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municasse, e l'assoluzione non ottenesse se non dopo

la restituzione.

Ordinò eziandio la santa sinodo, che i cherici non tenessero nè in casa, nè fuori o concubine o altre donne sospette, e se ammoniti non si emendassero, perdessero per la prima volta la terza parte di tutte le entrate ecclesiastiche, per la seconda le perdessero tutte, per la terza fossero privati in perpetuo di tutti i benefizj e rendite ecclesiastiche, per la quarta si scomunicassero, e quei, che non avessero nè benefizj, nè rendite ecclesiastiche fossero puniti col carcere, con sospensione dagli ordini, con inabilità a benefizj e con altre pene; che se i vescovi cadessero in simil fallo, e ammoniti dal concilio provinciale non si emendassero, divenissero immantinente sospesi, ed ove pur continuassero, fossero denunziati dal sinodo al papa, il quale secondo le colpe gli castigasse, eziandio con la privazione; agli illegittimi figliuoli dei chierici fosse vietato l'aver benefizio, o l'amministrare in quella chiesa, dove avessero amministrato, o amministrassero i loro padri.

Il Tridentino, consesso decretò parimente, che i vescovi fossero memori di non avvilirsi verso i ministri de' principi, e verso i signori e i baroni, e s'intendessero rinnovati tutti i canoni a favore della dignità episcopale, e fosse ingiunto ai vescovi, che in chiesa e fuori trattassero col decoro, e con la gravità di padri e di pastori; che restassero ammoniti i principi, e qualunque altro constituito in dignità di render loro il paterno amore e la debita riverenza.

Fu statuito ancora, che l'imperatore, i re e qualunque altro signore temporale, il quale concedesse luogo a duello, cadesse nella scomunica, se la terra concessa per campo al duello fosse data loro dalla chiesa, ne perdessero il dominio, e se fosse feudo, ricadesse al padrone diretto, i duellanti e i padrini incorressero nella scomunica, nella confiscazione di tutti i beni, nella perpetua infamia, e fossero puniti come micidiali secondo i sacri canoni; chi morisse in duello fosse privo a perpetuo di sepultura ecclesiastica, e tutti quelli, che dessero consiglio di ciò, e che ne facessero suasione in qualunque modo, ed anche i riguardatori cadessero nella scomunica e nell' eterna maledizione.

Dopo ciò, fu appruovato un decreto, con cui i padri statuirono, che tutti i decreti fatti ne' tempi o di Paolo, o di Giulio, o del presente pontefice intorno alla riformazione e alla disciplina, s'intendessero salva sempre l'autorità della sede apostolica.

Pensossi a formare la dottrina del purgatorio, delle indulgenze, dell' invocazione, venerazione, reliquie ed immagini de' santi. Decretarono (questa fu la materia, che da principio mise il mondo in disordine) esservi il purgatorio, l'anime ivi ritenute ricever giovamento dal suffragio de' fedeli, vedessero i vescovi, che nell' esercizio delle indulgenze le cose di mera curiosità, o che mostrassero specie di guadagno sconvenevole, si proibissero, e che i suffragj de' fedeli viventi in ajuto de' morti fossero usati divotamente, e secondo l'intenzione de' suffraganti.

Decretossi ancora, che i santi pregano Dio per gli uomini, e come è profittevole la loro invocazione, che i corpi loro debbono venerarsi;

Che le immagini di Cristo e dei santi, specialmente nelle chiese, debbono essere tenute, onorate e venerate, non per loro, ma per chi esse rappresentano;

Si levassero tutte le superstizioni, tutti i guadagní turpi, tutte le lascivie d' una sfacciata bellezza dalle sacre figure; nella visitazione delle reliquie e delle immagini non si mescolasserò usi rei di gozzoviglie e d' ebrietà.

Si statuirono poscia molte buone regole per una riforma dei regolari con torre molti mali usi prevalsi nei conventi d'ambi i sessi, sì quanto alla professione che quanto alla clausura, ed alla creazione ed alla visita de' superiori. Fra le altre constituzioni si stabili, che fosse lecito a tutti i monasterj d'ambi i sessi, eziandio de' mendicanti, inclusi anche quelli, cui dalle regole loro era vietato, il possedere beni immobili. Solo furono eccettuati ad istanza dei loro generali i minori osservanti francescani ed i cappuc→ cini, i quali protestarono voler continuare a vivere in povertà secondo gli ordinamenti dai loro pii fondatori lasciati. Anche il Lainez generale de' gesuiti aveva fatto istanza, che la sua compagnia, non quanto ai collegj, ma quanto alle case professe, nelle quali essa essenzialmente consisteva, fosse eccettuata, acciocchè dovesse vivere di mendicità e senza possessione di beni stabili; ma in un' altra congregazione chiese, che fosse tolta la eccezione, perchè la sua

compagnia, disse, voleva bensì vivere nella pura mendicità, ma non averne obbligo, parendole esser maggior merito il viver povero, quando si può diventar ricco.

Il giorno tre di decembre tennesi la sessione nona dopo la riduzione, e che fu l'ultima del concilio. Speditivisi i canoni da noi sovra espressi delle indulgenze, stavano i padri e gli astanti in grande aspettazione di quello, che fosse per avvenire, stante che quella era la fine del concilio. Il primo legato domandava, se fosse volontà dei padri, che la sinodo si terminasse, e se piacesse loro, che i legati a nome suo richiedessero il papa della confermazione dei decreti. Di concordevole consentimento risposero, piacer loro le due proposte. Solamente l'arcivescovo di Granata, non dissimile a se stesso nemmeno in quell' estrema conclusione, disse, piacergli, che si finisse il concilio, ma che non si chiedesse la confermazione.

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Sorse quindi una grande allegrezza fra i prelati pel fine delle fatiche loro dopo sì lungo spazio, e tante tempeste. S'abbracciavano l'un l'altro con amorevolezza fraterna, bagnavano i volti con lagrime di tenerezza propizievole, ringraziavano Dio di un tanto avvenimento accrebbesi il giubilo per festive acclamazioni. Il cardinal di Lorena intuonava, rispondevano in coro gli altri padri; pregarono colui, dal quale ogni giusto ben procede, desse felicità a Pio IV pontefice massimo, pontefice della santa ed universale chiesa; pregarono riposo alle anime di Paolo III, di Giulio III, di Carlo V e di altri re defunti, benigni

e pii ajutatori della felice e sacrosanta opera; augurarono molti anni all'imperator Ferdinando sempre augusto, ortodosso e pacifico; desiderarono medesimamente avventurose sorti agli altri re, repubbliche e principi, che la retta fede conservata avevano; renderono grazie ai presidenti, ai cardinali, agli ambasciadori. Fecero appresso prego a Dio, che a' santissimi vescovi banditori della verità lunga vita, felice ritorno, e perpetua memoria donasse. Profèssarono finalmente la fede e l'osservanza dei decreti Tridentini, invocarono Cristo, supremo sacerdote, la inviolata madre di Dio, e tutti i santi: dissero anatema agli eretici.

Terminate le feste, le acclamazioni, gli augurj, si venne all' autenticazione degli atti. Il promotore richiese i notaj presenti, perchè rogassero per istromento pubblico l'intero tenor del concilio. Il che eseguito essendosi, tutti i decreti raccolti insieme ed autenticati dal segretario del concilio Massarello e da' notaj, furono sottoscritti dai padri, e i nomi dei sottoscritti sommarono a ducento cinquanta cinque, quattro legati, due altri cardinali, tre patriarchi, venticinque arcivescovi, cento sessantotto vescovi, trenta nove procuratori d'assenti con mandato legittimo, sette abbati, uno di Chiaravalle, quattro Cassinesi, uno di Clugny, uno di Villabertranda nella provincia Tarraconese di Spagna. Vi concorsero parimente sette generali di religioni, de' predicatori, de' minori osservanti, de' minori conventuali, de' romitani, de' servi, del Carmelo, de' gesuiti.

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