LIBRO PRIMO. I. Le gloriose pompe e i fieri ludi II. O bello Dio ch' al cor per gli occhi spiri Dolce desir d'amaro pensier pieno, E pasciti di pianto e di sospiri, -Nutrisci l'alme d' un dolce veneno; Gentil fai divenir ciò che tu miri, Nè può star cosa vil dentro al tuo seno : AMOR, del quale i' son sempre suggetto, Porgi or la mano al mio basso intelletto. III. Sostien tu 'l fascio che a me tanto pesa; Reggi la lingua, AMOR, reggi la mano : Tu principio, tu fin dell' alta impresa; Tuo fie l'onor, s' io già non prego in vano. Di', signor, con che lacci da te presa Fu l'alta mente del Baron toscano, Più gioven figlio dell' etrusca Leda; Che reti furno ordite a tanta preda. IV. E tu, ben nato LAUR, sotto il cui velo Fiorenza lieta in pace si riposa, Ne teme i venti, o 'l minacciar del cielo, V. Deh sarà mai che con più alte note, Risuoni te dai Numidi a Boote, Di roco augel diventi un bianco cigno? VI. Ma fin ch'all' alta impresa tremo e bramo, E son tarpati i vanni al mio desio, Lo glorioso tuo fratel cantiamo, Che di nuovo trofeo rende giulio Il chiaro sangue, e di secondo ramo, Convien che sudi in questa polver' io. Or muovi prima tu mie' versi, AMORE, Che ad alto volo impenni ogni vil core. VII. E se quassù la Fama il ver rimbomba, Che d' Ecuba la figlia, o sacro Achille, Poi che 'l corpo lasciasti entro la tomba, T'accenda ancor d' amorose faville; Lascia tacer un po' tua maggior tromba, Ch' io fo squillar per l' italiche ville, E tempra tu la cetra a nuovi carmi, Mentr' io canto l' amor di GIULIO e l'armi. VIII. Nel vago tempo di sua verde etate, Spargendo ancor pel volto il primo fiore, Nè avendo il bel GIULIO ancor provate Le dolci acerbe cure che dà Amore, Viveasi lieto in pace, in libertate, Talor frenando un gentil corridore, Che gloria fu de' Ciciliani armenti; Con esso a correr contendea co' venti. IX. Ora a guisa saltar di leopardo, Or destro fea rotarlo in brieve giro: Or fea ronzar per l' aer un lento dardo, Dando sovente a fere agro martiro. Cotal viveasi 'l giovane gagliardo : Nè pensando al suo fato acerbo e diro, Nè certo ancor de' suoi futuri pianti, Solea gabbarsi degli afflitti amanti. Ah X. quante ninfe per lui sospirorno! Ma fu si altero sempre il giovinetto, Che mai le ninfe amanti lo piegorno; Mai potè riscaldarsi 'l freddo petto. Facea sovente pe' boschi soggiorno; XI. E poi, quando nel ciel parean le stelle, Tutto giojoso a sua magion tornava, E'n compagnia delle nove sorelle, Celesti versi con disio cantava; E d'antica virtù mille fiammelle Con gli alti carmi ne' petti destava: Così, chiamando Amor lascivia umana, Si godea con le Muse e con Diana. XII. E se talor nel cieco laberinto Li |