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parte, fatta sempre eccezione per il tuono troppo battagliero. Mi sono anch'io meravigliato che quelle mie indicazioni non riuscissero un po' meno inefficaci; ma alcune delle scritture, che voi citate, rimangono alquanto rimote dalle cose nostre; e poi ve la prendete anche cogli errori di stampa o di penna, come son manifestamente il nome e la figura d'una lettera in fondo alla p: 55 della scrittura dell'onorando Fabretti. Circa l' H (tra' Fenici, secondo le prove che sapete : Xηt ǹt e quasi nt), è da dire più chiaramente, che tutti e tre i valori, ch'egli assume tra' Greci (x, `, n), corrispondono ai varî profferimenti che tra' Fenici risonavano iniziali nel suo nome.

ISTRUZIONE CLASSICA

Proposte per un riordinamento della Facoltà di lettere e filosofia nelle Università del Regno.

I. Ogni istituzione, per quanto abbia dato buoni risultati, allorchè più non corrisponde ai bisogni del paese ed al progresso cui tutte le cose umane devono obbedire, ha da essere riformata o in tutto o in parte, secondo che più non s'addica affatto al mutato ambiente, ovvero possa ancora a questo con alcune modificazioni convenire. Pertanto, prima di dare opera alle riforme, è d'uopo diligentemente considerare la natura dell'istituzione che vuol essere modificata, cercare quali sieno i suoi lati difettosi e quali invece sieno le parti ancor buone, per procedere riguardo a quella come far si suole rispetto ai vecchi edifizi, i quali, se sono riconosciuti ancora sufficientemente solidi per non dover essere interamente rifatti, si riparano nelle parti

men buone, lasciando stare il resto, ma nel caso contrario si abbattono per essere ricostruiti su nuove basi.

Ora fra le varie istituzioni che si riferiscono alla pubblica istruzione e che, a parer mio, abbisognano maggiormente di riforma, devo annoverare la Facoltà di lettere e filosofia delle nostre Università. Di questa voglio nel presente scritto occuparmi.

II. Tutte le persone competenti in fatto di studi filologici, storicogeografici e filosofici riconoscono oramai che quella Facoltà, com'è presentemente ordinata, non corrisponde più guari al suo scopo, che è quello non solo di fornire alla nazione quella coltura letteraria e filosofica che è tanta parte del civile progresso, ma pur anche di formare valenti cultori delle singole discipline di cui vi s'impartisce l'insegnamento, e valorosi maestri per le scuole secondarie del paese. Vediamo dunque per quali ragioni un tale intento non si può più raggiunger bene colla Facoltà nel suo attuale ordinamento.

Anzi tutto è cosa incontestabile che il progresso fatto in questo secolo dalle varie discipline, che s'insegnano in detta Facoltà, è sì grande che un sol uomo, per quanto vasto ingegno abbia sortito da natura, non può riuscire a conoscerne con certa profondità ed ampiezza se non alcune poche le quali abbiano una stretta affinità con quella disciplina cui ciascuno suole oramai rivolgere in guisa speciale il suo pensiero e le sue cure. Perciò chi deve attendere a più materie di svariata natura e debolmente connesse fra loro, è posto senza dubbio nell' impossibilità di formarsi una cognizione profonda ed estesa di qualche speciale parte del sapere, giusta la nota sentenza :

< Pluribus intentus minor est ad singula sensus »

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che se fu sempre vera, lo è tanto più nei tempi nostri in cui la specializzazione del sapere s'impone all'uomo come un'assoluta e formidabile necessità.

Inoltre chi è destinato all'insegnamento può tanto meglio compiere la nobile sua missione, quanto più è versato in quella o in quelle materie ch'è suo debito insegnare. È quindi necessario che per tempo egli impari a restringere il campo de' suoi studi e concentrarli su quelle determinate materie che egli deve poi trasmettere mediante l'insegnamento alle giovani generazioni affidate alle sue cure, se vuol rendere veramente efficace ed utile l'opera sua.

Ciò posto, può la Facoltà di lettere e filosofia nelle presenti condizioni di cose formare buoni specialisti? può dare al paese valenti insegnanti? Io rispondo risolutamente no. Senza dubbio vi sono in Italia e valenti specialisti e valenti insegnanti nelle scuole secondarie, ma ricercate un po' come abbiano raggiunto una certa eccellenza e nel sapere e nella pratica dell'insegnamento. Voi troverete che, usciti dall'Università con superficialissime cognizioni pertinenti a numerose materie e senza saperne nessuna alquanto a fondo, hanno dovuto rifare i loro studi lottando contro numerose difficoltà, rimpiangendo ogni momento il tempo che dovettero consacrare a tante e diverse materie, rubandolo a quelle cui avrebbero voluto attendere in particolare guisa come a scopo della propria vita scientifica. Voi troverete che, usciti dalle aule universitarie e saliti sulle catedre delle scuole secondarie, si sono trovati come in un ambiente sconosciuto, quasi non fatto per loro, senza nulla conoscere del metodo da tenersi, senza sapere adattare l'insegnamento all'intelligenza degli alunni: quindi altre fatiche, altri pentimenti e rimpianti cui si deve e si può ovviare per l'avvenire con un migliore ordinamento della Facoltà di lettere e filosofia.

Certo sarebbe ridicolo il pretendere che in quattro anni di studi universitari si riesca specialista consumato e praticissimo insegnante; ma si può e si deve pretendere che il neo-laureato abbia già di quella disciplina speciale, a cui intende d'applicarsi ancora in seguito, una notizia, se non molto profonda, almeno abbastanza estesa; che possegga intorno ad essa una grande quantità di cognizioni bibliografiche, mediante le quali soltanto si possono avere i materiali di studio ed è possibile compiere pregevoli ed utili lavori ad incremento e decoro della scienza che si coltiva; che conosca bene, oltre alla lingua francese, almeno la tedesca, perchè si possa valere ne' suoi studi anche di quello che riguardo alla sua materia speciale fu scritto in paesi stranieri; che sia insomma così preparato e indirizzato nel ramo di studi che vuol seguitare a coltivare, da non essergli forza di tornar da capo all'abbiccì del sapere, come spesso accade ora; ma possa invece proseguire animosamente nella via già presa. Quanto poi all'insegnamento, cui debbono già essere preparati i neo-dottori, perchè non si potrebbe, nel periodo dei loro studi universitari, con una serie di ben organizzate conferenze svolgere e perfezionare in loro l'attitudine didattica; perchè non si potrebbe insegnar loro il modo che dovranno tenere nell'istruzione della gioventù che sarà poi loro affi

data, dar loro un'idea chiara dei metodi migliori che a tal riguardo si possono seguire ?

Ma dalle considerazioni generali veniamo alle particolari, facendoci anzi tutto ad osservare il lato difettoso del presente ordine di cose.

III. Primieramente la poca omogeneità delle materie, cui lo studente deve attendere, fa sì ch'egli, invece di concentrare i suoi sforzi, di convergere i suoi studi a quel gruppo di discipline per cui sente maggiore propensione, sia obbligato a distrarsi per seguire questo e quell'altro insegnamento che ha nulla a che fare cogli studi cui egli ha deliberato di coltivare specialmente. Di fatto per lo studente, che ha scelto a materia di studio il campo della filologia, a che cosa serve l'insegnamento della storia moderna ch'egli ora invece deve seguire per due anni consecutivi? A che gli serve l'insegnamento della filosofia teoretica, della geografia, della storia della filosofia, materie tutte nobilissime e degnissime di studio, ma che poco importano al giovane che si vuole consacrare alla filologia? Tanto più che lo studente, il quale entra all' Università, non esce dalle scuole elementari, ma sì dai licei dove ha dovuto apprendere quel tanto di geografia, di storia moderna, di filosofia che deve far parte della coltura generale e che può bastare ad uno studente di filologia. È vero che i licei d'Italia non danno in generale quei risultati che s'avrebbe il diritto di avere, ma che perciò? L'Università non deve formare la coltura generale dei giovani; questi devono già averla ricevuta dai licei. Ma ritornando allo studente di filologia, ho menzionato quattro materie che assolutamente non gli servono pe' suoi studi: vediamo ora se gli serva gran fatto l'insegnamento delle altre materie, quale è presentemente ordinato.

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Noto subito che, stando almeno a quanto avviene nell' Università di Torino, nessun professore fa più di tre ore di lezione alla settimana, compresa per parecchi di essi un'ora destinata alle esercitazioni degli alunni. Con tale orario quali cognizioni di letteratura latina e greca possono acquistare gli studenti? Come può il professore fare con tale orario, in 3 anni, un'esposizione alquanto compiuta dei principali periodi della storia letteraria, far la critica e l'esegesi dei testi, far conoscere la storia e lo sviluppo fonetico morfologico e sintattico della lingua di cui si occupa, comunicare ai giovani larghe notizie bibliografiche, tener loro parola delle principali pubblicazioni che si

vanno ogni giorno facendo in quel ramo di studi, ecc., ecc.? Il professore è pertanto obbligato a restringersi ad una parte sola e lasciare tutto il resto alla buona volontà dei giovani, i quali spesso, inesperti e senza guida non possono di per sè scemare anche in minima parte l'immensa lacuna. Per esempio, quale studente (stando sempre a quanto avviene nell'Università di Torino), terminati i suoi studi universitari, può dire di conoscere la storia della lingua latina, di quella lingua che egli deve poi insegnare nelle scuole secondarie? Che se di ciò si occupi il professore di letteratura latina, gli resta forse tempo per trattare la parte letteraria propriamente detta? E qui notate una cosa singolare: esiste nell'Università di Torino una catedra di grammatica e lessicografia greca che è utilissima: per essa i giovani studiosi possono essere messi in grado di conoscere lo svolgimento della lingua greca ne' suoi vari dialetti, ed abilitarsi quindi alla interpretazione ed alla lettura dei numerosi testi greci non iscritti nel dialetto attico. Al contrario non vi trovi alcun insegnamento che si riferisca semplicemente all'idioma latino, alle sue varie vicende, alle relazioni che esso ha cogli altri dialetti italici, specialmente con l'umbro e con l'osco di cui novantanove su cento fra i neo-dottori non conoscerebbero neppure l'alfabeto, quando non venisse pietosamente in loro soccorso per questo rispetto il professore d'archeologia. E sì che a noi italiani dev'essere oggetto di special cura e, per così dire, un dovere lo studio di quella lingua che fu madre della nostra! Di guisa che lo studioso delle lettere latine esce dalla Università con cognizioni superficialissime del latino classico, e troppo spesso ignaro del latino arcaico, i cui monumenti non è posto in grado di mediocremente interpretare.

Inoltre quali cognizioni di metrica greco-romana reca generalmente con sè il giovane laureato? La metrica greco-romana abbraccia un campo così vasto che appena un anno di non interrotto insegnamento può bastare per dare agli alunni le più elementari e necessarie cognizioni. Che cosa perciò può mai restare nella mente dell'alunno, se anche i professori di lettere latine e greche consacrino, il che difficilmente avviene, qualche ora a tale materia? D'altra parte come può, p. e., il professore di greco far conoscere in modo compiuto ai suoi uditori l'organismo del dramma greco senza entrare nelle più intricate questioni della metrica classica? E come può l'insegnante delle lettere latine dare un' idea adeguata dello svolgimento della

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