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nelle Spagne, o al versante mediterraneo della penisola ita

tale importanza ai fenomeni fonetici del neolatino o del celtico, intorno ai quali versa questo rapido sbozzo. Molto prima che l'indagine scientifica venisse a tentare queste connessioni (cfr., p. e., SCHUCHARDT, Vok., I, 466-7, per l' ei ecc.), se ne aveva tra noi come una persuasione tradizionale, e appunto il fenomeno dell' ü, pel quale si collegano Milano, Genova, Torino e Parigi, andava tra quelli che eran citati di continuo. Poi venne l'età dello scetticismo incipiente, e s'incominciò a sentir parlare dell' i = ü = u in Grecia, come d' una prova del poco fondamento che sopra siffatte cose si potesse fare, e di un nuovo argomento per la bella conclusione che tutto nasce dappertutto'; quasi che, a tacer d'altro, non si trattasse, nel galloromano, d'un incontro il qual fa parte di un ampio sistema di congruenze, e pel quale, come per l'intiero sistema, una gran sezione della romanità si distacca dal resto. Più tardi ancora, duole il confessarlo, le dubitazioni d'uomini rispettabilissimi, i quali, con generosa abnegazione, molto utilmente si restringono entro a modesti confini, ma forse non voglion sempre riconoscere che angustia di limiti non consente larghezza di giudizi, vennero a turbare maggiormente le nostre acque. Sia citato, honoris causa, il LüCKING, il quale accampa (Die ältest. franz. mundart.; Berlino 1877, p. 148-49), contro l'antichità dell'ü, i due argomenti che or riferisco. Imprima, l'ū latino non sarebbe passato in ü, all' infuori del francese, se non in 'singoli dialetti', come nel neoprovenzale, nel ladino engadinese et nel lombardo. Poi, nel latino de' documenti merovingi occorre u per ō; e in un' età, in cui l'antico ū già sonasse ü, mal si potea venire all'idea di adoperare codesto carattere, in luogo dell' o, per esprimere un suono che sicuramente era diverso dall' ü; dunque l'u, scritto per ō, dev'essere più antico che non l'ü pronunziato per u. Orbene, circa il primo argomento, può parer singolare che si portasse innanzi, da tal valentuomo, nel 1877. Di certo, non c'è l'ü in tutti i dialetti ladini de' Grigioni; ma i dialetti che non l'hanno, lo ebbero, e anzi lo esagerarono, arrivando all' i = u, come qui sopra ora vediamo. Per la Cisalpina, poi, c'è ben altro che un lombardo da mettersi tra i singoli dialetti'; e insomma è dimostrato da un pezzo, che anche per l'ü si ristabilisce la continuità dall'Alpi Car

liana (1), o nelle isole italiane, o tra' Rumeni. Quanto a riprove intrinseche, abbiamo che nel britone si risponde per i

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niche all' Oceano. Quanto al secondo argomento, io non me ne so meravigliare abbastanza. Poichè, ai tempi de' Merovingi, il francese non si scriveva punto, e l' u perciò non rappresentava a que' scribi latini alcuna pronunzia francese o alcun ragguaglio etimologico tra latino e francese. L'o latino, per giusta e sicura tradizione, letteraria e vernacola, era un o chiuso e si confondeva con l'; e facilmente si scriveva nus e honure, come si scriveva ubi e cruce. Ogni indagine metodica, per minuto che l'obietto ne sia, giova sicuramente anche alle ricostruzioni generali; e chi osi queste, senz' aver sudato ostinatamente intorno ai particolari, sempre di certo fabbricherà sull'arena. Ma anche sia lecito, una volta tanto, avvertire i pregiudizi e i pericoli a cui pur ci porta una limitazione o una segregazione soverchia e fittizia. Le letterature volgari si schiudono timide e impacciate, come vergognose di sè, desiderose di nascondere tutto ciò per cui il loro linguaggio soverchiamente si distacchi dalla illustre antichità. Il glottologo che tuttavolta non le considerasse con la maggiore attenzione, mostrerebbe di non conoscere il proprio mestiere ; ma l'antichità de' fenomeni dialettali va per lui, di regola, ben più in su che non vadano i monumenti letterari; e non già per il solo fatto delle ricostruzioni, salde e piene, che le estese comparazioni gli consentano, ma anche per quelle riprove particolari o autottone, che in tanti incontri gli duole di veder così neglette. Quali sono, per esempio, i più antichi giacimenti di lingua francese? Stanno nei nomi propri di luogo e in quel tanto di francese che primamente assunsero i Britoni rifluiti in Francia. Di poco posteriore al vero dischiudersi di una letteratura nazionale, è il giacimento normanno che ci è offerto dalla lingua inglese; e questo pure, comunque tutt'altro che trascurato, non si rallegra ancora di tutta quell'attenzione ch' ei meriterebbe.]

(1) Dico penisola, per escludere il continente, dov'è l'ü nel ligure, e perciò pur nel versante mediterraneo dell' Apennino. Circa la differenza generale tra il versante adriatico e il mediterraneo della penisola, potrete poi dare un'occhiata all'Italia dialettale, nel XIII vol. della nuova edizione dell' Enciclopaedia Britannica, o nella prima puntata dell'VIII vol. dell'Arch. glott. it.

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all'u di fase anteriore o etimologica, il quale si conserva nel l'ibernico (Irlanda e Scozia). Come sapete, da u, generalmente parlando, non si viene ad i, se non passando per i e anche tra i Galloromani arriviamo, per questa via, ad i lat., com'è nel ladino di Sopraselva: dir durus, mitt mutus, ecc. Così dunque all' irland. dun fortilizio, risponde normalmente il cimrico din, o all' irland. rūn mistero, il cimr. rin. Il fenomeno ancora s'illustra, per riprova intrinseca, dal fatto dell' y che nel cimrico succede all' originario e irlandese, come in hy-, irl. su- so-, sanscr. su- (gr. eu-) (1). E la congruenza del galloromano col britone punto non s'infirma per ciò che anche nell'anglosassone, nell'islandese, nello svedese e nel danese s'abbia y per u di antica fase; poichè la mutazione qui non avviene se non all' umlaut, cioè per effetto di un i che c'è o c'era nella sillaba successiva (y = üu-i), e lo stesso è appunto il caso dell' i degli Alto-Tedeschi (per esempio, nell'anglosassone: gerine mysterium, allato a run id.; lyge mendacium, allato a lugon mentiti sunt; nell' islandese : lijk claudo, allato a lūka claudere; dylja celare, allato a dula velamen; nel medio-alto- tedesco: lüge mentiretur, allato a lugen mentiti sumus). Ora, quali pur sieno, del resto, le ultime ragioni per cui l' umlaut della grammatica di Grimm si connetta coll' infectio della grammatica di Zeuss, rimane pur sempre che nell'anglosassone ecc. il fenomeno dell'ü o y da u è transitorio, dipendente cioè da una causa accidentale, e in effetto ancora si risolve nella somma di due suoni diversi; laddove, all'incontro, per entro al britone, così come nel galloromano rispetto al latino, la riduzione dell' u ad i (ii) è fenomeno costante o di

(1) Di più e di meglio or si ricava da RHYS, Lectures on Welsh Philology, sec. ed., p. 213-16, 244-46.

ordine assoluto, tal cioè che non dipende dal riflesso di una vocale che sia o fosse nella sillaba successiva. V' ha bensì un idioma germanico, in cui l'ü per u appare ottenuto in guisa non diversa da quella che s'avverte pel britone o il galloromano. È la favella dei Paesi Bassi (per es., oland. kus, cioè quasi cüs, bacio; duur, cioè düür, la durata); ma è quanto dire la favella germanica sovrapposta al celtico de' Belgi. Il principe dei germanologi, il Grimm (I3, 278, cfr. 294), pensava a un influsso della limitrofa lingua francese. Noi invece incomincieremmo ad affermare che si tratti di effetti identici, e tra di loro indipendenti, di una causa stessa; e così otterremmo, pel nostro assunto, pur una riprova di quell'ordine che dicevamo estrinseco. Dove intanto mi affretto a ricordarvi, che è celtica anche la gran caratteristica basso-terranea (olandese) di FT in CHT (lucht luft, aria, ecc.); cfr. irl. secht, cimr. seith, septem; irl. necht, cimr. nith, neptis.

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Quale sarà dunque la giusta spiegazione di codesta risposta galloromana dell' ú latino? Manifestamente questa: L'ú latino era uno schietto u, come appunto suona nel toscano duro ecc., laddove l'u latino piegava all' incontro ado (o chiuso), come appunto suona nel tosc. noce nuce ecc. Ora, il suono che tra' Galli stava men rimoto dallo schietto u, era l'i. E il lat. duro, per esempio, non potea dal loro stromento orale esser facilmente riprodotto se non per düro (dürọ dür).

Molto antico, cioè di latino volgare, e perciò molto largamente riflesso nella romanità seriore e moderna, è il dittongo dell'o breve fuor di posizione ed anche in posizione, che risuona, per es., nel tosc. suole solet, o nel napolit. cuorne cornu. Queste pronuncie italiane già ci dicono che fosse uno schietto u anche il primo elemento di cotesto dittongo di volgare romano; e si aggiunge l'ue spagnuolo

(per es. nuevo novus, cuerda chorda), in cui la determinazione del secondo elemento deve dipendere dall'accento che un tempo era fermo sul primo (v., per ora, Arch., IV, 405) (1). Analoga determinazione s'ebbe tra' Galloromani; ma poichè in quest' úe (poi ué) era uno schietto u, e anzi un u schietto e accentato, la piena e specifica pronunzia galloromana ne dovette essere üe. Così novo diede primamente un gallico nuevo nuev, forma positivamente attestata, alla quale ora appunto miriamo; e l'ö, che risuona nel nöf di pronuncia francese o lombarda, altro non è se non una resultanza seriore o monottonga di codesto že galloromano, ottenuta per quel processo di assimilazione, che si può, in via approssimativa, descrivere così: nüef nuœf nöf.

Qui l'importanza degli idiomi ladini si fa grande. La fase dell'üe risuona ancora nell' Engadina (limitata alla formola OR+cons.), dove proprio assistiamo alla riduzione che testè si poneva per la Francia o per la Lombardia (cfr. gli eng. üert hortus, öss osso, öf ovo, ecc., allato agli spagn. huerto hueso huevo). E in Sopraselva, cioè in uno dei territori galloromani dove l'ü da ú si risolve nello schietto i (dir durus, ecc.), pur questo dittongo že si dovea risolvere in ie, come in effetto avviene, senz'alcuna restrizione di formola (sopras. iert iess ief nief ecc.).

Ma è un fenomeno d'ordine generale, e costante in specie nelle regioni per le quali ora ci moviamo, che una consonante gutturale, la quale riesca attigua ad i o ad altra vocale prossima ad i, si riduca tosto o tardi a consonante palatina. Qui scriveremo, per una semplificazione che in questo luogo non nuoce punto, non altro che c' per l'al

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(1) Un'analogia abbastanza notevole, ma d'ordine affatto generico, è offerta dalla evoluzione germanica: üe, umlaut' medio-alto-ted. di uo, = got. o; per es. müele molerem, allato a muol molui, got. mōl.

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