Non m'ha permesso impetuoso affetto; Se contro iriti, e gl'ofi Del Licio fasto à questo lido io vegno, L'effer Padre mi scusi. Parif. Ciò, che dal fasto di superbo Regno, Negasi à Regio piede A paterna pietà ben fi concede; Ma qual degna cagione à queste arene Latua figlia conduce? Ario. A confolar sen viene De miei canuti di l'ultima luce. Parif Parıl. Quello stato, che geme Su rogo ancor fumante il suo Signore, Ario. No custodia maggiore Colà non si richiede, Oue del Prence à prò veglia la fede; Adora Argo, & Effira Parif. Germe d'Ariobate, al cui retaggio Il non vederlo al Regio fianco vnito Ariob. A Pariftide mio nulla si celi; Nõ ne sò la cagio che me l'ascose.(stimo; Par. No puote effer, che grade. Ar Iotal la Quindi à te, ch'eri alhor Duce fupremo De gl'esserciti miei tosto l'inuio, E con foglio fecreto Cho Choue Marte più ferue, ou'il periglio Maggior si scorge il ponga, io ti comado, Parif. Et'vbbidiy Signore Ma vinse ogni periglio il suo valore. Ario. Debellò, ben m'è noto, E le guerrieri Amazoni superbe; (ra No me faggio,e fedel, che prode in guer Tra me stesso troncai la ria congiura, Che per piacer altrui di se non cura. Siano i feruigi suoi ne la mia Reggia D'vn Imeno, che sua virtù pareggia. Parif. Generoso pensier l'ammiro, e lodo. Ario. Hor perche non sò quali : Habbia verso di lui mia figlia i sensi Altre cure gl'imposi; Fora ben graue errore, A chi vien per conforto, e per diletto Contaminar à prima vista il core . Parif Digra Rè faggio accorgimēto degno, Ma ve Signor che la Regina il molo Già preme,e vien uer noi scesa dal legno: SCENA SECONDA. Ariobate: Anthia: Paristide. Ar. Iglia, figlia diletta,e qual benigno Astro del Cielo à me Di quest'occhi hoggimai languidi,e foschi De le viscere mie parte più cara: Anth. Riuerito mio Sire, A te m'hà tratto ofsequiofo amore: Vbbidientii popoli soggetti, Il mio pregio più degno,il maggior done Ato. Ela più viua e maggior gloria mia Ma Ma dimmi è qual prouaste, De le campagne fluttuanti, e vasie Anth. Sotto il mio pino alato S'in curuar giovinette, e chete l'onde, Scherzar trà le mie vele aure seconde, Nel più cupo del sen Theti ritenne, Quindi tranquillo il mar lucido il polo, Entro à breue foggiorno, e quasi à volo. Hò felice approdato à questo lido. Ario. Lodato il Ciel, che mira Le diuote richieste Sempre con grato ciglio, Opportuna giungeste; D'huopo ha gl affari miei del tuo cõsiglia Anth. Impotente sostegno A Regy affari è femminil ingegno. A.D'Archimene tua fuora il quarto lustro Già l'himenei richiede Vuò, che pronubo fia Sol 1 |