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il conquisero, e attorno di lui tempestarono che sforzarono la sua volontà a dare centomila scudi di quelli, che guardava chiusi in castello, al conte Annibale Altemps, che aveva sposata la sorella di Borromeo, e cinquanta mila alla figliuola del marchese di Marignano, sua nipote. Ma alcuni scrittori narrano, che la donazione non fu mandata ad effetto per essere contraria alla bolla, ch' egli stesso aveva fatta poco innanzi sopra il conclave e la sede vacante.

Fu Pio di facile e mansueta natura. Teneva anche del magnifico, ed abbelli Roma. Proseguì con intento di terminarla, l'opera del concilio, e realmente la condusse a fine. Bene gli uomini pii ed odiatori degli abusi il debbono biasimare per non essersi conformato puntualmente nella collazione dei benefizj, e nelle pratiche fiscali della curia, alle savie deliberazioni della veneranda assemblea. Grande sagacità, ed uguale prudenza mostrò, mentre ella stette aperta, costretto, siccome egli era, a navigare fra due scogli, le prerogative di Roma e le pretensioni dei vescovi. In ciò ottenne forse più che non sperava, e la pontifical sede gli debbe restare perpetuamente obbligata. Forse qualche grave scandalo sarebbe nato, se Pio IV tale fosse stato, quali furono Paolo IV, suo antecessore, e Pio V, suo successore.

I cardinali presenti si prepararono, gli assenti corsero a serrarsi in conclave. I Francesi volevano per papa il cardinal di Ferrara, gli Austriaci il Farnese od il Morone per pochi voti mancò, che l'ultimo non fosse esaltato. I principi d'Italia andavano alla

volta di un papa, che maggior pratica avesse di religione che di negozj politici, nè aderenze d'importanza fuori per questa cagione disfavorivano la elezione dei tre primi. Infine dopo un lungo contrasto convennero fra di loro, e crearono, il sette di gennajo, pontefice il cardinale Alessandrino. Pregato da Borromeo, che molto l'aveva favorito nel conclave, si nominò Pio V. Nato in umil luogo al Bosco vicino ad Alessandria, ed accolto nell' ordine dei domenicani, s'era innalzato a grado a grado per l'austerità de' suoi costumi alle più alte dignità della sua religione, e finalmente al cardinalato. Era conosciuto in Italia sotto il nome di frà Michele dell' inquisizione, ed il suo nome rendeva terrore per la singolar durezza da lui usata nell'esercitare quell' uffizio. Aveva amato il zelo furibondo di Paolo IV, e ne era stato anche il consentaneo esecutore; ed ora, che non era più solamente mandatario, ma mandatore, si temevano da lụi effetti rigorosi.

Mansueto ciò non ostante fu il principio del suo pontificato; ma per amore di Paolo, pregato dalla famiglia Caraffa, fece rivedere il processo del cardinale Carlo condannato per maestà offesa ai tempi di Pio IV, e ucciso per via di giustizia. Per nuova sentenza il cardinale fu assoluto del crimenlese, e alcuni di quelli, che si erano trovati a condannarlo, si trovarono ad assolverlo : diedesi il medesimo giudicio pei fratelli ; onde qui vi fu o assassinio per giustizia, o assoluzione per prevaricazione.

I principi stavano in sospetto pel concetto smisu

III.

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rato, che Pio aveva delle prerogative della sedia Romana, i popoli pel suo zelo eccessivo nel perseguitare i sospetti di religione erronea; nè i frati stessi se ne contentavano conoscendo, che per l'integrità della vita gli avrebbe voluti raffrenare con dare esecuzione ai decreti Tridentini, che a loro concernevano. Più di cinquanta mila di cotesti frati solamente in Italia vivevano fuori dei conventi standosi, con vita oziosa, dissoluta e scandalosa: erano una terribil peste. Le monache stesse andavano vagando, immemori, che se la regola, alla quale si erano obbligate, comandava, che modeste e ritirate vivessero, ogni rispetto, ed umano e divino, e di convenienza e d' ordine voleva assolutamente, che quel genere di vita, a cui si erano giurate, osservassero. Era venuto alle loro orecchie, che nel primo concistoro il nuovo papa con qualche veemenza orando aveva detto, che il malore della chiesa e dell'eresie, che cotanto avevano travagliato la cristianità, e più che mai la travagliavano, non avevano avuta più vera origine che dalla mala vita e dal peggiore esempio dei cherici, nè niuno più mala vitą teneva, o peggior esempio dava dei claustrali uomini e donne, che rotte le regole loro più liberamente vivevano che coloro, ai quali la libera vita era concessa. Per certo, il sucidume, la grossolanità, l' ignoranza, la disonestà e l' avarizia dei frati furono cagione potissima delle percosse, che ricevè la religione cattolica per le eresìe, che contaminarono il secolo decimosesto, e che con lo scisma tanto nocquero alle credenze universali dei popoli.

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I frati danneggiavano la religione dei più coi cattivi esempj, i Turchi macchinavano di danneggiarla coll' armi. Solimano imperatore, ancorchè già fosse molt' oltre cogli anni, non aveva punto rimesso de' suoi spiriti guerrieri, e già aveva mosso una pericolosa guerra contro Massimiliano in Transilvania ed in Ungheria. Posava per mare, perchè i Veneziani, temendo il suo sdegno, e bramosi della sua amicizia, niuna occasione pretermettevano per tenerlo bene edificato. La Spagna per verità era in guerra con lui, e già si era impossessata di quella rocca del Pignone in Barberìa, ma per la consueta lentezza loro i preparamenti marittimi degli Spagnuoli gli davano poca noja, intesi essendo massimamente piuttosto a preservare le marine di Spagna e di Sicilia che ad offendere le possessioni del sultano. Ma una potenza, quantunque piccola, irritava continuamente l'animo superbo di Solimano, e lo chiamava ai danni del popolo cristiano; quelli erano i cavalieri di Malta. Seguitando quell'antica e cruda pazzia, nata in tempi-troppo barbari, di guerra perpetua contro i Musulmani, pazzìa, che non solo autorizzava, ma obbligava i seguaci del profeta a fare guerra perpetua ai cristiani, i cavalieri Gerosolomitani correndo continuamente il Mediterraneo colle loro navi armate, menavano prede, riducevano i presi in ischiavitù, infestavano anche spesso contro il dritto delle genti i golfi ed i seni chiusi appartenenti a potenze amiche di Turchìa con manifesto pericolo di concitar contro le medesime la rabbia ottomana, In somma, guerra di rapina e di schiavitù era dalle due

parti, e se questa è religione, io non so più che cosa sia irreligione. Religione sarebbe stata, e più ancora onore il non vender Malta vilmente e per prezzo a chi andava a farsi Turco in Egitto, siccome abbiam veduto a' giorni nostri.

Solimano apprestava la vendetta, le grida dei sudditi rubati ed incatenati quell' anima fiera fierissimamente stimolavano. Nè mancavano consiglieri, che o per odio contro il nome cristiano, o per dispiacere di vedere i Turchi desidi sul mare, o per brama di segnalarsi nei pericolosi fatti della guerra marittima, alle medesime deliberazioni il confortavano. Pialì, grand' ammiraglio, Ariadeno, figliuolo di Barbarossa, stato nemico tanto infenso del nome cristiano, Dragutte ancor egli infensissimo, gridavano guerra alle orec-. chie del vecchio e generoso Solimano contro quel nido, come il chiamavano, di corsari cristiani : si risolveva alla guerra.

Già insin dall' anno passato le opere di guerra sul mare si erano riscaldate.in Turchia, da lungo tempo non si era sentito un così vasto preparamento, nè vasto solamente, ma presto, perchè Solimano andando contro Malta con le sue forze, voleva prevenire gli ajuti di Spagna e delle altre potenze cristiane, salvo la Francia, di cui non aveva temenza a cagione dell' amicizia, che tuttavia continuava fra lui e il re Cristianissimo. Tanto sollecitò la sua armata, che in brieve, e sul bel principio del presente anno 1565, Piali era partito da Costantinopoli con cento trenta galee. Ne raccolse poi per l'Arcipelago, dove solevano

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