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SONETTO DEL MEDESIMO

IN MORTE DI F. PETRARCA.

Or sei salito, caro signor mio,
Nel regno al qual salire ancora aspetta
Ogni anima da Dio a quello eletta,
Nel suo partir di questo mondo rio.

Or se' colà dove spesso il desio
Ti tirò già per veder Lauretta;
Or sei dove la mia bella Fiammetta
Siede con lei nel cospetto di Dio.

Or con Sennuccio e con Cino e con Dante Vivi sicuro d' eterno riposo,

Mirando cose da noi non intese.

Deh, se a grado ti fui nel mondo errante,

Tirami drieto a te, dove giojoso
Veggia colei che pria d'amor mi accese.

SONETTO DEL MEDESIMO

IN MORTE DI FIAMMETTA.

Sovra li fior vermigli e capei d' oro Veder mi parve un foco alla Fiammetta, E quel mutarsi in una nugoletta Lucida più che mai argento ed oro.

E qual candida perla in anel d'oro, Tal si sedeva in quella un'Angioletta Volando al cielo splendida e soletta, D' oriental zaffir vestita e d'oro.

Io m' allegrai alte cose sperando,
Dov' io dovea conoscere ch' a Dio
In breve era madonna per salire,

Come poi fu; ond' io qui lagrimando
Rimaso sono in doglia ed in desio
Di morte, per poter a lei salire.

SONETTO DEL MEDESIMO

SULL' ITALIA MODERNA.

Fuggita è ogni virtù, spento il valore
Che fece Italia già donna del mondo;
E le Muse castalie sono in fondo,
Nè cura quasi alcun del loro onore.

Del verde lauro più fronda nè fiore
In pregio sono; e ciascun sotto il pondo
Dell' arrichir sottentra; e del profondo
Surgono i vizi trionfando fore.

Per che, se i maggior nostri hanno lasciato stil de' versi e delle prose,

Il vago

Esser non detti maraviglia alcuna.

Piangi dunque con meco il nostro stato, L'uso moderno, e ľ opre viziose, Cui oggi favoreggia la fortuna.

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Febo salito già a mezzo il cielo Con più dritto occhio ne mira, e raccorta L'ombre de' corpi che gli si fan velo; E Zeffiro soave ne conforta

Adunque vieni, e l' usato diletto Prendi come tu suoli, e gli occhi miei Lieti rifà col tuo giocondo aspetto.

Le tue bellezze degne d' ogni canto Non posson esser tocche col mio metro Non degno a ciò, ma pur dironue alquanto. Tu se' lucente e chiara più che 'l vetro, Ed assai dolce più ch' uva matura Nel cuor ti sento ov' io sempre t' impetro.

E sì come la palma in ver l' altura Si stende, così tu vie più vezzosa Che 'l giovinetto agnel nella pastura, E se' più cara assai e graziosa Che le fredde acque a' corpi faticati, O che le fiamme a' freddi, o ch' altra cosa. E i tuoi capei più volte ho simigliati Di Cerere alle paglie secche e bionde, D'intorno crespi al tuo capo legati.

Fa salve le bellezze che tu hai, Che dal calor diurno offese sono Ognora più che tu più istarai.

Vieni ch' io serbo a te giocondo dono, Che io ho colto fiori in abbondanza Agli occhi bei, d' odor soave e buono : E sì come suol esser mia usanza, Le ciriege ti serbo, e già per poco Non si riscaldan per la tua istanza. Con queste, bianche e rosse come foco Ti serbo gelse, mandorle e susine, Fragole e bozzacchioni in questo loco, Belle peruzze e fichi senza fine;

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