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nelio Nepote, o, per non affibbiare a questo grande scrittore ciò che non gli appartiene, del così detto Cornelio Nepote.

La sintassi storica del Dräger è compresa in due volumi, ognuno dei quali abbraccia due parti; perciò la sua sintassi consta di quattro parti. Nella prima esamina le parti del discorso, facendo la storia non della loro forma, ma del loro uso sintattico; e questa si può considerare l'introduzione dell' opera. La seconda parte tratta della proposizione semplice, in cui si esamina l'uso del soggetto, del predicato in tutte le sue forme e dell'attributo. La terza parte tratta della coordinazione, la quarta della subordinazione, dove le proposizioni subordinate vengono divise in tre categorie: sostantive, attributive e avverbiali. D'ogni fatto sintattico che viene esaminato vi si trova la storia, seguendo i periodi della letteratura e gli scrittori che a ciascuno di quelli appartengono.

Il libro del Dräger non è elementare, ma presuppone in chi lo usa la sicura conoscenza di una sintassi latina, che sia informata ai nuovi studî, come io potrei citare quella del Vanicek e quella di un nostro italiano, il Baroni. Però anche per chi conosca profondamente la sintassi latina, per chi abbia digerito, ammettiamo anche, tutta la sintassi del Madvig, il libro del Dräger serba delle stupende sorprese; anzi di quando in quando rettifica quello che fu asserito dal Madvig; non parliamo poi di altre sintassi, che pure vanno per le mani degli studiosi. Nè vi ha dubbio che chi voglia oggi scrivere una sintassi latina, per quel rispetto che si deve alla lingua e alla scienza, abbia da far capo al libro del Dräger. Il quale è in piena regola con la critica dei testi, e lo sa il Klotz, il cui vocabolario latino, reputato il migliore o fra i migliori che si abbiano in Germania. è tante volte dal Dräger colto in fallo.

Non è a dire che nulla si desideri nel libro del Dräger; vi si desidera una più ampia e sistematica trattazione dei poeti classici, ma non gli se ne può far rimprovero, perchè è questa una conseguenza del piano di studî propostosi dall'autore. E quindi non è da meravigliare se nel toccar, secondo l'occasione, della sintassi di essi poeti, fa qualche asserzione non corrispondente al vero, come qualche volta io potrei constatare per Vergilio. Al § 25, dove si trova una serie di sostantivi che si possono sottintendere a certi aggettivi adoperati sostantivamente, avrei voluto che si fosse notato anche il nome mensis. Ventimiglia, 18 giugno 1881. REMIGIO SABBADINI.

ANTONIO CIMA. Principii della stilistica latina. Milano, D. Briola e C., 1881.

Il giovane prof. Cima, già conosciuto favorevolmente ai lettori di questa Rivista, ha avuto l'ottimo divisamento di esporre agli Italiani i principii della stilistica latina, servendosi a quest'uopo delle recenti pubblicazioni tedesche e in particolare delle lodate opere del Nägelsbach e del Klotz. Diciamo subito ch'egli non poteva far cosa più utile e più savia; perchè niente giova meglio a conoscere nella sua vera essenza la lingua latina, e insieme ad approfondire lo studio della nostra, che il paragonarle indagandone le analogie e le differenze; paragone tanto più proficuo ai dì nostri, quanto che, essendo quasi del tutto caduta in discredito l'abitudine dello scrivere latino, si vanno perdendo quei vantaggi incontestabili che da tale abitudine derivavano. Le osservazioni che fa il Cima nella Prefazione per dimostrare l'utilità di uno studio diligente e profondo della lingua latina sono veramente giudiziose, e otterranno, credo, l'approvazione dei ben pensanti. Nè egli si scosta dal vero quando afferma che ad una notizia precisa del latino, una serie di proposizioni, le quali mettano in rilievo l'indole sua peculiare, non è meno utile e meno necessaria che la pratica conoscenza degli scrittori.

Venendo alla trattazione della materia, l'A. comincia a far notare tra lo stile latino e l'italiano tre specie di differenze: materiali, logiche e logico-materiali; le fa vedere mettendo a riscontro un periodo di Cicerone e la sua traduzione in istile moderno. Poi in cinque capitoli tratta delle differenze logiche consistenti: a) nella sostituzione di concetti specifici o individuali a concetti generici o specifici, e viceversa; b) nella sostituzione di espressioni astratte o concrete; c) nello scambio di concetti subiettivi e obiettivi, attivi e passivi; d) nell'uso della circoscrizione o lessicale o logica o retorica. Il 7° capitolo è dedicato alla proposizione ed all'analisi delle sue parti; l' 8° all'analisi del periodo; il 9° allo studio dell' interno organismo della proposizione e del periodo. Per ultimo discorre degli arcaismi, dei grecismi, dei neologismi, i quali guastando la purità e proprietà della lingua lasciano traccia anche nello stile.

Come si vede da questo breve sunto, e come dice l' A. medesimo (pag. XIX-XX della prefaz.), egli si scosta nel determinare l'ambito della sua materia dalle vedute del Klotz, e s'accosta di preferenza al Nägelsbach; esclude infatti dalla trattazione della stilistica le teorie della purità, della chiarezza, della varietà del discorso, e dell' altre onde il Klotz parla nel suo manuale, stimandole oggetto della retorica anzichè della stilistica, e questa volendo limitata a mettere in rilievo la special maniera di concepir le cose ed esprimersi dei Latini. Ma alla sua volta si allontana dal Nägelsbach nella distribuzione della materia; e cioè in vece di dividerla secondo le parti del discorso, divisione ch'egli stima più da grammatica che da stilistica, ei s'ingegna di raggruppare le principali differenze fra le due lingue sotto certe classi caratterizzate da quelle particolarità nell'atteggiamento del pensiero, per es., la classe dei concetti generici e specifici, quella dei concetti astratti e concreti ecc., discorrendo poi in ciascuno di quei nomi, aggettivi, verbi, in cui tale differente atteggiamento del pensiero si manifesta. In questo, pare a me, il Cima ha adoperato giudiziosamente, e la materia riesce così più logicamente ordinata, in guisa da far capire subito al lettore l'intima natura dello stile latino ed italiano.

Dubito se si possa dire altrettanto per avere escluso dalla stilistica ogni considerazione relativa alla chiarezza, alla varietà, all'armonia del discorso latino; perchè sebbene questa trattazione sembri cadere nel dominio della retorica, pure tali qualità danno anch'esse uno stampo particolare al latino e lo caratterizzano non meno delle sue specialità logiche. Per es., niuno negherà che il rotondamento del periodo e il numerus richiesto da Cicerone anche nella prosa sia un carattere divenuto costante nella latinità, sebbene con molta varietà di forme. Considerazioni di questo genere non vanno ommesse sicuramente, chi voglia, oltre a dei principii teoretici, dare pratici precetti per tradurre o scrivere in buon latino; e questo era anche uno degli scopi che il Cima s'era proposto col suo libro. Ma anche prescindendo dall' utilità pratica, se per istile si deve intendere la maniera speciale di concepire le cose e conseguentemente d'esprimerle, una teoria dello stile mi sembra dovrebbre abbracciare tutto quello che a tale atteggiamento del pensiero e della parola presso un popolo si riferisce, anche la parte ornamentale, dato che questa non sia una manifestazione sporadica, ma proprio una forma costante e però in

esistente a' suoi giorni a Roma nel tempio della Pace (1). Alla sinistra del Nilo stanno in diverso atteggiamento due giovanette, di cui l'una è pressochè ignuda e l'altra appena da sottili vesti coperta. Esse sono due ninfe nilotiche, e, come suppone la illustratrice, probabilmente Menfide e Anchirroe, figliuole del fiume. Alla destra del Nilo poi un barcaiuolo nudo, salvo il ventrale a' fianchi e la causia sul capo, l'uno e l'altra indumenti proprii de' barcaiuoli, marinai e pescatori, se ne sta seduto entro una barchetta con timone munito del manico (ansa) e della manovella (clavus). Con la sinistra egli si appoggia alla barchetta, e con la destra tiene una canna per la pesca (arundo). L'intiera scena sembra imitata da qualche opera anteriore di più valente artefice, forse da qualche pittura. La base poi pare fosse de

sostenere un candelabro; ed è probabilissima la supposizione della contessa Lovatelli che questo avesse appartenuto a qualche tempio, dove si celebravano le misteriose cerimonie del culto egizio, così in fiore a Roma, specialmente nell'età degli Antonini.

Come il primo dei lavori accennati e come due altri scritti della egregia contessa (2), la terza ed ultima delle illustrazioni da lei ora date in luce concerne un soggetto circense. Fra le rovine di una villa, edificata sul principio del terzo secolo, al decimosettimo miglio della via Cassia non distante dalla stazione di Baccanas (Baccano), fra altri musaici se ne rinvenne, alcuni anni addietro, uno diviso in quattro quadretti, in ciascuno de' quali è rappresentato un auriga in piedi tenente per il freno un cavallo sauro. Questi aurighi hanno il solito abito circense, la tunica quadrigaria (XITv ηvioxikóç) stretta al torace da striscie di cuoio. In capo hanno un elmetto con un piccolo pennacchio ad un lato; le braccia sono coperte da lunghe maniche e le gambe da brache e cnemidi. Il colore della tunica è diverso in ciascuno degli aurighi: bianco, verde, azzurro e rosso. Sono quindi rappresentate le quattro fazioni del circo, albata, prasina, veneta e russata, le quali, sul finire del secolo terzo, si ridussero a due soltanto, fondendosi l'albata con la prasina e la russata con la veneta, e tali si mantennero a Roma e poi nella nuova capitale, Costantinopoli, finchè furono celebrati i ludi del circo. 11 musaico, ora illustrato, è certamente contemporaneo alla edificazione della villa; ri

(1) Nat. Hist., XXXVI, 11.

(2) Vedi Rivista, anno VII, p. 399-400, VIII, p. 295.

sale cioè al tempo, in cui fiorenti erano gli spettacoli circensi, e a celebrare i loro campioni si destinavano monumentì d'ogni maniera. Occorre però osservare con la contessa Lovatelli come dall'assenza de' nomi presso gli aurighi e i cavalli (evidentemente i sinistri funales di ogni quadriga, cioè quelli meglio addestrati epperò più stimati e ai quali si attribuiva in gran parte la vittoria) si deve dedurre che nel musaico non si vollero effigiare figure iconiche, ma soltanto rappresentare le quattro fazioni contendentisi la palma ne' ludi. Le quattro figure del musaico, confrontate tra di loro e con altri monumenti, in cui sono rappresentati agitatori, mostrano ancora qualche leggera differenza nel modo di vestire; perciò si può conchiudere che se uno solo era il modo di vestire circense, i particolari però potevano essere modificati.

In principio del suo nuovo lavoro l'egregia autrice ci manifesta aver ella < spesse volte vagheggiato l'idea di raccogliere un giorno << insieme ed illustrare ogni sorta di monumenti che ai giuochi del circo si riferissero, ed offrire così ai cultori delle archeologiche discipline una compiuta e generale monografia circense». Tale lavoro, fatto da chi dimostrò, come la ch. contessa, di conoscere così bene l'archeologia circense, sarebbe un graditissimo dono agli studiosi, che per sì fatto argomento non posseggono una compiuta monografia oltre a quella antica di Onofrio Panvinio (1). Se non che la egregia autrice lasciandoci indovinare il suo animo da gravi cure amareggiato, mestamente soggiunge: «Se tale mio desiderio verrà < mai recato ad effetto, lo ignoro, imperocchè pur troppo :

Vitae summa brevis spem nos vetat inchoare longam »

Ma noi soggiungeremo con lo stesso Venosino e in più nobile senso interpretando le sue parole:

(1) De ludis circensibus libri II, Venetiis, 1600, ristampati cum notis Joannis Argoli et additamento Nicolai Pinelli nel volume IX del Thesaurus antiquitatum Romanarum del GREVIO, p. 1-576, nel quale volume si legge pure dopo questa la dissertazione di GIULIO CESARE BULENGER, De circo Romano, ludisque circensibus, etc.

Una trattazione di questo soggetto, breve, quale la richiedeva l'eco. nomia dell'opera, e in relazione col disegno dell' intero lavoro, si ha nel volume III della Römische Staatsverwaltung del MARQUARDT, pag. 484 e segg.

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