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a tenerlo lontano da ogni progresso, in ogni rinnovazione vedeva una minaccia. La maggior estensione data poi alla pena di morte dall'imbelle Ferdinando III, si deve attribuire alla livida paura impadronitasi di lui all'apparire dello spettro della repubblica, che si era affacciato di sopra le Alpi, e che si avanzava vittorioso per tutta l'Italia; per difendersi da questa egli cercò nella pena di morte un supremo rimedio. Quanto tale rimedio sia stato efficace, abbiam già veduto. Bisogna tener presente finalmente che, quantunque nelle leggi fu ripristinata la pena di morte, pure nella pratica non fu quasi mai applicata; nè da ciò derivò grande aumento di reati. Ed ora ritorniamo alle vicende della pena di morte in Toscana, dalla esposizione delle quali siamo stati costretti ad allontanarci alcun poco per chiarire certi fatti, che avrebbero potuti parer contrarii al nostro assunto.

Quando fu ristaurato il governo dei Granduchi in Toscana, ritornarono in vigore le antiche leggi; ma con la legge del 22 Giugno 1816 la pena di morte fu estesa agli aggressori a mano armata, ancorchè dall'uso delle armi non derivassero effetti letali; ma questo provvedimento fu ritenuto come straordinario, come si rileva dal proemio di quella legge niedesima, al quale si appigliava il Granduca finchè non si compilava il nuovo codice per porre una diga ai furti violenti. E l'aumento dei reati di furto il Granduca medesimo trovava esser conseguenza « di una lunga guerra » e temeva che « la proba<< bilità di veder concorrere i facinorosi ove siano meno rigorose le << pene, avrebbe potuto stabilire un insolita frequenza di tali delitti in « Toscana ». Da questi brani del proemio adunque risulta che il principe stesso non ritiene l'aumento dei reati conseguenza della mitezza della pena, ma della miseria, che suol tener dietro alle lunghe guerre, e che spinge al furto ed alle violenze. E ripristina per questi reati la pena di morte non tanto perchè la ritiene necessaria in sè stessa; ma perchè, essendo più severe le pene nelle altre parti di Italia, egli vuole impedire che i facinorosi di fuori accorrano in Toscana, dove le pene son più miti. Ma nel fatto queste disposizioni non furono mai applicate, e anzi il principe, per far più rare le sentenze di morte, col R. Motuproprio del 1838 dispose che quelle condanne dovessero esser pronunziate ad unanimità. E che la pena di morte fosse abolita di fatto se

non di diritto si rileva dal R. Motuproprio dell'11 ottobre 1847 col quale il Granduca dice di volere estendere ai buoni lucchesi, che allora si erano aggregati alla Toscana un « principio normale » della legislazione Toscana, abolendo la pena di morte, e così implicitamente afferma che se non per legge, almeno per consuetudine essa era abolita in Toscana. Ma pochi anni dopo nel codice penale del 1 settembre 1853 ricompariva la pena di morte, quantunque il principe ne fosse addolorato, e impedisse con ogni sua possa che fosse applicata. Aggregatasi poi la Toscana al Regno d'Italia, allora nascente, il governo provvisorio promulgò la legge del 30 Aprile 1859, con la quale fu abolita la pena di morte per tutti i reati, meno che pei militari.

Mentre queste vicende subiva nella Toscana la pena di morte, anche nei due altri principali stati di Italia, Napoli e Piemonte, era posta in dubbio, e nell'anno 1848 il Pisanelli propose al parlamento napolitano un progetto di leggi, in cui la pena di morte era abolita. Ma i moti del Maggio ne impedirono la discussione, e, sciolta la rappresentanza, il Borbone, cui era caro regnar col terrore, non pensò più all' abolizione della pena di morte, o se vi pensò fu come ad un pericolo scongiurato. Ferdinando II non potea non seguire le tradizioni dell'avo, che riteneva il palco sostegno del suo potere. Così la patria nostra, che a buon diritto può menar vanto di tante glorie giuridiche, ai suoi fasti non potette aggiungere questo altro splendidissimo. Nel 21 Giugno del medesimo anno il Cadorna proponeva al parlamento subalpino l'abolizione della pena di morte pei reati politici, ma la proposta fu rigettata. Nel 1857 fu proposta di nuovo l'abolizione della pena di morte al parlamento nazionale, ma questa volta estesa a tutti i reati pei quali prima era comminata quella pena. Ma neppure questa proposta ottenne il suffragio della rappresentanza nazionale. Così stettero le cosa fin che fu costituita l'unità di Italia. Per coronare quell'edifizio, che tanti sacrifizii, e tanto sangue era costato bisognava procedere anche all'unificazione delle leggi penali, e nel 1865 fu presentata al parlamento nazionale la proposta di estendere a tutta Italia il codice del 1859, eliminandone la pena di morte, il quale emendamento fu proposto da Pasquale Stanislao Mancini, altra gloria di Napoli, che di tante glorie è ricca; e la camera accolse la

proposta con 31 voto di maggioranza; ma il senato la rigettò perchè
di 49 province 25 si mostrarono favorevoli al mantenimento della pena.
di morte. Così una sola delle provincie d'Italia decise di quella civile
innovazione, e fece che non fosse messa in atto. La magistratura in
massima si mostrò favorevole al mantenimento della pena di morte;
e ciò appare naturale quando si pensa che la classe dei magistrati
deve essere più che ogni altra tenacemente attaccata alla tradizione
accolta nella legge, che essa è chiamata ad applicare.

Anche nel 1875 la discussione intorno alla pena di morte fu posta
innanzi al parlamento; ma il Vigliani allora ministro di grazia e giu-
stizia ottenne più che con altro, con l'influenza della sua persona, che
il senato rigettasse l'abolizione della pena di morte; ma non ostante la
sua influenza personale non potette ottenere che una debole maggio-
ranza. Il Mancini, che successe al Vigliani nella carica di ministro
guarda sigilli si apparecchiava a riproporre al parlamento l'abolizione
della pena di morte nell'anno 1876 approvata dalla commissione le-
gislativa; ma la caduta del ministero di cui egli faceva parte, gli im-
pedì di attuare quella riforma. Ora il ministro Giannuzzi-Savelli si
apparecchia a presentare alla discussione il progetto del nuovo codice
penale compilato dal Zanardelli, che lo ha preceduto nella carica. La
relazione è stata già distribuita, la commissione è stata creata, e la
battaglia è prossima. E noi facciamo voti perchè in questa nobile bat-
taglia, che più di quelle sanguinose, le quali si combattono a colpi di
cannone, contribuisce al benessere ed al progresso della nazione, la
vittoria sia per la giustizia, e la pena di morte diventi una memoria
dolorosa solamente. Le tradizioni gloriose della Toscana indicano la
strada da seguire, ed i rappresentanti della nazione della alta, e della
bassa camera debbono a sè stessi ed al paese, ed a tutte le nazioni ci-
vili l'esempio di seguire quella via gloriosa, che gli italiani medesimi
hanno aperta.

Lo stato, che tenne immediatamente dietro alla Toscana nel pensare all'abolizione della pena di morte, fu la Francia. Nel 1791 il Comi、 tato di Costituzione e quello di Legislazione riuniti proposero all'assemblea nazionale l'abolizione della pena di morte; ma un mormorio di disapprovazione accolse la proposta, ed una salva di applausi il voto che la

rigettava. Ed era naturale: la rivoluzione francese si era

elevata sul sangue, ed al sangue non poteva rinunziare. Nel 1830 invece la pena di morte fu abolita pei reati politici, riserbando l'abolizione pei reati comuni a miglior tempo. Nel 1870 l'impressione dell'abolizione della pena di morte introdotta in varii paesi fece ritornare le menti sulla quistione; ma la catastrofe, che desolò a quel tempo la Francia, ne distrasse gli animi, ed oggi ancora nessun passo è stato fatto, chè son troppo forti ancora le impressioni lasciate dagli eccessi dei comunardi.

Anche la Germania non volle restare addietro in questo movimento, quantunque quel paese sia più tenace d'ogni altro alle vecchie istituzioni. Nella memorabile tornata del 1 Marzo 1870 la proposta dell'abolizione della pena di morte fu accolta con 118 voti contro 80 nell'assemblea della Confederazione Germanica, non ostante gli sforzi, che il Gran Cancelliere Conte di Bismark avea fatti per farla cadere. Ed all'influenza di quell'uomo di stato, a cui la Germania deve la sua unità, e che ha saputo stringere in mano i destini dell'Europa, si deve che alla terza lettura la proposta fu rigettata con una debole maggioranza. Se il Conte di Bismark non fosse stato necessario, specialmente in quel tempo alla Germania, in quel nobile paese la pena di morte non sarebbe più.

Anche la Russia, che infatto di riforme sta in coda a tutti gli altri paesi, pose la quistione innanzi alla dieta di Finlandia; ma il palco, che già prima la Czarina Elisabetta avea abolito di fatto, è stato mantenuto, nè potea essere altrimenti, perchè il vasto paese non è ancora maturo a tanta riforma.

Abbiamo fin qui parlato degli Stati in cui il dubbio è stato posto intorno alla pena di morte; ma la sua abolizione ha fatto altro cammino. Essa come in Toscana, è stata abolita in Romania fin dal 1864, in Portogallo fin dal 1867, in Sassonia fin dal 1868, ed in Isvizzera fin dal 1874. A questi stati bisogna aggiungere quelli in cui la pena di morte è stata abolita di fatto, e sono: il Granducato di Baden fin dal 1864, il Belgio fin dal 1865, il Würtemberg fin dal 1868.

Solamente oggi alcuni cantoni della Svizzera richiedono di nuovo la pena di morte per contrapporla ad un aumento di reați. Ma io domando: l'abolizione della pena di morte fu preceduta da un esperimento; ora se in conseguenza di quello la pena di morte fu abolita

vuol dire che l' esperimento avea dato buon risultato, e però l'accrescimento dei reati, che ora si osserva è da attribuirsi non all'abolizione della pena di morte; ma a qualche altra causa. Quale sia questa causa io non so; ma il fatto mi pare che così stia.

Ed eccoci giunti al termine del lungo cammino, che abbiamo fatto attraverso i varii stati di Europa; una minuziosa disamina non ci è stata consentita dai limiti di questa trattazione; ma dallo sguardo generale volto intorno abbiamo appreso un fatto di grandissima importanza, e che non può negarsi da alcuno. Ed è che da quando nel 1786 un piccolo stato ebbe il coraggio di cancellare dalle pene la morte, le idee abolizioniste han fatto lungo cammino, e quei paesi, che ieri le rigettavano, oggi le accettano. È la evoluzione di tutte le grandi verità, che a poco a poco si vanno facendo strada nel mondo, è la prova più luminosa della ingiustizia di quella pena crudele. E verrà giorno, lo sento qui nel fondo dell'anima, e me lo mostra la storia, che il patibolo cadrà in tutti gli stati, avvenendo della pena di morte quello che è avvenuto delle schiavitù, che a poco a poco è andata perdendo sempre terreno, ed oggi è sparita da ogni paese civile. Solamente la vittoria contro la schiavitù è stata pagata col sangue di migliaia di vittime; ma la vittoria contro la pena di morte sarà vittoria incruenta, e sarà seme, che non mancherà di dare dolcissimi frutti. Auguriamoci che al secolo nostro sia data la gloria di sparger quel seme!

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