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Io (1) dico, ch' anni trentacinque avendo
L'autor (2), che sono i mezzi di settanta,
Da'quali in su si vive poi languendo;
Stando nel mondo, ove ciascuna pianta
Di cogitazioni, e di rancura (3)
L'appetito vagante nostro pianta :
Vedea di Virtù l'alzante altura,
E desiava di salire in cima (4),
Chè discernea già il bel de la pianura:
E così volto innanzi venne prima
Quella leonza, che per lo diletto
E per la creazion l'una si scima (5).

VARIANTI E COMENTO

(1) I M. Cass. Io dico ch'anni trentacinque avendo Ediz. del Vendelino. Idem.

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Del de Rom. Dico ch'anni trentacinque avendo.

In questa ultima edizione ha dovuto correre errore; poichè altrimenti sarebbe mancante il verso.

(2) Spiega ehe l'Autore, percorrendo di sua età l'anno trigesimoquinto, dal quale in poi si vive nel languore di vecchiezza, non ancora aveva dato vera e buona direzione al concupiscibile, ed irascibile. Imperciocchè a colui, che non ha la guida della ragione, scevera da questi primi affetti, facilmente interviene di rivolgersi alla via dei vizii, che portano allo smarrimento d'ogni altra virtù. Il nostro fallire avviene in tre gradi; perciocchè prima nasce l'iniquo pensiero, e'l volgersi al vizio colla mente sola in secondo, si ferma essa mente, e fa dimora nelle prave cogitazioni, e dà principio alle viziose operazioni, che volentieri dappoi noi pratichiamo: in terzo, per lo frequente praticare di queste, ne addiviene l'uso, e l'abito, difficile a potersi sbarbicare. - Beatus vir, qui non abijt in consilio impiorum, et in via peccatorum non stetit: dice egregiamente il Salmista.

(3) II M. Cass. Di cogitazione, e di rancura.

Vendel.

Idem.

de Rom. Si di cogitazione, e di rancura.

(4) Vide Dante il pregevole della virtù; cosicchè desiderò di elevarsi a quella sublimità, della quale ei comprendea il dilettevole. (5) Il Ms. Cass. E per la creazion l'una si scima.

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de Rom. E per la creazion buona si stima.

E poi, perchè 'l saver non lassa 'l petto
Ben conducer al fren, il lion fue

La superbia, ch' offusca ogn' intelletto.
E la lupa, ch' avendo, ognor vuol piùe,
Fu l'avarizia che, per mantenere
Uom la sua facoltà, il fa giacer giùe.
Queste fur le tre bestie (1) che'l volere,
Gli fecer pervertir d'andare al monte (2),
Dove virtù se ne solea sedere.

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VARIANTI E COMENTO.

Perchè cangiare il sentimento del Poeta? Egli dice benissimo, e con esattezza spiega la voluttà del senso carnale; cioè, che per esso una delle forze si scema, si diminuisce, manca. Anche Virgilio dice: Carpit enim vires paulatim, uritque videndo foemina. Chi non sa, che per siffatto vizio s'indeboliscono le forze del corpo, e si oscurano le facoltà della mente? E questa sentenza del Poeta sembra poggiata sull'assioma peripatetico: Destructio unius est generatio alterius. Or non v'ha senza dubbio alcun vizio che più mandi in obblivione la cognizione delle cose sublimi, quanto la corporea voluttà. Che poi nella leonza abbia Dante personificato il sopraddetto vizio, è cosa assai manifesta.

(1) Incontro a lui si fero le tre bestie salvatiche, cioè la leonza, o sia la carnale concupiscenza, la quale sopravviene all'uomo nell'età giovanile; il leone, o sia la superbia, che lo sopraggiugne nella virile età; la lupa finalmente, o sia l'avarizia, che lo assale nella vecchiezza.

(2) II Ms. Cass. Gli fecer pervertir d'andare al monte.
Li fecer pervertir d'andare al monte.

Vendel.

de Rom. Gli fecer pervenir d'andare al monte. Ognuno il quale abbia letto la tricommedia ben sa narrarsi da Dante, che l'incontro delle tre fiere, o sia i tre vizj innanzi detti, aveagli fatto mutar consiglio di ascendere in sul desiato monte per l'acquisto della virtù; cosicchè il nostro Poeta bene spiega l'Alighieri, col dire gli fecer pervertir d'andare al monte; percui debbesi manifestamente stimare erreneo quel pervenir.

D

Ma perchè l'arra (1), che si prende al fonte
Del nostro Battistèo, ci dà un lume
Lo qual ci fa le cose di Dio conte (2);
Venne del lustro del superno acume (3)
Una grazia di fede, che si dice

Che 'nfonde l'alma come terra fiume:
E mossse lui colla ragion felice

Per farli ben conoscer quelle fiere,
E anche c'è l'allegorica Beatrice (4).

VARIANTI E COMENTO.

(1) Il Ms. Cass. Ma perchè l'arra, che si prende al fonte.

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de Rom. Ma perchè l'anima, che si prende al fonte. Convien dire, che una tale variante sia avvenuta per mera trascuraggine di stampa. Imperciocchè da per sè stesso è chiaro, che il fonte battesimale non dà l'anima; poichè il corpo umano la riceve nell'utero materno, allorchè i sensi sono atti all'esercizio della vita; ma si bene l'acqua del Battesimo dà un dritto, come arra, all'acquisto della gloria eterna.

(2) Mercè la grazia dell' acqua lustrale di cui si è aspersi al fonte battesimale, la quale dà l'arra, o sia un dritto, col quale acquistasi la vita eterna; infondendo perciò, per opera e virtù del SS. Spirito, quella grazia personificata in Beatrice, con cui egli conobbe i vizii, liberato da'qnali, venne elevato a conoscere le divine e celestiali cose. Bosone, amico dell'Alighieri, ci fa chiaramente comprendere, che Beatrice fosse allegoricamente nominata dal Poeta; e ciò dice o per iscusarlo, poichè Dante teneramente amò quella figliuola di Folco Portinari; cosicchè per dare sfogo al suo cuore ancor preso da siffatto amore, l'avesse nominata; o, perchè in quel nome avesse il poeta personificato la Grazia.

(3) Ms. Cass. Venne del lustro del superno acume.

Vendel.

de Rom.

Idem.

Venne al lustro del supremo lume.

Migliore è la lezione del codice Cassinese, giacchè non solo spiega quella penetrazione celeste, che illumina le anime; ma ancora toglie via lo scontro della stessa parola nella rima.

(4) Ms. Cass. E anche c'è l'allegorica Beatrice.

Vendel.

de Rom.

In che ci allegorica Beatrice.

In che ci allegoreggia Beatrice.

E la ragion (1), per cui da lor non pere,
Descriver per Virgilio il vuol mostrare,
Ch' ebbe da'libri suoi molto savere.
Questi li mostra come per mal fare
Si de'ricever pena, e poi agguaglia
La pena al mal (2)
al mal (2) come più può adeguare (3).
E perchè 'l magisterio più gli vaglia
Con ragion, la ragion si può chiarire,
Mostra, come la spada infernal taglia.
E questo mostra, per voler partire
Non già lui da peccato, e da far male;
Ma farne agli (4) uditor cercar desire.

VARIANTI E COMENTO.

È sempre da preferirsi la lezione del Codice Cassinese, perchè toglie via l'equivoco di riferirsi a Beatrice l'allegoria delle tre bestie. (1) Dice Bosone che Dante, istudiando nelle opere di Virgilio non solo imparò lo bello stile che gli fece onore, ma pure tal lume ne consegui la sua mente, che gli fu agevole di conoscere le prave voluttà, personificate nelle tre bestie, come apparisce ne'seguenti versi volti al poeta mantovano:

"Tu se'lo mio maestro, e'l mio autore:

»Tu se' solo colui, da cui io tolsi

» Lo bello stile, che m'ha fatto onore ».
Inf. C. I. v. 85 87.

(2) Ms. Cass. Vendel.

La pena al mal come più può adeguare. La pena, e'l mal come più può adeguare. de Rom. La pena al mal come mei può adeguare. (3) Virgilio mostra a Dante quali sono le pene proporzionate ai peccati commessi dagli uomini; e perciò gli mostra l'Inferno. Bosone, umiltà dimostrando pel Poeta fiorentino, dice appresso: che sebbene ciò non può tener Dante lungi dal peccare; pure ne traggan giovamento gli uditori; in modo che, peccando, sappian poi pentirsi, quando lor soccorre la Grazia. Il codice Cassinese_con tiene erroneamente: Non può lui, in vece di, Non già lui. E quì finisce la cantica dell' Inferno.

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i che 'l buon viver nostro naturale

Non erri, e, se pur erra, che si saccia
E pèntere, e doler quando (1) ci vale.
In questo la sentenzia par che giaccia

Di questa prima parte, che lo 'nferno
Par che comunemente dir si faccia.
Poi la seconda parte del quaterno (2)
Tutto che la ragion ancor la mena (3),
Si come dice, per lo foco eterno.
Caton lo'nvia per la giojosa pena (4),
Che purga quegli spirti, che pentuti
Diventan pria che sia l'ultima cena (5).

(1) Ms. Cass.
Vendel.
de Rom.

VARIANTI E COMENTO.

E pèntere, e doler quando ci vale.
Idem.

E pèntere, e doler quanto ci vale.

Oltrechè le lezioni del Mss. Cass., e dell'edizione del Vendelino sempre si trovano più esatte; chiaramente scorgesi che il quando è più adattato perciocchè spiega il tempo, in cui avvenir debba il pentimento, secondo leggiamo presso il Salmista « Tu exurgens misereberis Sion: quia tempus miserendi ejus, quia venit tempus. E altrove. Ecce nunc tempus acceptabile.

(2) Nella seconda parte del quaterno, o quaderno, Bosone intende il Purgatorio; adoperata metaforicamente una tal voce per un aggregato; così lo stesso Dante dice:

"La contingenza che fuor del quaderno

» Della nostra materia non si estende >>.

Par. C. XVII.

Quindi chiaramente comprendesi che Bosone per quaterno ha inteso il complesso delle anime purganti, delle quali parlasi nella seconda cantica.

(3) Ms. Cass.
Vendel.
de Rom.
(4)Ms. Cass.
Vendel.

de Roni.

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Caton lo'nvia per la gloriosa pena.

Sta assai meglio e con più proprietà detto giojosa che gloriosa; imperciocchè ella è giojosa per quelle anime, le quali, pensando di andare a godere la gloria di Dio, sono comprese di gioia. E poi in che modo le pene chiamar si potrebbero gloriose?

(5) Nell'ultima cena esposta da Bosone pare che abbiasi ad intendere l'ultimo momento della umana vita che precede la morte.

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