Quel che diletta e giova, Saria vostro costume; Nè del più nè del meno Doglia o desio, ch' or par che vi consume, Ma verrà tempo ancora, Che con soave imperio al viver vostro Di si bel giorno in fronte gli si legge. Il cielo; ecco che doma oh rare Sue prove! oh bella Italia, oh bella Roma! E di virtute amiche. Così disse, Canzone; E del suo ricco grembo, Che giammai non si serra, Sparse ancor sopra me di gigli un nembo. Io gli occhi apersi, e riconobbi in terra BERNARDINO BALDI. CELEO E L'ORTO, POEMETTO. Si loda la vita campestre, e s'insegna la maniera di manipolare quel cibo che si chiama POLENTA. SPARIR vedeasi già per l' oriente Qualche picciola stella, e spuntar l' alba: Già salutar il giorno omai vicino S' udia col canto il coronato augello; Quando pian pian del letticiuolo umile CELEO, vecchio cultor di pover ORTO, Alzò, desto dal sonno, il pigro fianco; E d'ogni intorno biancheggiar vedendo Dell' uscio agli spiragli il dubbio lume, Cinto la vile e rozza gonna ond' egli acque E tal dell' opra sua prendea diletto, Che tempo assai più lungo ito vi fora, Se 'l natural desio che mai non dorme In uom che neghittoso il dì non mena, Desto in lui non avesse altro pensiero. Per pagar dunque il solito tributo Al famelico ventre ed importuno, Entrato nel tugurio, e giù deposte Le lucid' arme sue, tutto si diede A prepararsi il consueto cibo. E prima col fucil la dura selce Spesso ripercotendo, il seme ardente Della fiamma ne trasse, e lo raccolse In arido fomento; e perchè pigro E languente gli parve, il proprio fiato Oprò per eccitarlo, e di frondosi Nutrillo aridi rami; e quando vide Che in tutto appreso avvalorossi ed arse, Cinto d' un bianco lino, ambe le braccia Spogliossi fino al cubito; e lavato Che dal sudore ei s' ebbe e dalla polve Le dure mani; entro stagnato vaso, Che terso di splendor vincea l' argento, Alquanto d' onda infuse, ed alla fiamma |