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6124083

ASTOR, LENOX AND TILDEN FOUNDATIONS

R 1951 L

DELLA

LETTERATURA ITALIANA.

SECOLO DECIMOSETTIMO.

NOTIZIE STORICHE.

Al finire del secolo precedente, Milano, Napoli, la Sicilia, la Sardegna con alcune terre della Toscana soggiacevano direttamente alla dominazione spagnuola; e vi esercitavano un potere durissimo (con nome di vicerè a Napoli e nella Sicilia, di Governatori in Milano ed altrove) magistrati ignoranti e rapaci. Le altre provincie d'Italia che non avevano perduta l'indipendenza, e quelle che avevano conservata la libertà, in parte attendevano a ristorarsi dai mali sofferti; in parte traevano una misera vita sotto principi propri e nativi bensì ma deboli, nè sempre migliori dei forestieri, e solleciti sopra tutto di non eccitare la gelosia o l'avidità della Spagna. E non v'è dubbio, che in Madrid s'agognava al dominio di tutta l'Italia: nè gli Stati o principi italiani parevano ostacolo di qualche rilievo, ma unicamente la Francia, la quale anch'essa (come nel secolo precedente) voleva stendersi al di qua delle Alpi.

In Francia regnava allora Luigi XIII succeduto nel 1610 ad Enrico IV: ma nel vero il cardinale Richelieu, con nome di ministro, padroneggiava ogni cosa: e dopo aver sollevato il poter reale deprimendo i vassalli e i Parlamenti, dopo aver prostrata la fazione degli Ugonotti, attendeva ad umiliare la Spagna, o piuttosto a infrenar la potenza e l'ambizione della casa di Absburgo che regnava in Madrid e in Vienna. Questo si fere evi

AMBROSOLI. — III.

dente in Italia nel 1626; allorchè morì Vincenzo II Gonzaga duca di Mantova, e molti levaronsi a domandarne l'eredità. La casa di Savoia voleva che il Monferrato conceduto da Carlo V ai Gonzaga dovesse ora devolversi a lei. L'imperatore Sigismondo traeva a sè ogni cosa come feudo imperiale vacante. La Spagna non dissimulava il suo desiderio di appropriarsi quella provincia; non solo perchè, unita col milanese, avrebbe agevolati i suoi disegni sopra il restante d'Italia, ma più ancora per impedire che un principe poco men che francese avesse dominio così vicino a' suoi Stati. Questo principe era Carlo Gonzaga duca di Nevers: il quale intanto, per diritto di parentela, erasi trasferito e fortificato di subito in Mantova. D'altra parte spiaceva ai Veneziani che la potenza spagnuola acquistasse nuovo aumento in Italia; e non osando essi combatterla (travagliati com'erano dagli Uscocchi ladroni dell' Adriatico) desideravano di metterle a fronte una grande nazione. La guerra diventò quindi gravissima, e fu combattuta da' Francesi e Tedeschi più che dai nostri. Luigi XIII e il Richelieu v' intervennero personalmente; l'imperatore vi mandò il meglio de' suoi eserciti. I Tedeschi, impadronitisi di Mantova (nel 1630), si abbandonarono ad ogni eccesso di barbarie; e già prima di arrivarvi avevano seminata la peste dovunque eran passati. Del resto i mali cagionati da quella guerra sono (ben si può dire) popolarmente conosciuti dopo i Promessi sposi. Alla fine, per opera soprattutto di Urbano VIII fu trattata e conchiusa la pace, prima in Ratisbona tra l'imperatore e i ministri del re di Francia; poi (nell' anno 1631) tra tutti i contendenti in Cherasco; e le condizioni principali furono che a Carlo Gonzaga di Nevers restasse il ducato di Mantova ricevendone l'investitura dall' imperatore; la Casa di Savoia avesse il Monferrato colla città di Trino e parecchie altre terre; i Francesi avessero Pinerolo che apriva loro la strada per ritornare in Italia; ai Gonzaga di Guastalla si cedessero alcune terre.

La gelosia reciproca de' Francesi e degli Spagnuoli non doveva permettere che questa pace durasse a lungo : però nel 1635 furon di nuovo in guerra. Vittorio Amedeo di Savoia, che aveva dovuto aderire alla Francia ed era stato fatto generalissimo della Lega, morì nel 1637, lasciando reggente e tutrice de' figliuoli Cristina sua moglie, sorella di Luigi XIII. Col pretesto della parentela, il cardinale Richelieu si diede tosto a cercar d' ingerirsi

nell'amministrazione del Piemonte: ma ebbe contrari il cardinale Maurizio e il principe Tommaso, fratelli del morto duca, i quali già prima d'allora s' erano uniti con gli Spagnuoli, l' uno sostenendo in Roma l'officio di protettor dell' imperio, l'altro combattendo negli eserciti di Spagna nel Belgio. La guerra che nacque per questa cagione fu di gran danno alle provincie piemontesí; perche alle armi straniere si unirono le civili, parteggiando i cittadini gli uni per la duchessa Cristina, gli altri pe' suoi cognati. Pure non alterò la condizione degli Stati italiani; se non che all' ultimo i Francesi, oltre al conservare Pinerolo, ebbero anche in deposito Casale, diventando così più potenti di prima nella penisola. Il trattato che pose fine a questa guerra fu stipulato a' 14 giugno 1642; sul finir del quale anno mori poi il cardinale ministro Richelieu. Ma la Francia e la Spagna non cessarono di combattersi se non nell'anno 1659 colla Pace de' Pirenei, come vedremo.

Mentre agitavasi questa guerra del Piemonte, erasi estinta (nel 1631) la discendenza maschile dei duchi d'Urbino. I nipoti1 di Urbano VIII avrebbero voluto ch' ei desse loro quel feudo; ma il pontefice, resistendo ch'ei a quelle istanze, lo incorporò, secondo le leggi originarie, ai domíni della Chiesa. Essi allora volsero l'animo ad altri acquisti; e, vincendo la costanza di Urbano, assalirono in nome della Chiesa, ma nel vero per loro proprio vantaggio, Odoardo Farnese di Parma per togliergli i ducati di Castro e di Ronciglione. Questa guerra (dice il Sismondi) fu in quel secolo la sola di origine italiana: vi s'immischiarono i duchi di Modena e di Toscana, e la repubblica di Venezia: fu agitata con gran furore pel corso di tre anni (dal 1641 al 1644); e finì lasciando le due parti nello stato di prima. Poco dopo morì Urbano VIII. In Francia, Luigi XIII era sopravissuto sol pochi mesi al Richelieu; e poichè il successore, Luigi XIV, era tuttora fanciullo, bisognò nominare una reggenza; ma la somma delle cose fu commessa in qualità di ministro al cardinale Mazzarino, il quale, prima di essere insignito della porpora, s' era illustrato nella Dieta di Ratisbona. Questo nuovo ministro continuando l'opera del suo predecessore di rinvigorire nell'interno il poter reale sopra i vassalli, e al di fuori combattere la Casa d' Absburgo, mandò tosto una flotta

1 Urbano VIII fu della famiglia dei Barberini,

contro gli Spagnuoli di Napoli: e sebbene la spedizione non conseguisse il fine a cui s'era mossa, i Francesi ne guadagnarono per altro Piombino e Portolongone nell'isola d'Elba, aumentando così di bel nuovo la loro potenza sull' Italia.

Il regno di Napoli sotto il governo degli Spagnuoli, sebbene non avesse propri nemici contro i quali combattere, sostenne sempre tutti i pesi inerenti alla guerra, costretto di somministrare continuamente uomini e denari ai padroni. Il modo poi usato nell' esigere i tributi era si rovinoso, parte per mala istituzione, parte per rapacità de' ministri e de' grandi stessi del regno, che il popolo alla fine si persuase di non poter trovare salvezza se non ricorrendo alla forza. Nel giorno 9 luglio 1646 un pescivendolo per nome Tommaso Aniello (detto comunemente Masaniello) si fece capo della moltitudine contro il vicerè duca d'Arcos che la opprimeva con gabelle eccessive e durissimamente riscosse. Masaniello aveva animo e fors' anche ingegno da condurre a buon fine l'impresa. Gridato dal popolo capitano generale, non mancò nè della prudenza ne del coraggio convenienti a quel grado ma i nobili si sdegnarono di sottostare a un plebeo; e il vicerè non tardò a trovare chi per privato vantaggio perfidamente consigliando l'ingenuo giovine, lo spinse a incomportabili esorbitanze. Ben presto, o corrotto dalle adulazioni, o ingannato da falsi amici, o accecato dalla fortuna, o (come dissero alcuni) privato del senno da un vino alloppiato ch' ei bevve alla mensa del vicerè, cominciò a comportarsi ora da mentecatto ora da furioso, perdendo la stima dei prudenti e 1' affezione del popolo: quindi i suoi nemici lo trucidarono nel convento del Carmine; e il popolo, schiamazzando e plaudendo portò al palazzo del vicerè la testa di quell' uomo, a cui poc' anzi si era prostrato come a suo angelo liberatore. Pochi giorni dopo, lo stesso popolo, vedendo ricominciare le antiche oppressioni, disseppelli Masaniello, l'onorò di splendide esequie, l' ebbe in concetto di santo: e sperando il compimento de' suoi disegni, gli sostituì don Francesco Toraldo o Toratto principe di Massa; al quale poi poco appresso strappò il cuore, e lo mandò in dono alla moglie, per averlo riconosciuto partigiano degli stranieri. L'odio che s'era primamente manifestato contra il vicerè e le gabelle da lui imposte, si volse allora contro alla dominazione spagnuola. Il popolo abbattè le imagini di Filippo IV, e gridò la libertà creando

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