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il loro pezzo musicale; ma ciò non dice, che debba mutarsi la sua armonia. Ad esprimere il ritmo de' loro versi, i Latini ed i Greci ebbero la quantità. Noi di quantità non ne vogliamo sapere; abbiamo l'accentuazione, che ce la riproduce egualmente. Se non che qui conviene osservare: i rapporti d'accentuazione nel verso latino sono tali, che spesso gli ictus ritmici concordano con gli accenti; sicchè è facile esprimere in una entrambi. Ed anche a leggere il verso latino a soli accenti grammaticali sentiamo armonia. Il Carducci, profittando di questa circostanza, informò i suoi versi al semplice ritmo, che si ha dai soli accenti linguistici. Ma quel ritmo è accidentale. Di fatto, che versi sarebbero usciti, se l'illustre poeta, invece di prendere a modello i Latini, con egual sistema, avesse imitato i Greci? E pure la difficoltà, seguendo la vera ritmica del verso romano, sarebbe stata presso che uguale. Lo Stampini, con una semplice proposizione, ci dà il bandolo della matassa. Ei dice (p. XV): « Le sillabe accentuate si facciano corrispondere alle arsi dei metri classici, le non accentuate alle tesi. In questa maniera il verso italiano riprodurrà l'armonia del metro classico letto ad arsi, e non la barbara armonia di quello letto ad accenti ».

Anche il Cavallotti vide dove conveniva modificare i versi carducciani per poterli dire fatti alla latina; se non che, sconoscendo la riproduzione d'una relativa immagine del modello, stimò assolutamente necessario ristabilire ciò, che il carattere dell'italiana favella non poteva comportare. Però giudica i nuovi metri, come fossero un accozzo di versi comuni italiani, e rimprovera una novità meno novità. Lo Stampini, che prima di lui s'occupò in quest'argomento, vide diversamente, e gli sembra anzi gratissimo quel verso, che risulti dalla combinazione di più versi de' nostri (p. XV). Lascio giudicare dalle cose anzi esposte, se il nostro A. abbia ragione. Dice il Cavallotti (1. c., 74): • Volete un endecasillabo saffico? Subito fatto! Recipe: pausa sulla 5a, accento sulla 4a, e se volete essere scrupolosi, anche sull'8a ». Per lo Stampini in vece la cosa non è tanto spiccia (p. 7, 8, 9). Egli ci mostra del saffico carducciano quattro diverse maniere circa l'accentuazione, tutte col loro corrispondente latino, e delle quali nessuna si contenta del solo accento sulla 4a, come vuole il Cavallotti. Peraltro, sostiene il nostro A., che soltanto il saffico catulliano si può riprodurre giusta l'ictus ritmico: quello d'Orazio, a ridurlo diversamente da come fece il Carducci, non darebbe una bella Rivista di filologia ecc., X.

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Un decasillabo nuovo, non esistente nella poesia nostra, lo avremmo anche modellandolo sugli accenti grammaticali dell' alcaico latino. Perchè non preferire il più giusto e, senza dubbio, il più bello?

L'A., a ragione, disapprova il Carducci nell'uso, ch'ei fa del decasillabo comune italiano nell'alcaica, alterando così tutto il carattere di quella strofe. Il qual carattere, a parer mio, meglio si sarebbe conservato, se il poeta si fosse servito più tosto della composizione di due semplici adonii. Non v'ha dubbio, accordare negli alcaici, come in ogni altro verso l'arsi coll'accento << segnerebbe, come dice lo Stampini, la perfezione d'ogni metro moderno composto sul metro antico». Ai tedeschi è riuscita, è vero, questa maniera, e al Carducci pure in alcuni esametri come questo:

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ma seguirla poi sempre, non mi pare possibile co' nostri mezzi linguistici.

A lungo, e con sennato studio si trattiene il nostro A. sull'esametro, come il più notevole, e il più popolar verso, che l'antichità classica ci abbia tramandato, e come quello, che portato in italiano nella varietà de' suoi accidenti può arricchire di molti e bellissimi versi la nostra poesia. È certo però, che tornerebbe meglio assai considerare ed istudiare il vario stile di questo verso, e le sue molteplici costruzioni ne' poeti greci anzi che nei soli romani. Onde, penso, avrebbero giovato forse non poco al nostro A. le notevoli opere dell'Hermann (De aetate scriptoris argonauticôn) e di Arturo Ludwig (De hexam. spond.). Nè affatto inopportuno per uno studio di comparazione sarebbe stato tener dietro alla storia di questo verso, e alle varie congetture degli antichi e dei moderni circa la formazione del medesimo.

Gli ultimi metri di cui parla l'A. sono i due epodici di Archiloco: il sistema giambico, ed il quadruplice sistema archilochio. Il Carducci riproducendo il giambico, lo ordina a quartine; ed è qui, che non so perchè l'A. meni buono tal cambiamento. Io trovo che metrici antichi e moderni concordano sulla distichia degli epodi; e una leggera discrepanza c'è solo riguardo all'archilochio secondo, che alcuni vorrebbero tristico:

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dividendo il giambelego in una tetrapd. giamb. e in un dimet. datt., come nella traduzione dell'epodo XII d'Orazio di G. E. Voss (1):

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Schaudriges Ungewitter umschlosz den Himmel; herab steigt In Regengusz und Flocken Zeus;

Meer nun. und Waldungen nun »

Di questa seconda edizione parte importantissima sono le svariate note. In esse ci si rivela lo studio vasto e paziente del giovane autore, e una profonda conoscenza del campo che percorre. L'accennare, come ei fa, con fine discernimento, una quantità di ottime fonti antiche e moderne, non può non riescire utilissimo agli studiosi. Mi permetta nondimeno l' egregio A., ch' io gli osservi (per quel che a me sembra) una certa predilezione per le dottrine degli antichi grammatici. La qual cosa non posso giudicar sempre opportuna in fatto di scienze metriche.

Frosolone, 8 settembre 1881.

ARTURO PASDERA.

(1) Des Horaz sämtl. Werke, übers. v. I. H. V., III Th., Wien Triest, 1819.

Le parole greche usate in italiano. Memoria del prof. FRANCESCO ZAMBALDI, inserita nella Cronaca del Liceo Ennio Quirino Visconti di Roma, anno 1881.

È un bel contributo alla lessicografia delle tre lingue, greca, latina e italiana, ricco di notizie e di riscontri esatti, importanti anche per la storia letteraria, e per l'etnografia e dialettologia italica.

I vocaboli, che o direttamente, o indirettamente con l'intermediario del latino, passarono nella nostra lingua dal greco, formano ormai una suppellettile così ampia e svariata di materiale linguistico, che valeva bene la pena che uno studioso così attento e coscienzioso come lo Zambaldi vi richiamasse sopra l'attenzione de' lessicografi e dei grammatici, fissando con qualche sicura norma le vicende storiche, e le leggi morfologiche e prosodiche, che regolano questa parte importante del nostro lessico.

La Memoria contiene due parti, nella prima delle quali si espongono a larghi tratti la fonologia e la morfologia delle parole greche nell'uso italiano (pagg. 1-18); nella seconda si riassumono gli studi e le ricerche fatte dall'egregio autore sull'accentuazione greco-latina, e delle conseguenti norme seguite dall'uso italiano (pagg. 19-36). La natura delle alterazioni fonetiche e storiche è studiata al cap. II del lavoro (pagg. 10 segg.).

Nel § I della Memoria, che serve come d'introduzione, l'A. distingue quattro grandi periodi, nei quali si può repartire la storia. del diverso modo, in cui le parole greche furono trattate in Italia da più di venticinque secoli.

Il I periodo incomincia dai più antichi contatti dei Greci Italioti coi popoli italici e principalmente coi Latini.

Il II comincia con Azzio, e fu il periodo, nel quale la coltura greca andò diffondendosi fra i Romani e con essa un rispetto maggiore della forma.

II III è il periodo dell'influenza del Cristianesimo e della Chiesa orientale; ed è notevole in esso il progredire dello iotacismo.

II IV è il periodo degli Umanisti, nel quale sono da distinguere due età, l'una popolare e l'altra erudita.

L'A. insiste su questa repartizione, perchè egli crede essere ufficio

del filologo il rispondere al quesito: Data una parola con determinate alterazioni, in qual tempo entrò essa nell'uso latino o italiano? E, invertendo i termini della domanda: In un dato secolo qual forma doveva prendere una parola greca entrando in Italia?

Questo studio del prof. Zambaldi non è che l'abbozzo di studi più ampi e profondi, che dall' egregio collega vorremmo vedere svolti e classificati sistematicamente, con evidente utilità della lessicografia italiana.

Firenze, ottobre 1881.

GAETANO OLIVA.

Historische Syntax der lateinischen Sprache von F. A. DRaeger; zweite Auflage, Leipzig, 1878; 1881.

La Sintassi storica della lingua latina del Dräger fu cominciata a pubblicare nel 1877 a Lipsia, e già nel 1878 usciva la seconda edizione del primo volume; la seconda edizione del secondo volume è comparsa quest'anno.

Non voglio nemmeno ammettere il dubbio che questo importantissimo libro non sia conosciuto e studiato come merita anche in Italia; ad ogni modo non credo che se ne possa parlare mai abbastanza, anche per attestare, non foss'altro, la nostra riconoscenza all'autore, il quale ha avuto il coraggio di condurre a felice compimento una tale opera, che a concepirla solo ci vuole ingegno non comune. E che il coraggio non gli sia mancato, lo dimostrano i venticinque anni di assiduo ed eroico lavoro ch'egli vi ha spesi intorno. Ma quando venticinque anni sono stati tanto fecondamente spesi si riesce a fare un di quei libri che collocano un professore fra i più grandi filologi odierni.

Era la metà del presente secolo, quando il Dräger si accorse che non era troppo a fidarsi delle sintassi che comunemente si trovavano tra mano, e concepì fin da allora il disegno di preparare i materiali per una nuova sintassi, con un metodo diverso dagli usati, facendo cioè lo spoglio uno per uno degli autori latini maggiormente letti nelle scuole, e di ognuno raccogliendo la sintassi in brevi ma esatte monografie. E cominciò col raccogliere la sintassi di Tito Livio; ma

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