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descritta la forza o azione da tre cause alterative. Voi avete, con molta abilità e dottrina, riassunti e fecondati, per alcune parti, glinsegnamenti della scuola; e così io ron

fusa, ma la figura incolume dovea reggersi nel volgare accanto alla ridotta. Penso specialmente a quercus. il quale ha pur potuto risentirsi della tendenza a dissimilare cfr. querquetum e quercetum . Così il sardo chercu, quercia, ritradotto in figura toscana, giusta la norma che sè testè ricordata, ci dà veramente cercu, e ci conduce perciò al napol. c'iércole, grosso ramo di quercia, o a c'ersa del siciliano ecc.. di contro al tosc. quercia. La tendenza a dissimilare aveva incentivo non minore in querquedula. Ma il farciglione del dizionario italiano, allato a farchetola o farquetola del dizionario stesso cfr. FLECHIA, Arch. gl., IV, 385, dice poco. E il franc. cercelle e altri termini che gli consuonano, con entrambi i qvɛ ridɔtti, fors entrano piuttosto in un'altra categoria d'esempi, della quale or passo a toccare.

Il numero degli esempi ridotti venne cioè a estendersi, în varia misura, ma ancora assai anticamente, nel volgare di qualche regione romana. Dei criteri che possano aversi per l'antichità di codeste riduzioni regionali, s'è incominciato a toccare nell' Arch. gl.. I, go n .cfr. 522-23 n, 524. Citavo or'ora il franc, cercelle, che trova accanto a sè, oltre lo spagn. cerceta, la riduzione cisalpina che si rappresenterebbe pel diminutivo piemont. çerçlót o pel friul, çerçeñe anche vedo in qualche scrittura di dotti italiani: cercedola cercevola, che non so bene da qual regione vadan ripetuti). Ma, nel Friuli, anche çeri quaerere, e çèd quiete. Circa i quali due esempi, si potrebbe rinnovare l'osservazione, che già di sopra si fece per la molto antica riduzione di laqueus ecc. Qui ritorniamo, vale a dire, a quɛ qui nell'iato: quiéte; e quiére ecc. delle voci caratteristiche di quaerere con l'antico dittongo volgare (friul. çir çiér quaerit; cfr. l'it. chiedere,. S'aggiunge però anche il friul. çe nel significato di quid ‘.

Le formole QVE qvi, in quanto ancora incolumi nel latino volgare, avrebbero dovuto dare, nel rumeno, pe pi, come QVA vi diede pa -pe 'patru quattuor, ape aqua). Ma l'elemento labiale di qve qvi deve in questa regione esser sempre taciuto, sin dalle prime età dell'immissione latina (come vi tacque lo stesso elemento pur nel qva di qualis, onde il rum. care e non pare; cfr. l'it. chi quis, o il friul. aghe

avrei pressochè nulla da aggiungere, e non ho affatto nulla a ridire, intorno alle dimostrazioni che si riferiscono alla riazione che gli idiomi aborigeni dell'India hanno esercitato

aqua, ecc.); sempre cioè qui si parte da ke ki per QVE Qvi del volgare latino; e ke ki sempre poi qui danno, per norma specifica e costante c'e c'i (cfr. lo slavo). Abbiamo perciò in Rumenia: c'e c'i-ne di contro agli it. che chi, per la stessa ragione che vi abbiamo calc'i (it. calchi) calc'e, calcas calcat. Così c'inc' vi riviene a c'inche (c'inke) cinque; e il secondo c' vi è d'un'età affatto diversa dal primo; com'è di età affatto diversa dalla palatina iniziale (e di motivo affatto diverso), la diversa palatina finale del c'inc" di parecchi dialetti ladini; cfr. Arch., I, 206 ecc.

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Già così riuscimmo a negare, per via indiretta, che l'it. cinque si debba a un particolare adattamento; stia, cioè, per c'inc'e, in grazia di cinquanta. Ora convien che segua e si legittimi la diretta affermazione, che l'it. cinque è tal quale la schietta e storica forma del latino volgare. A questa rivengono, affatto normalmente, anche il c'unc del ladino di Sopraselva, cioè c'i-u-nk, con l'attrazione dell'u che precedeva a altra vocale (ciunc: cinque :: liunga: lingua; cfr. Arch. gl., I, 92, 112 ecc.); e il sardo chimbe = c'ingue; e il franc. cinq; ecc.

Il latino volgare non aveva ridotto a ke c'e la seconda sillaba di quinque, come non ebbe mai ridotto a ki c'i il qui del verbo sequi o di aquila ecc. In tutti gli esempi, le cui antiche basi volgari mantennero incolume il qy di qve qvi, se ne ebbero poi, molto naturalmente, nell'italiano e altrove, esiti o continuatori non diversi da quelli che vi si ebbero per il qv della base QvA. Perciò, nell'italiano: cinque, aquila, seguire, *ávilo (vent-avolo, aquilone), così come: ov-unque ecc. (-unquam), acqua, eguale e avale (entrambi da aequale). Medesimamente nel fondamento ladino e nel fondamento francese: seuvere sequi, come auva aqua (cfr. Arch. gl., I, 211) ecc. O medesimamente nel sardo: abile abilastru (aquila aquilotto; si parte da agvila; e la fase avila ritorna ne' ladini dulja ecc., Arch. gl., I, 210), come abba aqua (agva); ecc.

Il parallelo di media (lat. GVE ecc.) non può non riuscire scarso, poichè il latino non tollera le rispettive formole se non interne

sulla parola ariana a cui essi vennero soccombendo. Ma credo che gioverebbe una maggiore e migliore insistenza in ciò che risguarda le ragioni etniche delle alterazioni che pa

e precedute che sieno da n o r; vedi Lez. di fonol., § 26. Pei riflessi volgari e neolatini, ci riduciamo veramente alle sole basi ngua nguo ngue ngui. Pure, la congruenza tra la serie di media e quella di tenue, resulta assai bella e piena. Poniamo primo l'esempio ninguit (ningit), la cui forma incolume, l'unica probabilmente che in effetto risonasse, è attestata, ben meglio che per virtù di codici, dall'abruzzese nengue. Nè le contrasta il rum. ninge, che risalirà a ninghe, per ghe in je, secondo la norma generale ricordata di sopra per le basi di tenue; onde pur sunģe sangue, e altri consimili riflessi rumeni, si riconducono, il più probabilmente, a *sanghe ecc. di fase immediatamente anteriore; cfr. rogi rogas, ecc. Poi sia ricordato unguere ungere, dove la forma ridotta resta l'unica nel verbo neolatino, l'altra continuandosi a mala pena nel nome unguento. Circa extinguere, che è estingere nella base ladina, provenzale e francese, non vorrei sentenziare se l'oscillazione risalga a Roma antica (cfr. Arch. gl., I, 92-3 n). Ma certo è che il numero degli esemplari ridotti si estende in quelle stesse regioni nelle quali vedevamo che s'estendesse per le basi di tenue. Perciò l'intero gv si continua negl' ital. sangue, inguine inguinaglia, anguilla (cfr. lingua), o nei sardi sambene imbena ambidda (cfr. limba); ma all'incontro ho mostrato che inge stia a fondamento del termine ladino e francese per l'inguine' (Arch. gl., ib.); e un sange per sangue dee stare in fondo al franc. saigner (=sainjare, cfr. l'it. dis-sanguare). Così a sange riviene il friul. sanzit cornus sanguinea; e a pinge anģilla i friul. penź pingue, anzile anguilla.

Questa è dunque, per ora, la resultanza dell' indagine veramente scientifica, la resultanza, cioè, per la quale davvero si affina e si accresce il sapere, e della quale si può dire, rimanendo all'antica determinazione, che sia geometricamente istorica. L'opera si potrà anche perfezionare, senz' alcun dubbio; ma avverrà questo per virtù di affermazioni temerarie, o non piuttosto per virtù d'una riguardosa continuazione del lavoro già assodato, riguardosa e modesta tanto più, quanto più sarà viva, larga e profonda?

Rivista di filologia ecc. X

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tisce la parola romana. Alludo specialmente a quelle trasformazioni del latino che vadan. ripetute dalla riazione della favella celtica sulla romana; e vorrei provarmi a darvi qualche saggiuolo dei modi di esposizione che a me parrebbero, nel caso vostro, i meglio adatti. Veramente, non sentirete cose che la Scuola già non v'abbia dato per guisa più o meno continua; ma forse vi accorgerete viemeglio, che, sopra questo campo, la dimostrazione riesce e più agevole e più efficace. A ogni modo, io sbozzo, molto rapidamente, un tipo qualunque, e voi farete di più e di meglio.

Premetto, sulle generali, che per quanto s' attiene alle mutazioni direttamente promosse dalle predisposizioni orali degl'indigeni, noi abbiamo, per ora, tre modi d'induzione o di riprova. Un modo è questo: l'alterazione della parola latina si avverte entro quel territorio che la storia insegna o consente che andasse contrastato tra Romani e Celti o più propriamente tra Romani e Galli, e non si avverte, all'incontro, al di là di quei termini; perciò s'inferisce, senza altro, dall'effetto alla causa, se pur non ci sia ancora dato conseguire alcuna particolar riprova dell'azione che si imputa, nel caso determinato, a codesta causa. Un secondo modo è questo: l'alterazione specifica, che la parola latina subisce nel territorio galloromano, si riproduce nella evoluzione del proprio linguaggio dei Celti medesimi. Un terzo modo è finalmente questo: l'alterazione specifica, che la parola latina patisce nel sovrapporsi a quella dei Galli, è similmente patita dalla parola germanica che si sovrappone anch'essa alla celtica, o nella stessa contrada od in altre. Il primo modo si potrebbe dire di congruenza corografica; il secondo, di congruenza intrinseca; il terzo, di congruenza estrinseca. Una resultanza che sia ottenuta anche pel primo solo di questi tre modi, accresce il valore di ciascun'altra, e a vicenda ne ha accresciuto il va

lore suo proprio. Se poi una resultanza è comprovata per più modi, nessuno vorrà negare ch'essa vada tra le migliori scoperte che sul nostro campo si possano sperare. Poichè la quantità o la qualità delle cose provate va naturalmente considerata anche sotto il rispetto della nostra facoltà di provare; e questa facoltà è grandemente ridotta per ciò, che la diretta notizia dei dialetti un tempo parlati dai Galli sui territori che andarono romanizzati, si riduce, ahimè, a presso che nulla. Dobbiamo ricorrere, come a men discosti ausiliari, ai dialetti britoni, stretti parenti bensì degli antichi dialetti della Gallia, ma pur non altro che parenti, e tali ancora i cui monumenti non ci riconducono a età gran fatto antica. Tra i quali dialetti britoni, io intanto preferisco citare quello del Galles o il cimrico; perchè il britone dell' Armorica, rifluito in Francia, dal di là della Manica, qualche secolo dopo Cristo, può talvolta lasciare in certuni un qualche dubbio, che, tra lui e il francese, anzichè trattarsi di evoluzioni che analogamente si riproducano, non d'altro si tratti se non di mero influsso neolatino nel celtico moderno.

1. Prendo le mosse da uno dei fenomeni di cui già avete opportunamente toccato, cioè dall' ü che tra' Galloromani viene a rispondere all' latino; per es., franc. o lomb. dür dūrus, crü (crüd) = crūdus.

La prova, che diciamo corografica, è presto data. Il fenomeno occorre in Francia, nella zona ladina e pei territori franco-provenzali e gallo-italici (1). Non occorre

(1) [Mandando ora alla stampa questa Lettera, non mi pare superfluo di aggiungere qualche parola sull'importanza istoriologica che è qui data all'i galloromano, benchè s'abbiano, più in là, parecchie note, in cui è generalmente accennato alle ragioni onde si assicura

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