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pare veramente, non essere la prima ragione addotta dal Müller-Strübing abbastanza plausibile. Fino ad un certo punto può essere accaduto, che Aristofane sia stato ammaliato da Alcibiade, ma secondo il mio modo di pensare l'asserzione mi pare troppo assoluta. Chi era Alcibiade? La leggenda della sua fanciullezza ce lo rappresenta di una tale natura da farci argomentare che in lui esistesse in germe, per così dire, la stoffa di un principe assoluto. Or bene, che in realtà così fosse, noi lo possiamo dedurre da uno dei capi di accusa che gli vennero mossi, allorquando la seconda volta, come abbiamo veduto, venne per gl' intrighi della fazione oligarchica bandito da Atene; cioè che egli macchinasse di crearsi, mediante l'armata ateniese e l'aiuto della Persia, una signoria nella Tracia. Ad un tale disegno la fazione oligarchica doveva essere necessariamente contraria, perchè esso incagliava i proprii progetti. Ma la fazione oligarchica non era tutto il corpo dei Cavalieri, a cui serviva Aristofane. Il corpo dei Cavalieri, come dice lo stesso MüllerStrübing, componevasi di giovani appasionati pel piacere, che solo indirettamente si occupavano di politica. Quindi, noi crediamo, che forse costoro insieme ad Aristofane non avrebbero veduto di mal occhio che il loro compagno d'infanzia e di gioventù si fosse costituito signore di Atene. Sarebbe stata questa la riproduzione del fatto dei nobili giovani romani che desideravano la ricostituzione della tirannide di Tarquinio, perchè sotto di lui potevano vivere a

sind's nicht die Dichter, die Redner, die Staatsmänner? und unter den Zuschauern dort, ist's nicht der da? und der? und der? sind sie's nicht alle? oder doch bei Weitem die meisten? - wer so antworten lässt, sage ich, der bricht dem Vorwurf die Spitze ab, der stellt durch diese Verallgemeinerung die Sache als harmloss dar und beschönigt sie-wie das übrigens, wenn ich mich recht erinnere, schon K. A. Becker im Charikles richtig erkannt hat» (Cfr. il suo Excursus alla quinta scena, vol. II, p. 290 e seg.).

loro bell'agio. Ed una prova che Aristofane abbia desiderato di vedere Alcibiade signore di Atene noi la possiamo ricavare da un passo delle sue Rane, dove invita gli Ateniesi in mezzo alle calamità, da cui erano stati oppressi, a piegarsi al genio prepotente di Alcibiade (1):

οὐ χρὴ λέοντος σκύμνον ἐν πόλει τρέφειν.
[μάλιστα μὲν λέοντα μὴ ἐν πόλει τρέφειν],

ἢν δ ̓ ἐκτραφῇ τις, τοῖς τρόποις ὑπηρετεῖν.

E che sotto la figura di questo leone sia appunto nascosto Alcibiade, è l'opinione del MEIER e di OTTOFREDO MÜLLER (2). Ma di ciò basti.

Concludo. Dapprima Socrate fu un pretto sofista ed Aristofane lo tolse ad argomento delle sue Nubi; di poi, Socrate mutò indirizzo e diventò filosofo, ed Aristofane ancora persuaso in sulle prime di vedere in lui un nemico del suo partito, intraprese, per non darsi vinto, a raffazzonare le prime Nubi; alla fine poi accortosi che Socrate, come lui e gli altri oligarchi, osteggiava la costituzione democratica, e vedutolo anche occupare qualche carica nella prevalenza oligarchica, depose il pensiero di condurre a termine il rifacimento della sua commedia. Ecco la ragione probabile, a mio giudizio, di questo fatto, ragione che emana dallo stesso svolgersi delle dottrine socratiche, e dal posto che il filosofo occupò in alcuni tempi nella amministrazione dello stato.

Piazza Armerina, 11 marzo 1881.

MICHELE ODDENINO.

(1) Ranae, v. 1431 seg.

(2) V. MEYERI, De Aristoph. Ranis commentatio tertia, Halae, 1852, e OTTOFREDO MÜLLER, Storia della letteratura greca tradotta da GIUSEPPE MÜLLER ed EUGENIO FERRAI, vol. II, p. 235.

Rivista di filologia ecc., X.

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DI UNA ISCRIZIONE ETRUSCA

TROVATA IN MAGLIANO

Lettera al comm. prof. ARIODANTE FABRETTI

Caro collega,

A Magliano (1), o per dir meglio, a Magliano in Toscana, si scoprono da qualche anno anticaglie; vasi pietre (2) monete. Ne donò spesso agli amici il signor Gustavo Busatti, e fece bene: ora invece raccoglie con amore ogni cosa, e fa meglio. Appunto in un suo podere, a Santa Maria in Borraccia (che vedrete chiamato anche Monastero Diruto), in un campo che ha il nome di Pian di Santa Maria, si trovò il mese scorso, lavorando (25 febr.), proprio a fior di terra, una piastra in piombo, opisthographa: e con molta cortesia, me la portò, lasciando che io ne usi

(1) Si aiuterebbe un forestiere avvisandolo di cercarlo tra Grosseto e Orbetello, dentro terra, e propriamente a 42°,35 lat. 28°,59 long. (Ferro).

(2) Una, con iscrizione, fu regalata, ma nessuno rammenta a chi. Un'altra, con incisavi una testa di animale, è in casa.

come più giova alla scienza, il dottor Luigi Busatti, aiuto alla cattedra di mineralogia, qui in Pisa: siamo dunque in famiglia.

I vasi furono dissotterrati qua e là: ma in questo Pian di Santa Maria la nostra iscrizione è il primo segno che n'esca dell'antica vita, e speriamo che non sarà l'ultimo : nè di altre piastre trovate in luoghi vicini si sa nulla. Se ne occupano e il dott. Busatti, e il suo padre, e il suo fratello; e quando verrà fuori qualcosa di buono ce ne avviseranno (1).

La piastra ha forma quasi di cuore (2): l'orlo è irregolare, fatto proprio così e non guasto dal tempo: ha una patina di carbonato al diritto (come lo chiamerò, per esser breve) con quella tinterella di bigio chiaro che agevola la lettura e che ricoprì il piombo dopo che fu inciso; più leggera è la patina, qua e là interrotta, al rovescio: torno torno si veggono poi macchioline rossastre che accennano ad ossidi di piombo. Questo dico aiutato da buoni colleghi e posso anche aggiungere, come pare che il piombo fosse gettato in terra, che vi lasciò impronte di sassolini o di grossa sabbia, poi si spianasse a martello la piastra, nella quale rimarrebbero segno di quel getto certe grinze che calano d'alto in basso, presso all'orlo, a destra e a sinistra.

La iscrizione è in etrusco. Nel diritto va a spire, come serpente che si raggomitoli, e, dove il margine fa seno, lo

(1) Ebbi in mano tre monete che ci conducono al primo e al terzo secolo, a Domiziano e a Cerino. Nell'una non si ravvisano più nè le immagini nè le parole; una seconda è rosa da una parte, nell'altra si legge o indovina IMP. CAES. DOMIT. AUG. GERM. COS. XIII. CENS. PERP. Meglio conservata è l'ultima: CARINVS NOBIL. CAES. | PRINCIPI IVVENTVT. — Sono in rame.

(2) D'alto in basso ha otto centimetri; poco più di sette dove il cuore è più largo.

segue e si ristringe, comincia in alto a sinistra e, lungo l'orlo sinistro, scende ravvolgendosi in cinque giri, e chiude nel centro. Le righe si addossano fitte fitte, ma tra l'una e l'altra corre un solco che le divide. Di buona forma, arcaica, sono le lettere; ha sempre il punto nel mezzo il th, spesso gli angoli acuti il c, e tra parola e parola il punto si vede quasi dapertutto, o ve ne sono due, e anche tre. Di ogni cosa poi, e dei dubbî e di quello che suppongo, farò minute avvertenze dopo che vi avrò messo sotto gli occhi la iscrizione. Ed è questa:

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AVIL. NENL. MAN: MURINASIE. FAL TATHI :

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CHIMTHM. AVILSCH. ECA. CEPEN. TUTHIU.

THUCH. ICHUTEVR. HEŚNI. MULVENI . ETH .

TUCI AM. ARS

Cauthas (v. 1): il c non è angoloso, ma somiglia al latino; come più sotto, in mlathcemarni ed in eca. - Nel numero LXXX (v. 1), come è naturale, il cinquanta è rappresentato da un lamda coll'asticina che cala dal vertice. Murinas'ie (v. 3): logore e oscure le tre ultime lettere: m

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