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avrebbe fatte sparire alcune poche scabrosità e parecchie sviste che ora qua e là la macchiano. Anche così com'è, può riuscire utilissima agli studiosi; ed è una nuova prova della perizia del Merlo nel tedesco e nell'italiano e nella scienza glottologica. Ma è pur vero che questa traduzione è paragonabile ad un bello e onesto viso, che avea bisogno semplicemente d'esser lavato.

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Jones, che fu il primo presidente di una società per le ricerche asiatiche, sorta a Calcutta fin dal 1786, si esprimeva a questo pro« posito nel modo seguente »; mentre son le parole di Jones che risalgono al 1786: la società asiatica fu fondata il 1774, se mal non ricordo; difatti il testo dice. «...hatte... der erste Präsident einer << in Calcutta zur Erforschung Asiens gestifteten Gesellschaft, sich über diesen Punkt schon 1786 folgendermassen geäussert. O forse tutto si riduce allo spostamento d'una virgola? Ibid. Non è felice la dicitura nel periodo : < Con esse la stringe..... una « parentela così stretta, che non si può farla dipendere dal caso, e << che è tanto certa da imporre ad ogni filologo... la convinzione ecc.». Era meglio dire, p. es.: « Con esse la unisce..... una parentela così << stretta, che non si può farla dipender dal caso, e tanto certa, da < imporre, ecc. »; come non è felice l'espressione : < che abbiano avuto col sanscrito la stessa origine », dovendosi dire o: < la stessa origine del sanscrito » 0: <col sanscrito un'origine comune ». — A p. 2, e passim: giovani lingue »« forme giovani > « pasto, ha l'aria d'un tedeschismo: per noi è più proprio recenti », in tali casi. Ibid. Dove dice: «< innanzi al giudizio del tempo futuro, dovrà far epoca senz'alcun dubbio l'opera dovuta all'ingegno di Bopp », oltre alcune altre lievissime imperfezioni, mi par ambiguo quell' « opera » che potrebbe parere un determinato libro, mentre qui vuol dire l'indirizzo, l'attività. Difatti il tedesco dice: « die epochemachende Leistung des Bopp'schen Genius » cioè « l'opra, che fa epoca, del genio di Bopp. Anche quel futuro », e qui e altrove, e anche senza la compagnia di « tempo», per dir l'« avvenire » (die Zukunft) non è troppo opportuno, massime in un lavoro grammaticale. Nè poco più giù è molto acconcio quel << notizia per « nozione» (Erkenntniss), nè la cognizione per lo scandaglio, il penetrare » e che so io (Einsicht). Ibid. Che fu introdotta dal Klaproth (?) si legge nella nota, dove il tedesco ha « (von Klaproth

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ecc. a tutto

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D.

aufgebrachte ?) Il testo esprime il dubbio se K. sia stato l'introduttore; invece la traduzione, dando ciò per certo, domanderebbe invece chi sia codesto Klaproth. A p. 3, il testo direbbe: Basti ricordare il giudizio di W. (e qui lo riporta), e citar poi l'affermazione di B. (e la riporta); e il traduttore, forse per spezzare il lungo periodo, scrive: « Basta ricordare, ecc. Ma si aggiunga, ecc. ». In altri modi, anche con espedienti tipografici, si potea provvedere alla chiarezza, senza commetter questa piccola infedeltà. Nè mi piace di più quella spezzatura che il' traduttore ha messa nel periodo largo e simmetrico del Benfey. Questi dice: « scopo di quest'opera (la Gr. Comp. di BOPP) direi che fosse l'intelligenza della origine delle forme grammaticali delle lingue indoeuropee, la comparazione di queste lingue come mezzo per intender quella origine, la ricerca delle leggi fonetiche come mezzo per quella comparazione. Il Merlo ha rotto il legame coordinativo tra queste tre cose, sostituendovi la subordinazione della seconda alla prima, e la separazione della terza da tutte e due. A p. 4. « Ogni vento a caso e di leggieri può, ecc. »; sarebbe meglio propriamente: « il vento del caso facilmente può ecc. ». - A p. 5. Non mi par bello« visibilmente, ...lo Schlegel, ecc. » per evidentemente... lo S., ecc. »; nè « si avea formato la convinzione per << s'era persuaso »; nè quel « s'immagina » per s' immaginava (sich dachte), perchè toglie il colorito narrativo. — A p. 5-6, abbiamo un periodo non molto felice: «Che Schlegel chia< masse poi, ecc., questo avveniva pienamente secondo lo spirito del < filosofo romantico, i cui pensieri e le formole erano a lui tanto famigliari ». Qui, fra l'altre cose, pare che il filosofo romantico, i cui pensieri eran familiari a Schlegel fosse una persona diversa da Schlegel. Avrei preferito, p. es.: « Che Schlegel chiamasse, ecc., era cosa pienamente conforme allo spirito del filosofo romantico, del quale egli aveva tutto il modo di pensare e d'esprimersi ». - A p. 8 si legge: < Sotto il nome di Verbo (parola del tempo) è da intendere, ecc. ». Or questa parentesi riesce priva assolutamente di senso per il lettore italiano, salvochè egli non sia pratico di tedesco e così s'immagini subito che il testo debba avere, come difatti ha : « Unter Zeitwort oder Verbum... ». —A p. 9, dove dice che il verbo essere si nasconde « intellettualmente in ogni verbo », era meglio dire mentalmente, o idealmente (begrifflich). Poco più giù il testo dice che il Bopp in un certo suo periodo si rimette al lettore per la soluzione

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d'una questione che sarebbe toccato a lui di risolvere, e propriamente:...dem Leser die Lösung einer Schwierigkeit zugeschoben wird, die, ecc. »; e il Merlo traduce che viene riferita al lettore la soluzione, ecc. », e poi nell'errata emenda: « attribuita al lettore >. Doveva, io credo, scrivere: « deferita al lettore ». E qui io mi fermo. Il resto lo dirò in privato al Merlo s'egli lo vuol sapere; e non val poi la pena ch'egli voglia, poichè si tratta o di piccoli nèi di stile, o di sviste (poche delle quali capaci di tirar in errore il lettore) tutte dovute alla fretta; e il Merlo le avvertirà da sè, se rivedrà con pace il suo lavoro. Il quale, tutto sommato, è eccellente.

In lingua turca sono espresse dentro il verbo istesso, mediante sillabe formali, certe idee accessorie che in altre lingue si esprimerebbero con apposite parole. E il cumulo di queste idee accessorie può arrivare a tal punto, ossia in una sola voce verbale se ne possono concentrar talora tante, da aversi, p. es., dalla radice sev, amare, una forma così: sevishdirilememek, la quale significa 'non esser capaci di essere resi amici reciprocamente. Questa voce, aggiungeva taluno, si applicherebbe, per esempio, benissimo allo Czar e al Sultano, che non c'è verso di far stare in pace tra loro. Ma essa, che è riferita tanto da MAX MÜLLER nelle sue Letture, quanto dal WHITNEY nel suo libro sulla Vita del linguaggio, si applicherebbe pur troppo non meno bene anche agli stessi Müller e Whitney, che non possono stare senza pungersi ogni tanto l'un l'altro! Non abbiam qui debito nè potere nè voglia d'andar rivangando il diritto e il torto di questo o di quello. Il certo è che tutti deploriamo assai questo malumore interminabile tra due valentuomini, degnissimi entrambi dell'estimazione e della riconoscenza dei dotti. Lo deploriamo, nonostante che di quando in quando esso ci frutti qualche cosa di bello e di buono, cioè le critiche aggiustate, stringenti, argute, del Whitney, contro a qualcuna delle dottrine linguistiche troppo vaporose ed avventate del Müller. Il Whitney ha un ingegno logico, dialettico, coerente, scevro di fantasticherie, ed un buon senso veramente americano; e quindi ha facilmente buon gioco contro il Müller, uomo dotto, certamente, e ingegnosissimo, ma facile, per la sua natura d'artista, a lasciarsi

sedurre da concetti e da dottrine più speciose che vere, e spesso contraddicenti ad altri concetti e dottrine da lui stesso accolte.

Una nuova prova di tutto ciò l'abbiamo nella bella dissertazione del Whitney sull'incoerenza nelle teoriche intorno al linguaggio ». La quale intanto s'apre con alcuni colpi, bene assestati, contro il Renan. Sostiene questi (in quel suo mediocre libro sull'origine del linguaggio) come i dialetti affini non sieno divariazioni posteriori di un unico linguaggio primordiale, ma ogni linguaggio sia ab origine. franto in varietà dialettali; e di ciò adduce un esempio nei linguaggi polinesiaci, che sono estremamente varî. Risponde il Whitney che non sa perchè questi debbano servire come esempî di un linguaggio primordiale, quasi fossero nati or ora; e osserva che col criterio del Renan anche dei dialetti romanzi si dovrebbe dire che non risalgano a una lingua unica, e se dal Renan non si dice, gli è solo perchè su questo soggetto egli è raffrenato dall'esplicita testimonianza contraria della storia. E quando il Renan dice che ogni dato tipo linguistico (p. es. l'indoeuropeo) non s'è formato lentamente, ma è surto intero, tutto d'un colpo, con tutta la struttura che gli

propria, < come Mi

nerva dal cervello di Giove, il Whitney risponde con ragionevole ironia che egli trova giustissimo questo paragone, poichè davvero tanto è buona linguistica l'ammetter quel cosiffatto nascere dei linguaggi, quanto è buona ostetricia il ritener possibile quel cotal parto di Giove! Anche Max Müller sostien la tesi renaniana della dialettalità originale, per rispetto alle lingue germaniche, non ammettendo egli vi sia mai stato un idioma protogermanico comune, e neppure un idioma altotedesco e un bassotedesco, mentre pure conviene che i dialetti tedeschi, quanto più si risale indietro nei secoli, più si trovan rassomiglianti e convergenti. E il Whitney risponde ch'egli ha sempre saputo che le linee convergenti s'incontrano, non importa poi se il punto d'încontro sia, all'occorrenza, fuori della nostra visuale; e che del resto l'appuntarsi di molte favelle, convergenti, in un'unica favella originaria, s'è più volte trovato dentro la nostra visuale storica (lingue romanze, ecc.). E infine, dove il Müller, come nuovo argomento contro l'esistenza di un idioma protogermanico, aggiunge il fatto che i vari popoli germanici quando invasero l'impero romano avean già i loro proprj dialetti, il Whitney risponde, che quest'è un argomentare simile a quel che farebbe un Inglese che dall'essere Max Müller emigrato in InRivista di filologia ecc., X.

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ghilterra già uomo fatto ne deducesse ch'egli non sia mai stato bambino. Tutta l'erronea dottrina nasce, dice il Whitney, dall'immaginarsi, che fa il Müller, una Germania e una Scandinavia semibarbare, fin dal principio popolatissime e formicolanti di tante tribù affini ma ostili; mentre di certo quei paesi furono dapprima occupati dalla immigrazione di una piccola comunità, di lingua e costumi omogenea, la quale poi moltiplicandosi, e sparpagliandosi, e forse assorbendo in sè popolazioni indigene anteriori, venne da ultimo a scindersi in tante tribù serbanti solo in parte la primiera omogeneità. Ma il più bello è, dice il Whitney, che il Müller nega l'unità originaria dei dialetti germanici mentre crede pienamente alla unità originaria del germanico col celtico, col latino, col greco, ecc.! Nega l'unità minore e il principio su cui essa si fonda, e consente che su questo stesso principio si fondi una unità ben più cospicua qual è l'unità protoariana! Ecco le contradizioni, le inconseguenze, la inconsistency'.

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Nè il Müller, continua il suo avversario, ha un'idea precisa di ciò che significhi una famiglia di lingue, là dove arriva a dire che non è maraviglia che le famiglie sien tre sole, perchè già sisa che esse non possono esser la regola, ma solo un'eccezione! Perchè delle lingue costituiscano insieme una famiglia non occorre ch'esse sien molte nè che vi sia, in esse tutte od in alcune, splendore di lettere, antichità di monumenti, ecc.: questo ci vorrà perchè sia una famiglia nobile"! Ma una famiglia insomma si ha subito appena vi sia un qualche numero di dialetti affini, cioè risalenti a un unico linguaggio originario; sien poi selvaggi o poco numerosi quanto si voglia. E se un linguaggio apparisce isolato, ei può essere ultimo avanzo d'una famiglia distrutta, o aver troppo perdute le tracce della sua fratellanza con altri idiomi; e quindi o fa o sembra fare famiglia da sè. Ma lungi dall'essere le famiglie un' eccezione, sono la regola; e quel che appunto si sforzan di fare i linguisti è di ridurre più famiglie ad una famiglia sola, per non averne un numero esorbitante (1). Per il Müller

(1) Dice il W. che la famiglia turanica del Müller è una specie di 'olla podrida', di intruglio di lingue diverse che il M. non sapeva dove mettere. Egli dice veramente: « a sort of omnium gatherum, or refuse-heap », dove è notevole quel motto di latino maccheronico' all'inglese, che s'intende solo pensando al verbo inglese gather, raccogliere ecc.

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