Immagini della pagina
PDF
ePub

ORFEO canta sopra il monte in su la lira li seguenti versi latini, li quali a proposito di Messer Braccio Ugolino, attore di detta persona d' Orfeo, sono di onore del Cardinale Mantuano.

O meos longum modulata lusus,
Quos Amor primam docuit juventam,
Flecte nunc mecum numeros, novumque
Dic, lyra, carmen.

Non quod hirsutos agat huc leones;
Sed quod et frontem Domini serenet,
Et levet curas, penitusque doctas
Mulceat aures.

Vindicat nostros sibi jure cantus
Qui colit vates citharamque princeps,
Ille cui sacro rutilus refulget
Crine Galerus:

Ille cui flagrans triplici corona Cinget auratam diadema frontem. Fallor? an vati bonus hæc canenti Dictat Apollo?

Phoebe, quæ dictas, rata fac, precamur. Dignus est nostræ Dominus Thaliæ,

Cui celer versa fluat Hermus uni

Aureus urna :

Cui tuas mittat, Cytherea, conchas
Conscius primi Phaetontis Indus:
Ipsa cui dives properet beatum
Copia cornu.

Quippe non gazam pavidus repostam
Servat Exo similis draconi:

Sed vigil famam secat, ac perenni
Imminet ævo.

Ipsa Phœbeæ vocat aula turbæ,
Dulcior blandis Heliconis umbris:
Et vocans doctos patet ampla toto
Janua poste.

Sic refert magnæ titulis superbum Stemma Gonzaga recidiva virtus, Gaudet et fastos superare avitos Emulus hæres.

Scilicet stirpem generosa succo

Poma commendant: timidumque nunquam

Vulturem foeto Jovis acer ales
Extudit ovo.

Curre jam toto violentus amne,
O sacris Minci celebrate Musis,
Ecce Mœcenas tibi nunc, Maroque
Contigit uni.

Jamque vicinas tibi subdat undas Vel Padus multo resonans olore, Quamlibet flentes animosus alnos Astraque jactet :

Candidas ergo volucres notârat Mantuam condens Tiberinus Ocnus, Nempe quem Parcæ docuit benignæ Conscia mater.

UN PASTORE annunzia ad Orfeo
la morte di Euridice.

Crudel novella ti rapporto, Orfeo,
Che tua Ninfa bellissima è defunta.
Ella fuggiva l' amante Aristeo :

Ma quando fu sopra la riva giunta,
Da un serpente velenoso e reo,

Ch' era fra l' erbe e' fior, nel piè fu punta,

E fu tanto potente e crudo il morso.
Che ad un tratto finì la vita e 'l corso.

ORFEO si lamenta per la morte
di Euridice.

Dunque piangiamo, o sconsolata lira, Che più non si convien l' usato canto : Piangiam, mentre che 'l ciel ne' poli aggira, E Filomena ceda al nostro pianto. O cielo, o terra, o mare, o sorte dira! Come potrò soffrir mai dolor tanto? Euridice mia bella, o vita mia,

Senza te non convien che in vita stia.

Andar conviemmi alle Tartaree porte; E provar se là giù mercè s' impetra. Forse che svolgerem la dura sorte Con lagrimosi versi, o dolce cetra. Forse che diverrà pietosa Morte;

Che già cantando abbiam mosso una pietra.
La cervia e 'l tigre insieme abbiamo accolti,
E tirate le selve, e' fiumi svolti.

ORFEO cantando giugne all' Inferno.
Pietà pietà, del misero amatore

Pietà vi prenda, o Spiriti infernali.
Quaggiù m' ha scorto solamente Amore;

Volato son quaggiù con le sue ali.
Posa, Cerbero, posa il tuo furore,
Che quando intenderai tutti i mie' mali,
Non solamente tu piangerai meco,
Ma qualunque è quaggiù nel mondo cieco.
Non bisogna per me, Furie, mugghiare,
Non bisogna arricciar tanti serpenti.
Se voi sapessi le mie doglie amare,
Faresti compagnia a' mie' lamenti.
Lasciate questo miserel passare,

Che ha il ciel nimico e tutti gli elementi;
Che vien per impetrar mercè da Morte.
Dunque gli aprite le ferrate porte.
PLUTONE pieno di maraviglia dice così:
Chi è costui che con sì dolce nota
Muove l'abisso, con l' ornata cetra?
Io veggo ferma d' Ission la rota;
Sisifo assiso sopra la sua petra;
E le Belide star con l' urna vota;
Ne più l'acqua di Tantalo s' arretra;
E veggo Cerber con tre bocche intento,
E le furie acquietare il suo lamento.
MINOS dice a Plutone:

Costui vien contro le leggi de' Fati,

« IndietroContinua »