per ritmica e che cosa per metrica. La ritmica (ῥυθμική τέχνη ο ἐπιστήμη) & la dottrina dei diversi rapporti dell'arsi e della tesi e del loro aggruppamento in serie di

suoni o di movimenti; la metrica (μETρIKη тéxνη o èπιστημn) è la dottrina delle misure nella poesia, tratta cioè del modo in cui la lingua fu usata a comporre ed aggruppare quelle serie ritmiche che si chiamano versi. Mentre adunque la metrica espone la forma puramente esteriore della poesia, la ritmica ne spiega il valore intrinseco rispetto ad una serie ordinata di tempi; la metrica ha per oggetto la materia del discorso poetico, la ritmica contiene le ragioni delle forme che prende quella materia.

CAPO II.

Gli Elementi del verso.

1 Piedi.

Più suoni ridotti ad unità ritmica sotto una percussione principale e secondo una determinata misura di tempo, diconsi dai moderni battuta. Dagli antichi erano detti μéтpov appunto perchè quell'unità è la misura della serie ritmica e melodica, che corrisponde al verso. Così, per es., il verso composto di sei dattili dicevasi esametro, στίχος ἑξάμετρος. Appresso dall'uso di misurare i versi e di battere il tempo col piede quelle unità ritmiche furono dette piedi, ñódeç, pedes . Nella poesia i suoni sono rappresentati dalle sillabe, onde il piede si può definire come un complesso di sillabe ridotte ad unità ritmica mediante la percussione.

Ogni piede è composto di due parti, una segnata con maggiore intensità, e dicesi arsi, apoi, sublatio, l'altra profferita con minor vigore, e dicesi tesi, 0éos, positio (2).

(1) ARISTOX., Rhyth. el., p. 288: ᾧ σημαινόμεθα τὸν ῥυθμὸν καὶ γνώριμον ποιοῦμεν πούς ἐστιν.

(2) Il grammatico Diomede dà questa definizione: pes est sublatio ac positio duarum aut trium syllabarum spatio comprehensa.

Ambedue le parti del piede avevano il nome comune di χρόνοι ποδικοί ο σημεῖα ποδικά, perchè appunto erano segnate o dal piede o dal dito. Dai moderni l'arsi vien segnata con l'accento in latino e negli schemi metrici; per es., árma virúmque canó, Luuuu; in greco, per non confonderla con gli accenti melodici, l'arsi vien segnata col punto sovrapposto o sottoposto, come solevano fare gli antichi "). Segnare col piede le arsi e le tesi dicevasi dagli antichi Baívelv, scandere, ferire, percutere.

La percussione cade d'ordinario sopra sillabe lunghe come più adatte ad essere espresse con intensità maggiore. Però nei metri lirici cotesta lunga fu sciolta spesso in due brevi, e allora la percussione cade sopra la prima di esse. Un'arsi sciolta in due brevi è indicata da questo segno. Dovendo però queste due sillabe rappresentare un'arsi, esse dovevano essere molto vicine e in generale non appartenevano a due parole diverse. Notisi che i poeti dei tempi migliori amarono usare a questo fine le due prime sillabe di parole trisillabe e polisillabe, e non quelle mediane o finali. Usarono però anche due brevi di due parole diverse, purchè la prima fosse strettamente unita alla parola seguente, come l'articolo e le preposizioni p. es.: τὸν ἐμόν, ἐπ ̓ ὀλέθρῳ, κατὰ νόμον. I Latini evitarono di far cadere la percussione sopra la penultima di tre sillabe brevi, come canĕre, vulneribus, o sull'ultima di parole trocaiche, come fingě, armă; raramente l'hanno ammessa sopra la penultima di parole terminate in un dattilo, come pectore, tentamine.

I varii generi di piedi (révη ñodiká o þvěμiká) si distinguono fra loro per varii aspetti; i principali sono questi:

α) La grandezza (διαφορὰ κατὰ μέγεθος) cioè il diverso numero di tempi primi che comprendono. Nessun piede può

(1) Anonym. De mus., p. 69 (W): ǹ μèv oûv léois oŋuaivetai ŎTav ἁπλῶς τὸ σημεῖον ἄστικτον ᾖ, ἡ δὲ ἄρσις ὅταν ἐστιγμένον.

avere meno di tre brevi. Il pirrichio, che ha due brevi, viene escluso con ragione da Aristosseno come piede troppo rapido ed affannato (). E in effetto nemmeno i moderni ammettono la battuta di due per otto. Quelli che i grammatici credettero pirrichii non sono che anapesti con l'arsi disciolta. I piedi comuni adunque sono di tre, quattro, cinque, sei tempi, cioè secondo la terminologia antica πódes τρίσημοι, τετράσημοι, πεντάσημοι, ἑξάσημοι. Alcuni sono anche maggiori.

b) Il posto dell'arsi e della tesi (diapoρà кат' avτíðeσiv); (διαφορὰ κατ ̓ ἀντίθεσιν); gli uni cioè incominciano con l'arsi e si dicono piedi discendenti, perchè dalla maggiore intensità del principio vanno smorzandosi in fine; altri cominciano con la tesi, e per la ragione opposta si dicono piedi ascendenti.

c) Per il diverso rapporto dell'arsi e della tesi (diapopà katà révos). Vi sono piedi nei quali l'arsi dura quanto la tesi, e questi erano detti piedi di genere pari (révos loov ο δακτυλικόν, ἐν ἴσῳ λόγῳ, πόδες ἄρτιοι). Vi sono piedi nei quali la tesi dura un tempo disuguale dall'arsi (révog aviσov, πόδες πάρισοι ο περισσοί), e questi si distinguono in piedi del genere doppio (γένος διπλάσιον ο ἰαμβικόν), nei quali l'arsi sta alla tesi nel rapporto di 2: 1, e in piedi del genere peonico (γένος ἡμιόλιον ο παιωνικόν), hei quali le due parti stanno nel rapporto di 2 : 3. Gli antichi ammettevano anche i piedi di genere epitrito, cioè il rapporto di 3: 4, ma questi, come vedremo, hanno altro valore (2).

I piedi del genere eguale o dattilico sono:

il dattilo UU
l'anapesto L.

(1) Rhythm. el., p. 302: τῶν δὲ ποδῶν ἐλάχιστοι μέν εἰσιν οἱ ἐν τῷ τρισήμῳ μεγέθει· τὸ γὰρ δίσημον μέγεθος παντελῶς ἂν ἔχοι πυκνὴν τὴν ποδικὴν σημασίαν.

(2) ARISTOSSENO, p. 298, espone altre quattro differenze fra i piedi, che avremo occasione di ricordare nel seguito.

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