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Philos Bocca 6-20-24

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LA SORTE DI VICO

La gloria è il tributo con cui la specie umana premia i lavori dei sommi; l'ammirazione è il contrassegno che distingue la scoperta, è come la moneta d'ogni valore intellettuale scuotere le idee dominanti, destare l'entusiasmo di una nazione, vincere le opposizioni dell' errore, comunicare un movimento che si propaga nelle istituzioni sociali, nelle tradizioni alla posterità, non è un semplice piacere dell'orgoglio: l'uomo che alla fine di una vita laboriosa non trova che il sarcasmo dei dotti, o la profonda incuria de' contemporanei, può credere di aver esistito inutilmente, di aver prodigato il suo pensiero in un'aberrazione mentale. Tale fu la sorte del pensatore più grande della Storia moderna. Vico era figlio di un librajo miserabile, per lungo tempo fu pedagogo in una provincia del Cilento, a trent'anni fu nominato ad una catedra di retorica, dove rimase per mezzo secolo, giudicato nè superiore nè inferiore al suo posto. Quando diede alle stampe i primi suoi scritti scientifici, fu considerato come un dotto volgare, e probabilmente la contegnosa opposizione del Giornale de' Letterati lo disanimò dal publicare la continuazione del libro Sull' antichissima Sapienza degli Italiani; fu creduto temerario quando annunciò il suo Diritto Universale, e alla publicazione del primo libro si pensò che non avrebbe continuato. La prima Scienza Nuova, scritta mentre egli aveva già trent'anni di relazioni letterarie, fu ricusata da' libraj; il cardinale Corsini, che ne accettava la dedica, non volle fornirgli le spese della stampa; ViVICO, Opuscoli.

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co fu costretto a mutilare il suo lavoro, a comprimerlo sotto di un nuovo metodo per restringerlo a pochi fogli, e vendè un anello per sostenere le spese dell'edizione. I Letterati di Napoli sparlarono altamente della Scienza Nuova, il Giornale di Lipsia ne diede conto in poche righe sprezzanti, come di un'opera servile accolta col tedio dagli Italiani; era dedicata alle Università, e la disprezzarono anche i professori di quella a cui egli apparteneva. Sfuggo tutti i luoghi celebri (egli scriveva ad un suo amico) per non abbattermi in coloro a' quali l'ho io mandata; e se per necessità egli addivenga, di sfuggita li saluto: nel quale atto non dandomi essi nè pure un riscontro di averla ricevula, mi confermano l'opinione che io l'abbia mandata al diserto. Poco diverso fu l'accoglimento della seconda Scienza Nuova: nè in Napoli nè altrove trovò tipografo che volesse stamparla a proprie spese; fu nuovamente forzato dalla sua mala fortuna a serrare in pochi fogli le sue scoperte per poterle trasmettere ai posteri colla stampa: nuovamente dedicò l'opera al Corsini, che era stato elevato al soglio pontificio; ed anche questa volta Sua Santità si limitò a fargli partecipare la sua soddisfazione da un cardinale.

Il presente volume è una raccolta di documenti che ci fa conoscere il doloroso dibattimento tra la volontà di un uomo e la forza di un secolo; quelli che cercano le rivelazioni del genio nelle opere degli uomini grandi, possono ometterne la lettura; desso serve a scandagliare nella intimità della vita privata la destinazione della grandezza ignorata scorrendo le poesie, le orazioni, le adulazioni, le servilità di cui ridonda questo volume, si scorge quanto pesasse sul genio di Vico l'ignoranza generale. Quando egli scrisse la sua Vila. fu preoccupato dal meschino artifizio di schermirsi dal disprezzo generale colle lodi di alcuni pochi; ma nelle confessioni che gli sfuggono nelle sue corrispondenze, nell'amarezza che s'intravede in alcune sue poesie, nell'argomento istesso de' suoi lavori letterarj, si vedono le esitazioni, i dolori, i tentativi, gli sforzi di un uomo che senza trovare un seguace ha consacrata la vita ad annunziare la più grande delle innovazioni, il movimento del mondo civile.

Non v' ha cura, non mezzo che Vico abbia risparmiato per acquistarsi un mecenate, un proselite per diffondere le sue idee esemplari delle sue opere ampiamente prodigati ai professori, alle biblioteche, alle università, ai dotti, agli stranieri; dediche umiliate ai grandi colle frasi più servili; lezioni lette alle adunanze più solenni dell'università: i suoi doni erano ringraziati, le dediche accettate, le sue dottrine erano ignorate o derise. Le lodi e le protezioni

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sono spesso un tacito commercio che giova alle celebrità effimere e che nascono col bisogno d'illudere qualche migliajo di lettori. Non passava matrimonio o morte di un grande o di un illustre, che Vico non meditasse qualche adulazione in versi o in prose: nell'Orazione in morte di Angiola Cimini e della contessa d'Aspremont lodava gli avi, i discendenti, i collaterali, gli amici, i dotti che frequentavano le loro adunanze nella sola Giunone in danza profonde encomj a circa quaranta mediocrità letterarie: all'arrivo, alla partenza de'Vicerè d'ogni merito, d'ogni nazione, creava nuovi eroi; pochi sono i dotti di cui le prose o i versi di Vico non contengano qualche studiata allusione; si diceva per celia che Vico voleva dare l'immortalità a tutti: i pochi che ricambiarono le lodi ricevute, sono quelli che meglio mostrarono di non averlo inteso. I primi studj di Vico erano stati rivolti alla poesia ed all'eloquenza; i suoi versi sono meschinamente prosaici, le prose grettamente ampollose; noi conosciamo queste produzioni, perchè degli uomini grandi si conoscono anche i difetti: i contemporanei di Vico leggevano i suoi versi, lodavano le sue prose, e furono inesorabili nella noncuranza delle sue opere scientifiche. Solla, il suo cordiale amico, il suo biografo, gli scrive candidamente che stima più l'Orazione in morte di Angicla Cimini, che non tutte le altre sue opere, non esclusa la Scienza Nuova; quando scrisse la Vita di Caraffa fu lautamente compensato, mentre la Scienza Nuova non trovò nè libraj nè protettori; le sue produzioni letterarie venivano stampate con lusso, poi ristampate nelle Raccolte, mentre nessun suo scritto scientifico ebbe l'onore d'una ristampa: senza le sue bassezze, i suoi versi, le sue orazioni, la sua catedra di retorica, egli sarebbe morto di fame, e certamente quando a settant'anni fu nominato regio istoriografo, si pensò a premiare l'adulatore dei potenti, non l'autore della Scienza Nuova.

Non si possono tacciare di soverchia frivolezza i contemporanei di Vico nell' università di Napoli fiorivano valenti professori ; la giurisprudenza, la filosofia formavano la riputazione di Gregorio Caloprese. Costantino Grimaldi, Carlo Majello, Troisi, De Gennaro, Nicolò Cirillo, Elia Astorini, Paolo Doria, di Fardella, Catalano, Spada, Sernicola e di molti altri. Il genio allora non era un titolo di proscrizione: d'Argento, Giustiniani, Egizio, Gimma, d'oscuri natali, senza fortune, in breve tempo salivano ai primi onori, alle prime cariche dello Stato. Gravina, appena publicata l'opera SulOrigine del Diritto, veniva chiamato ad insegnar legge a Roma; gli

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