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capitolo della psicologia, che dai vecchi sarebbe stato negletto! Ora, diteci in coscienza: tutta codesta psicologia << consiste essa in altro che nella considerazione di due serie << di agguagliamenti; una delle quali si può ben rappresen<< tare per l'esempio dell'it. mietiámo, con l'ie che storica<< mente non gli spetterebbe e proviene, per livellazione di forme, dalle voci con la prima accentata (miéto ecc.), a <«< cui storicamente egli spetta; e l'altra si può rappresentare << per l'esempio dell' it. mossi, che assume, per un'altra << specie di livellazione di forme, il si di scrissi (scripsi) ecc., <<< estraneo a lui nell'ordine storico o latino? - Dovete si<«< curamente riconoscere, che, in tutta la vostra psicologia, << non c'è altro, non c'è assolutamente altro;

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e se volete poi continuare coi paroloni psicologici e vi <<< ostinate a non concedere che non è punto nuovo, ned è <«< comunque in sè rinnovato, il principio di esercitazioni «< cosiffatte, noi non vi potremo più altro dire, se non che <<< tutti i gusti sono gusti. Ma l'effetto pratico rimarrà a ogni modo, per buona fortuna, lo stesso: che cioè i giovani continueranno a imparare dai vecchi, e viceversa (1).

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ispecie, il venerando Schweizer-Sidler, che ha sempre messo, e mette sempre, un amore così grande nel far valere l'opera modesta di questo Cisalpino che gli deve tanto e non ha mai avuto la consolazione di parlargli ?

(1) Se la polemica generale mi sembra soverchia, credo all'incontro che gioverebbe insistere di più ne' particolari. Così, per esempio, io trovo assai curioso il saggio della nuova dottrina' che qui ora v'adduco:

<< La lingua italiana riconosce la legge fonetica, che il lat. qu, in<< terno innanzi a e ed i, si palatinizzi: cuocere coquere, laccio la« queus, torcere torquere, cucina coquina; diversamente no: acquả < aqua, cuoco coquo. Ma il numerale cinque non s'adatta a questa regola; laddove il rumeno, all'incontro, che segue la stessa norma

II. Ma io ho ormai abusato, con queste prediche, della mia qualità di vostro antico maestro, e vengo senz'altro all'argomento che oggi più vi preme, cioè ai motivi etnologici nelle trasformazioni del linguaggio.

<< circa la riduzione palatina del qu, ha cinci, cinque, in corrispon<denza affatto normale con gli altri casi di qu interno mutato in c': nici neque, coace coquere, stoarce extorquere. Cfr. DIEz, gr., I' (13), 264, 265, 481-2. Il motivo, per cui l' it. cinque devia, mal si potrà, io credo, vedere in altro se non in ciò, che qui intervenisse

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< un agguagliamento col numerale per le cinque decine (cinquanta), << nel quale il qu, secondo norma fonetica, resiste. OSTHOFF, in Morphol. untersuch. von Оsтн. u. BRUGMANN, I, 129.

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Dunque, siamo intesi: dato un lat. -que- -qui-, l'italiano deve avere -ce- -ci- ; e dato un lat. -qua- o -quo-, l'italiano deve mantenere incolume l'antica formola, o almeno la gutturale antica; quando non intervenga una qualche perturbazione d'ordine analogico. Ma, se è così, perchè dunque diciamo segui sequeris, segue sequitur, e non seci sece? Si farà qui agire l'attrazione della gutturale che è di ragione istorica in seguo segua seguono? Ma l'analogia italiana vorrebbe tutt'altro (cfr. torco torca, allato a torce torci; oppure io cuoco e io cuoca o cuocia, allato a cuoci cuoce)! Oppure oseremo invocar l'aiuto taumaturgico del tipo distinguo distingui, che insieme scusi, cioè dia una ragione di adattamento, anche per la trasformazione 'irregolare del quo di sequor in guo (cfr. luogo, allato a fuoco e giuoco)? E aquila, non ác'ila, come si spiega? Sarà voce non popolare? O come si spiega l'avolo = a quilo, che è in vent-ávolo, l'aquilone (cfr., per l' -o- debile debole, fievole ecc. ecc.)?

Si potrebbe continuare molto lungamente con questa serie di domande; e i romanisti si rallegrerebbero tutti, senz'alcun dubbio, delle risposte che un così acuto indagatore, com'è l'Osthoff, si compiacesse di far loro sentire, a illustrazione de' suoi apoftegmi. Ma a noi, semiromanisti più o meno vecchi e di stampo più o meno antico, sia intanto lecito dichiarare, che il sentirci discorrere, per torcere ecc., di 'legge italiana' del QUE QUI in c'e c'i, o il sentir circoscritto il fenomeno a QUE QUI interni, o il citarsi il rumeno c'inc'i come prova del rigore della legge rumena di QUE QUI in c'e c'i, son tutte cose

Superfluo che io v'assicuri, non esser minore la mia maraviglia di quel che sia la vostra, nel veder così stranamente trascurati codesti motivi e tanto mal misurata e male

che ci fanno strabiliare. Ci sia perciò lecito di mostrare insieme, con molta brevità, quel che noi poveri vecchi modestamente insegniamo, da una bella serie d'anni, intorno a questa materia.

Le formole QVE QVI perdettero in alcune voci, sin da un molto antico periodo del volgare romano, il loro v; e la esplosiva gutturale, riuscita attigua per tal modo alla vocale palatina, venne, col tempo, a ridursi a esplosiva palatina, così com'era avvenuto per le antiche formole KE KI (cerno ecc.). Una così antica riduzione è avvenuta pei seguenti quattro esemplari: quinque (prima sillaba), laqueus, torquere, coquere; i quali, passando per la fase di kinque, lakeo (lakjo), torkére (tórkere), cokere, si fecero c'inque, lac'c'o, tórc'ere, cóc'ere. Tutte le favelle neolatine ripercuotono concordemente cotesta riduzione dei quattro esempi, cioè danno nei loro riflessi quel che darebbero per CE CI CJ di fondamento latino (v. Arch. glott., pass.). È solo un'apparente eccezione quella delle forme sarde chimbe torchere cóghere, che gl'inesperti potrebbero voler condurre a quinque ecc. piuttosto che a c'inque ecc. Il vero è che quinque, a cagion d'esempio, avrebbe dato bimbe al sardo (cfr. bindighi =quindici), e che un c' di fase anteriore si continua normalmente nel sardo (logudorese) per k (g); v. Arch. glott., II, 143-144, e cfr. Lez. di fon. comp., § 18, 2. Il sardo chimbe, tradotto in figura toscana, sonerebbe c'ingue.

Il perchè di questa riduzione così antica, la quale intaccava torquet, a cagion d'esempio, e non intaccava sequi, non è ben chiaro, per ora, ma poco ci manca. In quinque può avere agito la tendenza a dissimilare, che in quindecim non aveva motivo d'azione. Per laqueus c'è da avvertire, che la vocale palatina era nell'iato, e quindi trattavasi, nel volgare, dij (laqvjo), cioè del più efficace tra gli elementi palatini. La combinazione medesima si riproduceva, in alcune forme caratteristiche, anche per torquere (torqueo torqueas, cioè torqyjo ecc.), Chi osi ancora ricondurre secius a sequius (io ora non intendo pronunciarmi), qui pure avrebbe il qvi nell' iato; e più in là noi saremo nuovamente condotti a questa medesima osservazione.

Anche per qualche altro esemplare la riduzione resulta antica e dif

descritta la forza o l'azione d'altre cause alterative. Voi avete, con molta abilità e dottrina, riassunti e fecondati, per alcune parti, gl'insegnamenti della scuola; e così io non

fusa, ma la figura incolume dovea reggersi nel volgare accanto alla ridotta. Penso specialmente a quercus, il quale ha pur potuto risentirsi della tendenza a dissimilare (cfr. querquetum e quercetum). Così il sardo chercu, quercia, ritradotto in figura toscana, giusta la norma che s'è testè ricordata, ci dà veramente c'ercu, e ci conduce perciò al napol. c'iércole, grosso ramo di quercia, o a c'ersa del siciliano ecc., di contro al tosc. quercia. La tendenza a dissimilare aveva incentivo non minore in querquedula. Ma il farciglione del dizionario italiano, allato a farchetola o farquetola del dizionario stesso (cfr. FLECHIA, Arch. gl., IV, 385), dice poco. E il franc. cercelle e altri termini che gli consuonano, con entrambi i qvɛ ridotti, fors'entrano piuttosto in un'altra categoria d'esempi, della quale or passo a toccare.

Il numero degli esempi ridotti venne cioè a estendersi, in varia misura, ma ancora assai anticamente, nel volgare di qualche regione romana. Dei criteri che possano aversi per l'antichità di codeste riduzioni regionali, s'è incominciato a toccare nell' Arch. gl., I, 90 n (cfr. 522-23 n, 524). Citavo or'ora il franc. cercelle, che trova accanto a sè, oltre lo spagn. cerceta, la riduzione cisalpina che si rappresenterebbe pel diminutivo piemont. çerçlót o pel friul. çerçéñe (anche vedo in qualche scrittura di dotti italiani: cercedola cercevola, che non so bene da qual regione vadan ripetuti). Ma, nel Friuli, anchè çeri quaerere, e çēd quiete. Circa i quali due esempi, si potrebbe rinnovare l'osservazione, che già di sopra si fece per la molto antica riduzione di laqueus ecc. Qui ritorniamo, vale a dire, a que qui nell'iato: quiéte; e quiére ecc. delle voci caratteristiche di quaerere con l'antico dittongo volgare (friul. çir = çiér = quaerit; cfr. l'it. chiedere). S'aggiunge però anche il friul. çe nel significato di quid'.

Le formole qve qvi, in quanto ancora incolumi nel latino volgare, avrebbero dovuto dare, nel rumeno, pe pi, come QVA vi diede pa -pe patru quattuor, ape aqua). Ma l'elemento labiale di qve qvi deve in questa regione esser sempre taciuto, sin dalle prime età dell' immissione latina (come vi tacque lo stesso elemento pur nel qva di qualis, onde il rum. care e non pare; cfr. l'it. chi quis, o il friul. aghe

Superfluo che io v'assicuri, non esser minore la mia maraviglia di quel che sia la vostra, nel veder così stranamente trascurati codesti motivi e tanto mal misurata e male

che ci fanno strabiliare. Ci sia perciò lecito di mostrare insieme, con molta brevità, quel che noi poveri vecchi modestamente insegniamo, da una bella serie d'anni, intorno a questa materia.

Le formole QVE QVI perdettero in alcune voci, sin da un molto antico periodo del volgare romano, il loro v; e la esplosiva gutturale, riuscita attigua per tal modo alla vocale palatina, venne, col tempo, a ridursi a esplosiva palatina, così com'era avvenuto per le antiche formole KE KI (cerno ecc.). Una così antica riduzione è avvenuta pei seguenti quattro esemplari: quinque (prima sillaba), laqueus, torquere, coquere; i quali, passando per la fase di kinque, lakeo (lakjo), torkére (tórkere), cokere, si fecero c'inque, lac'c'o, tórc'ere, cóc'ere. Tutte le favelle neolatine ripercuotono concordemente cotesta riduzione dei quattro esempi, cioè danno nei loro riflessi quel che darebbero per CE CI CJ di fondamento latino (v. Arch. glott., pass.). È solo un'apparente eccezione quella delle forme sarde chimbe torchere cóghere, che gl'inesperti potrebbero voler condurre a quinque ecc. piuttosto che a c'inque ecc. Il vero è che quinque, a cagion d'esempio, avrebbe dato bimbe al sardo (cfr. bindighi =quindici), e che un c' di fase anteriore si continua normalmente nel sardo (logudorese) per k (g); v. Arch. glott., II, 143-144, e cfr. Lez. di fon. comp., § 18, 2. Il sardo chimbe, tradotto in figura toscana, sonerebbe c'ingue.

Il perchè di questa riduzione così antica, la quale intaccava torquet, a cagion d'esempio, e non intaccava sequi, non è ben chiaro, per ora, ma poco ci manca. In quinque può avere agito la tendenza a dissimilare, che in quindecim non aveva motivo d'azione. Per laqueus c'è da avvertire, che la vocale palatina era nell'iato, e quindi trattavasi, nel volgare, di j (laqvjo), cioè del più efficace tra gli elementi palatini. La combinazione medesima si riproduceva, in alcune forme caratteristiche, anche per torquere (torqueo torqueas, cioè torqvjo ecc.), Chi osi ancora ricondurre secius a sequius (io ora non intendo pronunciarmi), qui pure avrebbe il qvi nell' iato; e più in là noi saremo nuovamente condotti a questa medesima osservazione.

Anche per qualche altro esemplare la riduzione resulta antica e dif

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