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CONCLUSIONE

Abbiamo insieme percorsa una lunga via, e spesso ci siamo fermati lunghessa. Ora ci è mestieri fare come il viaggiatore, il quale giunto su di un' altura si ferma, e riposandosi, volge lo sguardo indietro verso il cammino percorso, per formarsene nella mente un quadro e serbarne più viva la memoria. Durante questa trattazione abbiamo fatta l'analisi dei varii aspetti sotto cui si può considerare la pena di morte; dobbiamo ora farne la sintesi, e dall'insieme dei varii concetti svolti trarre un' ultima conseguenza. Chi fin'ora ha voluto accompagnarmi nel cammino, si contenti restare ancora un poco con me per quel breve tempo che durerà questo sguardo retrospettivo, dopo del quale avrò finito.

In nome di due principii abbiamo visto che si vuol giustificare la pena di morte; la intrinseca sua giustizia, e l'utilità. Ma l'analisi di questi due concetti ci ha indotti a conchiudere che la pena di morte non può sostenersi in modo alcuno perchè è ingiusta in sè stessa ed è inutile. Abbiamo visto ancora che essa è anche dannosa così all'amministrazione della giustizia, come alla educazione dei popoli. Inoltre abbiamo visto che rende inattuabili certi giusti istituti di diritto, e ne sostiene certi altri contrarii a giustizia. Abbiamo considerato finalmente la pena di morte nello spazio, e nel tempo, per quanto ci è stato permesso dai limiti della nostra trattazione, ed abbiamo visto che ha avuto in tutti i tempi avversa l'umana coscienza, ed ogni giorno va perdendo terreno presso i legislatori, e nelle leggi. Qual sostegno resta dunque a questa pena ingiusta, inutile, dannosa e contraria alla coscienza popolare, che mai non s'inganna? Nessuno.

Di queste cose nella prefazione io avea promesso tener discorso e mi pare di aver attenuta la mia promessa. Se gli argomenti gravissimi non hanno avuto quello sviluppo, che avrebbero meritato, se io spesso avrò potuto ingannarmi nell' apprezzamento delle cose, giudicherà il lettore. Ma comunque stia la cosa, la mia coscienza

mi afferma di aver fatta opera altamente civile, e se anche la mia fatica per sè non sarà per ottenere alcun risultato, e incorrerà nel biasimo dei lettori, mi sarà conforto la santità della mia intenzione. Ed è tanto l'amore, che sento nell' animo per l'argomento, che ho preso a trattare che io prego il lettore di non voler accusare la mia tesi delle mende di questa trattazione, ma me solo, a cui le forze han potuto mancare prima di raggiungere la meta agognata.

Innanzi di finire poi sento il bisogno di spiegare un fatto, che può sembrare una mancanza, ma che non è. Ed è il non avere io trattato l'argomento sotto l'aspetto religioso, mentre varii si sforzano a giustificare la pena di morte in nome della religione appunto. Benchè le religioni, come elementi storici, specialmente la cristiana, hanno avuta influenza nell'attuazione del diritto, pure l'idea assoluta del diritto mi pare che stia al di fuori di ogni forma religiosa, onde il concetto del giusto, deve imporsi a tutti come idea assoluta, qualunque sia la convinzione religiosa. Però ho creduto trasandare la considerazione della quistione sotto questo aspetto, perchè mi è parsa cosa inutile, se non dannosa addirittura, essendo che questa trattazione avrebbe dovuto incarnarsi in una convinzione religiosa qualunque, e però riuscire avversa a chi ne avesse avuta un'altra. E così alcuno avrebbe potuto attribuire questo fatto all'argomento, mentre esso altro non sarebbe stato che la conseguenza della varietà delle forme religiose. Solamente gioverà osservare che in tutti i popoli, a qualunque religione appartengano, il sentimento per la pena di morte è il medesimo e in esso abbiamo veduto accordarsi Brahma ed Allah, Geova e Cristo - Dio, e questo basta a provare che tale quistione sia per lo meno inutile, perchè le religioni in questo si accordano tutte, come sentimento, quantunque alcune volte, come provvedimento, consigliano l'effusione del sangue, ed è da notarsi che quanto più le religioni affratellano i popoli, e li stringono in un indissolubile nodo di amore, e per conseguenza più si accostano alla loro forma più perfetta, tanto più abborriscono dal sangue, e si sforzano difendere l'umano diritto alla vita.

E qui il mio assunto è finito; ma si lasci che io ponga termine

con un voto. Tra pochi giorni la rappresentanza della nazione imprenderà a discutere intorno al progetto del nuovo codice. Oh! non faccia che l'Italia torni addietro nella via di progresso, in che gloriosamente cammina; abolisca il patibolo, e la macchina scellerata non offenda più del suo aspetto il sole. L'Europa aspetta che l'Italia non tradisca le sue gloriose tradizioni. Quel paese che ha innalzato un monumento a Cesare Beccaria, non può più a lungo mantenere levato il patibolo, senza fare oltraggio a quel grande, la cui memoria giustamente ha voluto onorare.

Ed ho fede piena, che questa volta la camera alta non voglia mettere ostacolo ancora una volta alla generosa riforma. Le mie parole, lo so, non giungeranno dove si discutono i più gravi interessi del paese, nè giungendovi avrebbero valore di piegar alla mia la volontà di quelli uomini illustri; ma se la mia parola non giunge fino a loro, vi giunge al certo la parola di quelli, che illustrano la cattedra e il foro in Italia, vi giunge un grido di tutto un popolo, che chiede si abolisca la pena di morte. Oh! non si affidino i rappresentanti della nazione a relazioni più o meno passionato, e fatto a base di certe medie, i cui elementi sono trovati nelle classi meno numerose, e forse meno sincere. Si rechino essi stessi nei loro collegi, porgano orecchio alle voci di tutto un popolo, in cui solo si può trovare l'espressione genuina di quel sentimento del giusto e dell' onesto, che s'annida nell'anima di ciascuno, e dall' Alpi al Lilibeo sentiranno un mormorío, che grida contro la pena di morte, e una voce sola che chiede si lavi dalle leggi d'Italia quella macchia di sangue!

FINE

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