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Inglesi, che l'avessero nella lor lingua ridotto l'asseri già Franco Sacchetti coetaneo del Boccaccio nel proemio delle sue trecento novelle, tanto di subito per lo mondo tutto spande sua fama un si ammirabile lavoro innanzi ancora che la nostra loquela fosse non dico apprezzata, ma appena conosciuta. Che se il suo pregio fosse solo nella candidezza della Toscana Lingua riposto, egli si sarebbe nel traslatarlo senza alcun fallo perduto del tutto. Oltre di che siccome Cicerone in purità di latina loquela da Terenzio, da Varrone, da Cesare, e da altri fu superato, che egli d'eloquenza superava in gran parte, così il Boccaccio fu uguagliato, e anche vinto in purgatezza di parlare da molte antiche Prose, e Volgarizzamenti, essendo allora lode quella del secolo, non degli scrittori. Se poscia al suono del periodo, di cui egli imitando i Latini si può dire l'Inventore, e se agli altri pregi dello stile si riguardi niuno il potè agguagliare, poichè è tale, e così perfetto, e di un numero cotanto artificioso il suo perio lo, e a guisa di un eccellente Mosaico talmente l'una parola coll' altre, e l'altre coll' una son collegate, che nè aggiugnere nè levare, e neppure una minima particella si può dal suo luogo rimuovere, che tutta quella ottima disposizione e armonia non rovini onninatnente e non si sciolga. Osservollo intra gli altri anche il suddetto Francesco Bocchi negli elogi degli uomini dotti Fiorentini: Numerus praeterea, dice egli, sapienter et suavi quodam modo commendatus auribus, minus adeo est, ut eo fieri melius nihil possit. Si quid enim quod suo loco positum est alio commutaveris, aut addideris aliquid, aut dempseris, et numerum ipsum depravatum esse senties, et supellectilem optimorum verborum dissolutam, et pessime conglutinatam judicabis, Ma ciò pure tutto si perde nelle tra

duzioni, che però a noi soli Italiani è conceduto questa per certo non ultima bellezza di sì maraviglioso libro contemplare, e godere. Il che se avesse ben considerato chi i lumi pretese dare della lingua Italiana non avrebbe dette del Boccaccio queste parole: Onde se tra i Filosofi il Filosofo è Aristotile, e tra i Padri della prosa è il Boccaccio, e massimamente il Decamerone per essere il più sudato, e il più diligente libro da lui composto, perciò da tutti i Maestri della lingua è citato. Quanto al contenuto di esso non è considerabile. Anzi averebbe veduto che la maggior laude, che al Boccaccio dal Decamerone provenga ella è certamente dalla materia, ma quantunque molti ciò abbiano chiaramente conosciuto, pure non sono tra loro nell' istessa opinione convenuti. Poichè altri hanno attribuito questo universal grido, a cui è sormontato, alla faceta grazia, e ai geniali e ridevoli scherzi i quali per entro sparsi vi si ravvisano, i quali gli animi dei leggitori con tanta dolcezza rapiscono, che gli uomini (conciossiachè tutti sono naturalmente al pia. cere inclinati) non possono non tenerlo caro ed ammirarlo. Di questa opinione sembra che fosse il Giovio, che alle parole di sopra allegate aggiunge. Quando iam illae decem dierum fabulae Milesiarum imitatione, in gratiam oblectandi ocij admirabili iucunditate compositae in omnium nationum linguas adoptentur, et sine ulla suspicione interitus applaudente populo cunctorum operum gratiam antecedant. E Ugolino Verino, che delle opere volgari al Boccaccio non diede altra lode, se non che:

Nec minor est salibus Plauti similisque Menandri.

E a questo volle per avventura alludere Mat

teo Palmieri, allorchè nel libro De temporibus lo appella: Vir amoeni ingenij, facendo all'anno

1375. della sua morte con queste parole menzione: Ioannes Boccaccius vir amoeni ingenij, et lati na patriaque facundia in scribendo celebris e vita migravit aetatis anno LXII. Ed il Pontano (1) altresì qualora scrisse: Omnino vero comis viri oratio quo grata sit, atque lepida versatur magna ex parte in fabellis referendis, iis enim et oblectationi maxime amplus conceditur locus, et verborum ornatus, suntque omnino comitate praediti enarratores jucundissimi ...qua quidem e re Ioannes Boccatius maximam sibi laudem apud doctos pariter atque indoctos homines comparavit centum illis conscribendis fabulis. E Baldassar Bonifazio, che il chiama Cicerone de' Toscani, e novellator sollazzevole, apparisce in que. sta opinione concorrere, siccome ancora Paolo Frehero, che nell' annoverare le opere del nostro autore, dice del Decamerone con alquanto barbara latinità: Liber cenuin novarum, quem Decameron vocavit, et lingua Etrusca conscripsit, quo histor ae multae facetae continentur. E certamente oltremirabile è il Boccaccio, allorchè gentilmente alli scherzi, e alle piacevolezze gli piace di rivoltare il suo stile, poichè la cattività di Ser Ciappelletto, e della sua moglie, e la predica di quel buon brigante di Fra Cipolla, e l'amorazzo contadino della Belcolore, e la semplicità di Calandrino, e soprattutto la mellonaggine di Maestro Simone fanno troppo più ridere, che qualunque si è faceta scrittura, o nel nostro nativo, o nell'altrui idioma distesa, talchè non è punto esagerato il giudicio di un Critico moderno (2), che afferma valere quest'ultima novella da se sola per tutto Luciano, Petronio, e Apuleio. Ma se questa pia

(1) Pont. serm. l. 1. c. 20.

(2) Udeno Nisieli Prog. Poet.

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cevolezza fosse quella che tanta reputazione a questa sovrana opera avesse procacciato, molte novelle, anzi il maggior numero di esse sarebbe in poco pregio, perchè o gravi successi, o fieri e lacrimevoli accidenti, o esempi d' eccelsa virtù, o imprese magnanime ed eroiche, o scaltri, ed ingannevoli fatti raccontano, e pure in non minore stima, anzi in maggiore dell' altre sono dagli uomini letterati tenute. Poichè qual è che non ammiri sopra tutte l'altre novelle le varie avventure di Madama Beritola, o del Duca d'Anguersa, l' eroica bravura di Cimone, o le alte magnanimità di Tito, e di Gisippo? Chi non preporrà a tutti i faceti racconti il lagrimevole, e funestissimo della Ghismonda, e forse anche della Salvestra? Oltre di che molte piacevoli facezie vengono a non es sere da chi non è Toscano comprese, e molte neppur da noi si comprendono come in Ricciardo di Chinzica quel suo Calendario fatto a Ravenna, e i capitoli del Caprezio in Fra Cipolla, e altre delle parecchie si fatte? Giovanni della Casa, scrittore di finissimo giudizio, e il maggiore imitatore del Boccaccio, che abbia nostra favella, alla purità dello stile, e alla grazia della facezia aggiugne un altro pregio, che è quello dell' evidenza, dicendo nella vita del Bembo: Boccacij oratio dulcis, copiosa, polita, ornuta, mollis, faceta, rem ante oculos ponens, ut geri ea quae legas, non narrari videantur. Ma i Poeti Epici, e Tragici, e gli antichi Comici, e Dialogisti, non hanno in questo genere gran fatto che invidiare al Boccaccio, e non più di essi gli Oratori, e gli Storici. Sovverravvi, Uditori virtuosissimi, della descrizione, anzi vivissima pittura, della peste Ateniese che si legge in Tucidide, riportata con non minore eleganza in Lucrezio, ambedue i quali fo ragione che abbia preso ad imitare il nostro Au

tore, e sovverrav vi delle miracolose narrazioni, che nell' Orazioni di Cicerone si ritrovano. E a chi non par d'essere affatto presente all' uccisione di Clodio, e a tuttociò che innanzi o dopo ad essa fù adoperato rileggendo il principio della Miloniana? Chi desidererà maggior evidenza di quella con cui Tito Livio ci pone sotto gli occhi o le rovine d'Alba, o l'assedio di Sagunto, o la presa di Cartagena, o la infelicissima e disonesta stretta che ebbero i Romani alle forche Caudine? Niuno per certo che abbia fresca memoria di quelle artificiosissime descrizioni. E pure dal vedere che gli antichi non trascrivevano se non una menoma parte di quell' Istoria, lasciandone non solo molte Deche in fine, ma una pur nel bel mezzo, conciossiachè le cose quivi narrate fossero appo altri scrittori parimente descritte, chiaro si mostra non essere stata questa storia in quella gloriosa altezza di fama collocata, dove in tutti i tempi da ogni uomo d'ogni nazione è stato il Decamerone riposto. Ma siccome io non reputo che l'evidenza, quantunque sua dote grandissima, sia però la prima e principale di questo singolar libro, così nè meno l'ordine e la concatenazione delle sue parti, e l'ottimo giudicio in collocarle a' suoi luoghi, talchè non vi si scorge da occhio critico cosa veruna, che prima o dopo si potesse dire di quando è stata detta, e neppure l''avere quest' opera con tanto artifizio tessuta, che nè troppo angusta, nè troppo ampia in nessuna parte si miri, e in cui veruna considerazione, dove sia necessaria, non sia taciuta, o in alcuna cosa che si potesse riputare superflua soprabbondato, prerogative tutte così perfettamente contenute nel Decamerone, che in questa eccellenza pochissimi scrittori si Greci, e si Latini l'hanno agguagliato, e da niuno è stato certamente, nè il sarà forse

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