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E 'l ciel riten le stelle e lo splendore.

Splende l' intelligenza de lo Celo,
Deo creator più ch' a' nostr' occhi il Sole.
Quella incende so fattore oltra celo;
Lo Cel volgendo a lui obedir tole:
Conseguì al primiero

Dal giusto Deo beato compimento.
Così dar dovria 'l vero

La bella Donna, che gli occhi risplende
De lo gentil talento,

Che mai di lei obedir non si disprende.
Donna, Deo mi dirà, che presumesti?
Siando l' alma mia a lui davanti :
Lo cel passasti, e fino a me venesti,
E desti in vano Amor me per semblanti,
Ch' a me conven la laude,

Ch' alla Reina di regname degno,

Per cui cessa onne fraude,

Dirle potrò : tene d' Angel sembianza,

Che fosse del tuo regno;

Non mi fue fallo, s' io le puosi amanza.

FRA GUITTONE DI AREZZO.

SONETTO

A MARIA VERGINE.

Donna del cielo, gloriosa madre Del buon Gesù, la cui sacrata morte Per liberarci dalle infernal porte Tolse l' error del primo nostro padre;

Risguarda amor con saette aspre e quadre A che strazio n' adduce ed a qual sorte: Madre pietosa a noi cara consorte, Ritranne dal seguir sue turbe e squadre.

Infondi in me di quel divino amore Che tira l'alma nostra al primo loco, Sì ch' io disciolga l' amoroso nodo.

Cotal rimedio ha questo aspro furore, Tal acqua suole spegner questo foco, Come d'asse si trae chiodo con chiodo.

GUIDO CAVALCANTI.

SONETTO

SOPRA GLI OCCHI DELLA SUA DONNA.

Io vidi gli occhi, dove Amor si mise,
Quando mi fece di se pauroso,
Che mi sguardar come fosse annojoso,
Allora, dico, che il cor si divise;

E se non fosse, che donna mi rise,
Io parlerei di tal guisa doglioso,
Ch' Amor medesmo si faria cruccioso,
Che fe' l'immaginar che mi conquise.

Dal ciel si mosse un spirito in quel punto,
Che quella donna mi degnò guardare,
E vennesi a posar nel mio pensero.

E li mi conta sì d' amor lo vero,

Che ogni sua virtù veder mi pare,
Si come fossi dentro al suo cor giunto.

DANTE ALIGHIERI.

CANZONE

IN LODE DI BEATRICE,

Figlia di Folco de' Portinari di Firenze, bellissima ed onestissima donzella.

Io mi son pargoletta bella e nova, E son venuta per mostrarmi a vui De le bellezze e loco donde io fui.

Io fui del cielo, e tornerovvi ancora, Per dar de la mia luce altrui diletto; E chi mi vede, e non se ne innamora, D' Amor non averà mai intelletto; Che non gli fu piacere alcun disdetto, Quando natura mi chiese a colui, Che volle, donne, accompagnarmi a vui.

Ciascuna stella negli occhi mi piove
De la sua luce e de la sua virtute;
Le mie bellezze sono al mondo nove,
Perocchè di lassù mi son venute;
Le quai non posson esser conosciute,
Se non per conoscenza d' uomo in cui
Amor si metta per piacere altrui.
Queste parole si leggon nel viso
D' un' angioletta che ci è apparita;
Ond' io, che per campar la mirai fiso,
Ne sono a rischio di perder la vita;
Però ch' io ricevetti tal ferita

Da un ch' io vidi dentro a gli occhi sui,
Ch' io vo piangendo, e non m' acquetai pui.

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