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Divino Padre pien d'ogni salute
Amor ci guardi dalla tentazione
Dell' infernal nemico, e sue ferute.
Sì che a te facciamo orazïone,

Che meritiam tua grazia, e 'l regno vostro
A posseder vegnam con divozione.
Preghiamti, Re di gloria, e Signor nostro,
Che tu ci guardi da dolore afflitto

La nostra mente, e sia a te il cor nostro.
La Vergin Benedetta qui a dritto

Laudiamo, e benediamo anzi che fine
Aggiunga a quel che è di sopra scritto.
E lei preghiam ch' alle grazie divine
Si ne conduca con suoi santi prieghi,
E scampi noi dall' eternal ruine:

Dante in varii luoghi della sua commedia censura amaramente i Frati, e nel C. XI del Paradiso specialmente fa dire a S. Tommaso che il peculio, o sia il gregge di S. Domenico è fatto ghiotto di nuova vivanda, cioè di ricchezze, prelature, ed altri onori; e che le sue pecore quanto più rimote e vagabonde vanno da esso, più tornano all' ovil di latte vole; e che sebben ve ne sian di quelle che temono il danno e stringonsi al pastore, pure son si poche, che le cappe fornisce poco panno.

Ora ciò avutosi molto a male da un intero convento di Frati, fra sè deliberarono di trovar modo onde accusare il poeta innanzi al tribunale dell' inquisizione. Commisero quindi a' più famosi maestri in teologia che studiassero nel suo libro, onde vi trovassero cosa da farlo ardere come eretico. Lo accusarono di fatti come colui che non credeva in Dio, nè osservava gli articoli della fede. Venuto Dante dinanzi all' inquisitore, ed essendo passato vespero, dimandò tempo, fino all' indomani, per presentare in iscritto come egli credesse in Dio, dicendo che se avesse errato, gli darebbero la punizione che meritava. E ciò venendogli concesso. vegghiò per tutta la notte e rispose con questo Credo in cui dichiara tutti gli articoli di nostra fede. Il quale tostochè l' inquisitore l'ebbe letto col suo consiglio in presenza di dodici maestri di teologia, e questi non sapendo che si dire, nè allegare contro l' Alighieri, l'inquisitore licenziòllo, e si fè beffe dei Frati, i quali tutti furono compresi di meraviglia come in si poco tempo avesse potuto fare una si notabile cosa in rima.

E tutti quei che del peccar son cieghi
Allumi, e scioglia per sua cortesia,
E da lacci infernal sì gli disleghi.
Ave Regina, Vergine Maria,

Piena di grazia, Iddio sia sempre teco
Sopra ogni donna benedetta fia,

E benedetto il frutto, e 'l quale io priego
Che ci guardi da mal, Cristo Gesù,
E che alla nostra fin ci tiri seco.
Vergine Benedetta, sempre tu

Ora per noi a Dio, che ci perdoni
E che a viver ci dia sì ben qua giù,
Che a nostra fin Paradiso ci doni.

SONETTO

IN LODE

DI DANTE ALIGHIERI

CHE TROVASI IN FINE

DELL'EDIZIONE DEL VENDELINO

Dante Alighieri son, Minerva oscura
D'intelligenza, e d'arte, nel cui ingegno
L'eleganza materna aggiunse al segno,
Che si tien ch'è miracol di Natura.

L'alta mia fantasia pronta, e sicura
Passò al tartareo, e poi al celeste regno,
E'l nobil mio volume feci degno
Di temporale, e spiritual lettura.

Fiorenza, magna terra, ebbi per madre,
Anzi matrigna, ed io pietoso figlio
Grazie di lingue scellerate, e ladre.

Ravenna fu mio albergo nel mio esiglio;

Ed ella ha il corpo: l'alma ha il Sommo Padre, Presso a cui invidia non vince consiglio.

SONETTO

DEL VENDELINO

Finita è l'opera dell'inclito, e divo
Dante Alighieri, Fiorentin poeta,
La cui anima santa alberga lieta
Nel Ciel sereno, ove sempre il sia vivo.

D'Imola Benvenuto mai sia privo
D'eterna fama, che sua mansueta
L'ira operò comentando il poeta,
Per cui il testo a noi è intellettivo.

Cristofal Berardi Pisaurense detti

Opera, e fatto indegno correttore
Per quanto intesi in quella i subjetti.

Di Spira Vendelin fu 'l stampatore.

Del mille quattrocento settantasetti
Correvan gli anni del nostro Signore.

L'Operetta intitolata-Capitoli di M. Bosone da Gubbio e di Jacopo Alighieri sulla Divina Commedia di Dante Alighieri-è un lampante argomento dell'arguto ingegno, del raffinato gusto poetico, e delle nobili cognizioni del Chiarissimo Editore, che ha saputo rinvenirli, scioglierli, e comentarli.

Cav. F. de Licteriis.

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