XXXV. Sotto cotali ambagi al giovanetto Non mettea Morte acerba il crudel morso. XXXVI. Adunque il tanto lamentar che giova? A che di pianto pur bagniam le gote? Se pur convien ch' ella ne guidi e mova; Se mortal forza contra lei non puote; Se con sue penne il nostro mondo cova; E tempra e volge, come vuol, le rote. Beato qual da lei suoi pensier solve, E tutto dentro alla virtù s' involve! XXXVII. O felice colui che lei non cura, E che a' suoi gravi assalti non s' arrende! Ma come scoglio che incontro al mar dura, O torre che da Borea si difende, Suoi colpi aspetta con fronte sicura, XXXVIII. Già carreggiando il Giorno Aurora lieta Di Pegaso stringea l' ardente briglia : Surgea del Gange il bel solar pianeta, Raggiando intorno con l' aurate ciglia: Già tutto parea d'oro il monte Oeta : Fuggita di Latona era la figlia : Surgevan rugiadosi in loro ostelo I fior chinati dal notturno gielo. XXXIX. La rondinella sopra il nido allegra Cantando salutava il nuovo giorno : E già de' Sogni la compagna negra A sua spelonca avea fatto ritorno; Quando con mente insieme lieta ed egra Si destò GIULIO, e girò gli occhi intorno; Gli occhi intorno girò tutto stupendo, D'amore e d'un disio di gloria ardendo X L. Pargli vedersi tuttavia davanti XLI. O sacrosanta Dea figlia di Giove, Vergine santa, Mostri del tuo gran nume in cielo e 'n terra, Che i valorosi cuori a virtù infiammi, Soccorrimi or, Tritonia, e virtù dammi. XLII. S' io vidi dentro alle tue armi chiusa La sembianza di lei che me a me fura : S' io vidi il volto orribil di Medusa Far lei contro ad Amor troppo esser dura: Se poi mia mente dal tremor confusa XLIII. E tu che dentro all' affocata nube Degnasti tua sembianza dimostrarmi, E ch' ogni altro pensier dal cor mi rube, Fuor che d'amor, dal qual non posso aitarmi; E m' infiammasti, come a suon di tube Animoso caval s' infiamma all' armi, Fammi intra gli altri, o Gloria, sì solenne, Ch' io batta infino al ciel teco le penne. XLIV. E s' io son, dolce Amor, se son pur degno Essere il tuo campion contra costei, Contra costei, da cui con forza e ingegno (Se 'l ver mi dice il sonno) avvinto sei, Fa sì del tuo furor mio pensier pregno, Che spirto di pietà nel cor le crei. Ma Virtù per se stessa ha l' ali corte; Perchè troppo è il valor di costei forte. XLV. Troppo forte, Signor, è 'l suo valore, Che, come vedi, il tuo poter non cura : E tu pur suoli al cor gentil, Amore, Riparar, come augello alla verdura : Ma se mi presti il tuo santo furore, Leverai me sopra la tua natura. E farai, come suol mormorea rota, Ch' ella non taglia, e pure il ferro arrota. XLVI. Con voi men vengo, Amor, Minerva, e Gloria; FINE DELLE STANZE. |