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dove non v'è nemmeno una pallidissima idea d'eleganza e di grazia; torniamo al passo testè citato, in cui Virgilio stabilisce un confronto fra le duc specie di re. Ecco le sue parole:

<< Verum ubi ductores acie revocaberis ambo, Deterior qui visus, eum, ne prodigus obsit, Dede neci; melior vacua sine regnet in aula.

Alter crit maculis auro squalentibus ardens;

Nam duo sunt genera; hic melior, insignis et ore,

Et rutilis clarus squamis; ille horridus alter

Desidia latamque trahens inglorius alvum ».

(vv. 88-94).

È evidente che nel verso « Alter erit ecc. si vuol indicare il re deterior qui visus, e che l'hic melior ecc. si riferisce all'altro re di cui il poeta scrive melior vacua sine regnet in aula; così che nei versi sopra citati con chiaro ordine si accenna prima alla specie peggiore (si intende di figura) da Deterior a neci, poi alla migliore da melior ad aula, quindi nuovamente alla peggiore da Alter ad ardens, alla migliore da hic melior a squamis, e finalmente ancora alla peggiore da ille horridus ad alvum.

Ora di questo ordine bellissimo e che mi sembra tanto chiaro, il Lo Jacono ha nulla capito traducendo:

< Ma poi che richiamato hai dalla pugna
Ambo quei duci: qual ti par da meno,
Quello metti a morir, perchè non viva
Ad altrui spese; e nella vuota reggia
Lascia quello regnar, ch'è di più merto,
L'uno di macchie rifulgenti d'auro

Tutto fiammante (chè due son le specie),
Ed è migliore, e nobile d'aspetto,
E di splendide anella: orrido l'altro.
D'infingardía, che dietro si trascina

Una lunga ventraja inonorato» (p. cit.).

Tiriamo innanzi e vediamo altre belle interpretazioni : < ceu pul

vere ab alto Cum venit..... viator » (vv. 96, 97)

tutto polveroso Vien pellegrino

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«

= <

Qual da lontano

(p. cit.); < caeli tempore certo

(v. 100) = « A tai punti dell'anno » (p. 111); « Dulcia mella premes, nec tantum dulcia, quantum Et liquida et durum Bacchi domitura saporem » (vv. 101, 102) = « avremo.... il dolce miele, Nè dolce più, che in sua purezza ancora Domar non sappia il gusto aspro di Bacco › (p. cit.); niger Galaesus >> (v. 126) = « l'ombrato Galeso > (p. 112); < vescumque papaver > (v. 131) « eduli papaveri » (p. cit.). Arrestiamoci un istante a questo vescumque papaver che è qui veramente una pietra di paragone per valutare la conoscenza che il traduttore ha della lingua latina. L'aggettivo vescus non ha mai il significato di edule accettato dal Lo Jacono seguendo una falsa interpretazione di parecchi commentatori, ma bensì in un passo di Lucrezio

« nec, mare quae impendent, vesco sale saxa peresa > (1)

ha il significato di edace. E probabilmente Lucrezio faceva nascere vescus da vescor, quasi vescens. Comunque sia, è certo che vescus non ha mai il significato di edule, ma, derivando da un ve privativo e da esca, e non da vagari, come vascus, secondo il Doderlein (2), significa: che soffre tedio nel mangiare, gracile, minuto, esile, piccolo, magro e simili. Un esempio di Ovidio comprova quanto affermiamo: « Vegrandia farra colonae

Quae male creverunt, vescaque parva vocant > (3).

E basti il fin qui detto. Scusi il lettore se sono stato un po' lungo. Non voleva dire che la versione del Lo Jacono è un cattivo lavoro, senza appoggiare la mia affermazione a parecchie prove.

(1) I, 326.

(2) BENOIST al v. cit.

ETTORE STAMPINI.

(3) Fast., III, 445, 446, ediz. MERKEL. Vedi anche, riguardo al significato di vescus, A. GELLIO, N. A., XVI, 5; 6 e 7.

PIETRO USSELLO, gerente responsabile.

ARISTOFANE

II.

Le Nubi ossia Aristofane e Socrate.

Abbattere opinioni che sono il frutto d'una convinzione tradizionale e che da personaggi nella scienza eminenti hanno ricevuto, per così dire, la loro sanzione, è cosa sovra ogni altra malagevole. L'animo nostro è così fatto che, senza pensare più oltre, trova comodo adagiarsi tranquillamente in quella antica convinzione, per quante ragioni le si vogliano opporre, avvalorate da fatti incontestabili. E pur nondimeno si va affermando che la scienza dev'essere progressiva, che non devesi acquietare in nessun fatto, se prima con un severo esame non ne ha accertata la realtà, che deve apprezzare le teorie giusta il grado di probabilità che in sè contengono! Non dico che negli altri rami della scienza ciò non sia avvenuto: ma in quello della storia, dove la materia il più delle volte ha di già ricevuto dal passato una forma determinata e fissa per ragioni non sempre e totalmente intrinseche, il principio di autorità, checchè se ne dica, possiede ancora un vasto dominio. A toccare alcune

Rivista di filologia ecc., X.

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splendide figure innalzate dalla credulità fin sopra gli altari, a spogliarle di quell'aureola onde sono state circondate, e a strappar loro quel velo di misticismo, che le avvolge, per poterle conoscere quali furono, è pericoloso ancora ai nostri tempi perchè facilmente s'incorre nella taccia di eretico.

Ma ora io non voglio levare tanto in alto le mie pretese: in primo luogo perchè sento che i passi miei nel campo della filologia non sono ancora abbastanza sicuri, e in secondo luogo perchè un siffatto lavoro, in quanto a Socrate ed Aristofane, da alcuni anni fu di già felicemente compito (1). Io mi limiterò ad accennare i risultati ottenuti per valermene nella spiegazione di un fatto di storia letteraria che fin ora, malgrado i molti tentativi fatti, rimane ancor ravvolto nelle tenebre. Questo mio lavoretto sarà diviso in tre parti dopo di avere esposto lo stato della questione, mostrerò 1° come Aristofane doveva comportarsi di fronte alla sofistica; 2° come Socrate poteva colle sue dottrine politiche e morali offendere la suscettibilità d'un patriota ateniese; 3° in qual modo e Aristofane e Socrate si adoperassero per il benessere d'Atene; per ultimo seguirà la soluzione della questione propostami, quale può unicamente derivare dal loro modo di pensare e dal loro modo di operare nella vita politica a cui.presero parte.

Stato della questione.

Fra i dieci argomenti alle Nubi d'Aristofane, havvene due di capitale importanza per la storia di questa commedia, e sono i seguenti (2):

Argomento quarto. Αἱ πρῶται Νεφέλαι ἐν ἄστει ἐδιδάχθησαν ἐπὶ ἄρχοντος Ἰσάρχου [ΟΙ. 89, 1 = 423 a. Cr.], ὅτε [Ol. 1=

(1) FORCHHAMMER, Die Athener und Socrates. Berlin, 1837; MÜLLERSTRÜBING, Aristophanes und die historische Kritik. Leipzig, 1873. (2) Vedi la raccolta premessa all'edizione delle Nubi del DINDORF.

Κρατίνος μὲν ἐνίκα Πυτίνη, Αμειψίας δὲ Κόννω. διόπερ Αρι στοφάνης ἀπορριφθεὶς παραλόγως ψήθη δεῖν ἀναδιδάξαι τὰς Νεφέλας [τὰς δευτέρας] καὶ ἀπομέμφεσθαι τὸ θέατρον. ἀποτυχών δὲ πολὺ μᾶλλον καὶ ἐν τοῖς ἔπειτα οὐκέτι την διασκευὴν εἰσήγαγεν. αἱ δὲ δεύτεραι Νεφέλαι ἐπὶ Αμεινίου ἄρχοντος.

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Argomento sesto. Τοῦτο ταὐτόν ἐστι τῷ προτέρῳ, διεσκεύασται δὲ ἐπὶ μέρους, ὡς ἂν δὴ ἀναδιδάξαι μὲν αὐτὸ τοῦ ποιητοῦ προθυμηθέντος, οὐκέτι δὲ τοῦτο δι ̓ ἣν ποτε αἰτίαν ποιήσαντος· καθόλου μὲν οὖν σχεδὸν παρὰ πᾶν μέρος γεγενημένη διόρθωσις. τὰ μὲν γὰρ περιήρηται, τὰ δὲ παραπέπλεκται, καὶ ἐν τῇ τάξει καὶ ἐν τῇ τῶν προσώπων διαλλαγῇ μετεσχημάτισται. τὰ δὲ ὁλοσχερούς τῆς διασκευῆς τοιαῦτα ὄντα τετύχηκεν. αὐτίκα ἡ παράβασις τοῦ χοροῦ ἤμειπται, καὶ ὅπου ὁ δίκαιος λόγος πρὸς τὸν ἄδικον λαλεῖ, καὶ τελευταῖον, ὅπου καίεται ἡ διατριβή Σωκράτους.

Confrontando fra di loro questi due argomenti, noi vediamo che manifestamente in due punti s'accordano: 1) che Aristofane scrisse non una, ma due commedie intitolate Νεφέλαι, cioè le πρῶται e le δεύτεραι; 2) che nelle πρῶται (rappresentate l'anno 423 av. Cr. — Ol. 89, 1, rimasto deluso nelle aspettazioni sue, credette necessario riporre in scena la sua commedia per cancellare l'onta ricevuta. L'autore dell'argomento sesto, è vero, non ci dice che Aristofane avesse in pensiero nelle sue seconde Nubi di far di quell' onta acerbi rimproveri a' suoi spettatori; ma pure se badiamo all' indole stizzosa del nostro comico, io credo che ciò si potrebbe facilmente sottintendere. Ma egli ci porge invece una notizia molto più importante; vale a dire, che Aristofane dovette introdurre parecchie modificazioni nella sua commedia prima di rappresentarla una seconda volta. E che esistesse presso i poeti comici la consuetudine di ritoccare l'opera loro quando si trovavano nella

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