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SONETTO DEL MEDESIMO.

IL SALUTO.

Tanto mi salva il dolce salutare,
Che vien da quella ch' è somma salute;
In cui le grazie son tutte compiute :
Con lei va Amor, che con lei nato pare.

E fa rinovellar la terra e 'l mare,
E rallegrar lo ciel, la sua virtute.
Giammai non fur tal novità vedute,
Quali per lei ci face Dio mostrare.

Quando va fuora adorna, par che il mondo Sia tutto pien di spiriti d'amore, Sì che ogni gentil cor divien giocondo.

E lo villan domanda: ove m' ascondo? Per tema di morir vuol fuggir fuore: Che abbassi gli occhi l' uomo, allor rispondo.

SONETTO DEL MEDESIMO.

I PREGI DELLA SUA DONNA.

Sta nel piacer della mia donna Amore, Come nel sol lo raggio, e in ciel la stella, Che nel mover degli occhi porge il core, Sicchè ogni spirto si smarrisce in quella.

Soffrir non posson gli occhi lo splendore, Nè il cor può stare in loco, sì gli è bella; Isbatte fore, tal sente dolore: Quivi si pruova chi di lei favella.

Ridendo par che allegri tutto il loco, Per via passando angelico diporto, Nobil negli atti, ed umil nei sembianti.

Tutta amorosa di sollazzo e gioco, E saggia di parlar; vita e conforto, Gioja e diletto a chi le sta davanti.

MADRIGALE DEL MEDESIMO.

Poichè saziar non posso gli occhi miei
Di guardar di madonna il suo bel viso,
Mirerol tanto fiso

Ch' io diverrò felice lei guardando.
A guisa d' Angel che di sua natura
Sopra umana fattura

Divien beato sol vedendo Dio;

Così essendo umana creatura,

Guardando la figura

Di questa donna che tiene il cor mio,
Potria beato divenir qui io.

Tanta è la sua virtù, che spande, e porge
Se stessa ed altri, avvenga non la scorge
Se non chi lei onora desiando,

SONETTO DEL MEDESIMO

DOPO LA MORTE DI SELVAGGIA.

L'Amore ed il Poeta innanzi al tribunale della Ragione.

Mille dubbi in un dì, mille querele Al tribunal dell' alta Imperatrice Amor contro me forma irato, e dice: Giudica chi di noi sia più fedele.

Questi solo per me spiega le vele Di fama al mondo, ove saria infelice. Anzi d'ogni mio mal sei la radice, Dico, e provai già di tuo dolce il fele.

Ed egli ahi falso servo fuggitivo! E questo è il merto che mi rendi, ingrato, Dandoti una, a cui 'n terra egual non era?

Che val, seguo, se tosto me n' hai privo? Io no, risponde. Ed ella, a sì gran piato: Convien più tempo a dar sentenza vera.

SONETTO DEL MEDESIMO.

Ritornando da Lombardia in Toscana, visitò la tomba della sua Donna sull'Apennino.

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Io fu' in sull' alto e in sul beato monte, Ove adorai baciando il santo sasso E caddi in su quella pietra, oimè lasso, Ove l'onestà pose la sua fronte;

passo

E ch' ella chiuse d' ogni virtù il fonte Quel giorno che di morte acerbo Fece la donna dello mio cor lasso Già piena tutta d' adornezze conte.

Quivi chiamai a questa guisa Amore: Dolce mio Dio, fa che quinci mi traggia La morte a se, che qui giace il mio core.

Ma poi che non mi intese il mio signore, Mi disparti', pur chiamando Selvaggia, L'alpe passai, con voce di dolore.

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