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vano mai udite altre parole intorno alla fede che quelle del loro parrocchiano. Erravasi per eccesso da una parte, erravasi anche per eccesso dall' altra.

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Ciò succedeva non tanto in Toscana, quanto in altre parti d'Italia. Ciò nondimeno, parendo al pontefice, che siccome i principio volevano, che i loro deputati assistessero ai processi dell' inquisizione, e che anzi Cosimo aveva ordinato, che il nunzio gli rendesse conto dei medesimi, e le sentenze non si eseguissero senza il suo consentimento, quel tribunale per così dire imbrigliato non fosse un freno sufficiente contro i novatori, si era deliberato di tentare altra via per arrivare al suo fine. Percuotere i capi per atterrir i seguaci, e tirargli dai paesi forestieri all' inquisizione di Roma gli parve risoluzione conforme al suo desiderio. La signorìa di Venezia gli diede agevolmente in mano Giulio Zanetti, ricoveratosi in Padova per querela d' eresia. La repubblica si scusò di un atto, che non era senza bruttura, allegando, che il Zanetti era nato in Fano, e però suddito del papa. Per quasi tutti i dominj si andava ricercando di tali persone, onde i popoli si spaventavano, ed in alcuni luoghi tumultuavano, come in Mantova accadde. I principi secondavano la volontà di Pio, chi per mostra di religione, chi per timore del papa, chi pel terrore, che avevano concetto per gli avvenimenti tremendi di Germania e di Francia, dove si era veduto e vedeva tuttavia, che la riforma della religione aveva portato con se la ribellione dello stato.

Fra i principali contaminati Pietro Carnesecchi fu

d'esempio spaventevole, che o non bisogna scostarsi dalle credenze comuni, o fuggire là, dov' esse non si professano. Dimostrò anche con una lagrimevole fine, che impotenti sono in tali casi le amicizie dei principi, e mal sicuro scudo contro i fulmini del Vaticano. Era il Garnesecchi nato in Firenze da famiglia onoratissima fra quelle, che scopertesi insin dal principio in favore della casa de' Medici, loro erano sempre state fedeli così nella prospera, come nell'avversa fortuna. Personaggio di molte buone qualità, si era esercitato nella carica di protonotario in Roma, dove Clemente VII l'aveva amato, ed in molti modi onorato. Le novelle opinioni poscia lo avevano sviato. Teneva corrispondenza coi più famosi eresiarchi di quei tempi, Ochino, Pietro Martire, Valdez, Vergerio: ne teneva con Vittoria Colonna e Giulia Gonzaga sospette ancor esse, e col celebre letterato Marcantonio Flaminio, che pareva seguitare le medesime dottrine ne teneva finalmente con Galeazzo Caraccioli, marchese di Vico, famoso personaggio di quell' età, il quale condottosi in Ginevra, vi aveva abbracciato la riforma. Aveva anche commercio di lettere con la duchessa Margherita, moglie di Emanuele Filiberto di Savoja, la quale si vedeva essersi imbevuta delle nuove massime alla corte di Francia,

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Per queste ragioni Carnesecchi era stato messo una prima volta nelle mani dell'inquisizione, ma pei favori fattigli dal duca di Firenze rimesso in libertà, promettendo di vivere cattolicamente. Ma ritiratosi in Francia, dove fu ben veduto dalla regina Caterina,

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vi aveva continuate le sue pratiche sospette, e particolarmente vissuto in molto stretta famigliarità con Melantone. Paolo IV, che non era uomo da tollerar queste cose, l'aveva fatto citare, processare e sentenziare per eretico dal sant' offizio, ma in contumacia, non essendosi presentato in giudizio. Favorillo di nuovo il duca, fu dal novello pontefice novellamente assoluto, si veramente che da quindi innanzi al grembo della chiesa ritornasse, e stabilmente vi si mantenesse. Ma il fato tirava il pertinace Carnesecchi. Ostinossi nell' eresia, fecesi beffe della fede e riti cattolici, scrisse in disonore del pontefice.

Molte erano le sue sentenze contrarie alla dottrina cattolica:

Che la fede sola salvava senza il concorso delle opere;

Che non pecca mortalmente chi non osserva i digiuni,

Che non tutti i concilj generali avevano avuto l'assistenza dello spirito santo;

Che la confessione e la cresima non fossero sacramenti;

Che fosse falsa la dottrina delle indulgenze, e mera invenzione dei papi per cavar denaro dai popoli ; Che non vi fosse purgatorio;

Che il papa era solamente vescovo di Roma, e non aveva potestà sulle altre chiese;

Che nell' eucaristìa non vi fosse transubstanziazione, quantunque credesse a guisa dei Luterani alla presenza del corpo di Cristo nell' ostia consecrata;

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Detestava i frati e le monache, chiamandogli peso inutile della terra, nati solo per mangiare, e divorarsi le sostanze dei poveri ;

Condannava l'invocazione dei santi

Sosteneva, che non si può far voto di castità, e che il farlo è un tentare Iddio;

Credeva lecito mangiare nei giorni proibiti ogni sorte di cibi, e sì gli mangiava;

Protestava potersi da chiunque senza peccato serbare e leggere i libri degli eretici.

Con una soma di tali opinioni non si sa capire come il Carnesecchi si sia ardito, come fece, di venirsene stare a Firenze, città così vicina a Roma, e soggetta ad un principe, che per avere picciolo e debole stato era in necessità di condiscendere ad ogni istanza. Di tanta imprudenza fu verisimilmente cagione l' affezione, che Cosimo gli portava, e la mansuetudine di Pio IV. Ma l' aver perseverato nella medesima stanza, quando fu assunto al trono pontificale il terribile frà Michele, pare piuttosto in lui pazzìa, o acciecamento, che Dio gli mandava, che animosa risoluzione. Certamente Carnesecchi non poteva vivere sicuro accosto a Pio V. Fuggire e ben lungi era il solo scampo, che gli restasse.

Una nuova imprudenza per non dire temerità venne ad accrescere la somma delle sue colpe verso Roma, e il sospingeva al suo destino. Si era egli fatto membro di una società formata in Toscana per ajutar col denaro quelli, che cadessero in mano dell' inquisizione. Nè in ciò si contenne, perciocchè favorì

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anche palesemente la fuga di Pietro Gelido da San Miniato, denominato comunemente il Pero, ecclesiastico di molta dottrina, favoritissimo per lo avanti di papa Clemente, poi presentemente di Cosimo. Scopertosi Calvinista (di tali opinioni erasi informato alla corte di Ferrara ai tempi della duchessa Renata), fuggì primieramente in Francia, poscia a Ginevra. Il Carnesecchi l'aveva in ciò sovvenuto di consiglio e di denaro : l'opera era pietosa, ma gli era attribuita 'a complicità.

Seppesi il papa tutte queste cose, e volle ferire per esempio e terrore degli altri quella principale e famosa testa. Fece ufficio assai premuroso, appresso a Cosimo, perchè a fine di giustizia gliel concedesse, poi pel medesimo effetto gli scrisse di proprio pugno un breve, mandandone portatore a Firenze il maestro del sacro palazzo. Il duca sapeva, che il darlo era un mandarlo a morte; pure il diede per acquistarsi la grazia di un pontefice temuto; anzi vogliono alcuni, che gli scrivesse, che per la fede gli avrebbe consegnato, mani e piedi legati, il proprio figliuolo, non che il Carnesecchi. Tanto tenero era della fede il principe avvelenatore e pagatore di sicarj! Tentò ciò non ostante con replicate lettere, usando anche l'intercessione dei cardinali, di mansuefare l'animo di Pio. Il papa desiderava di compiacernelo; ma Carnesecchi non tanto che desse segni di volersi ravvedere, sempre più si ostinava nelle sue opinioni, e ne' suoi Costituti si aggravava.

Il ventisei d'agosto del 1567 fu dannato a morte,

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