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come convinto di trentaquattro opinioni condannate. Fugli letta pubblicamente la sentenza il ventuno del mese seguente. Consegnato al braccio secolare, gli fu posto addosso il sanbenito dipinto a fiamme e diavoli. In quell' estremo passo non disperò Cosimo di muovere a compassione il pontefice. Sospese Pio l'esecuzione per dieci giorni, promettendo la grazia, qualora il dannato le eretiche opinioni ripudiasse, ed alle cattoliche ritornasse. Mandò anche un cappuccino ad esortarlo. Ma fu indarno; perchè non che si convertisse egli, voleva disputando convertire il cappuccino, e sprezzava la morte. Fu decapitato in ponte, poi abbruciato. Sostenne sino all' ultimo con singolare costanza il terribile apparato, e l'aspetto della morte stessa. Volle anzi andar al patibolo come in pompa, e con biancheria e guanti nuovi ed eleC ganti, giacchè il sanbenito non gli permetteva l'uso d'altre vesti. Gli scrittori ecclesiastici, e specialmente il Baronio riprendono chi scrisse, che il Carnesecchi sia stato arso vivo, anzi affermano, ehe l'inquisizione di Roma non usava mai tal sorte di troppo crudele supplicio; il che fu vero, almeno quanto al Carnesecchi. Vogliono, che il sant' offizio, prima di bruciare gli eretici, gli facesse o decapitare, o impiccare; ma certamente il sanbenito si accendeva prima della morte, e mentre ardeva, decapi tavasi o strangolavasi il condannato. Che pietà e moderazione di pena fosse quella, e se l'inquisizione avesse motivo di vantarsene, il lettore giudicherà : funeste parti di storia sono queste.

Gran terrore, grande costernazione aveva prodotto non solamente in Toscana, ma ancora in tutta l'Italia la tragedia del Carnesecchi. Ognuno temeva per se, pei parenti, per gli amici: il dolce e confidente conversare era sbandito insino dai più segreti colloquj delle famiglie.

Ma il papa non si restava, Cosimo pruovò, che l'avere dato il suo amico e il servitor fedele della sua famiglia, in mano di chi credeva, che la sua morte importasse alla religione, non che saziasse le voglie altrui, vieppiù le accendeva. Aonio Paleario, oltre i Sozzini, aveva sparso semi di dottrine sospette in Siena, ed altri luoghi circostanti. Alcuni suoi scolari in un' accademia eretta per l'interpretazione di Dante, aveva sostenuto in San Gimignano, che l'amor delle donne può far forza alla volontà, e costringerla inrimediatamente. Ciò parve ai preti e frati, che più degli altri il dovevano sapere, una cosa molto terribile. Fecersi informazioni ed esamini sui sospetti, e su quanto potessero le donne. Molti perseguitati fuggirono, alcuni portati a Roma, e dalla inquisizione processati soffersero varie pene e castighi. Fuggivasi da Siena, fuggivasi da Firenze, la rabbia religiosa vi faceva quello, che aveva cessato di farvi la rabbia politica. Lo studio di Pisa ne diventò quasi deserto, perchè alcuni giovani Tedeschi venutivi sotto la fede pubblica per farsi ammaestrare, presi come sospetti dall' inquisizione, ebbero per gran fortuna l'aver salvata la vita: i compagni fuggirono l'inospita terra. Il beneficio di Cosimo, che aveva

fondato lo studio, e chiamatovi i più chiari professori d'Italia, per le sue condiscendenze verso l'inquisizione, andava di giorno in giorno desertandosi.

Il fanatismo partoriva il rigore, il rigore lo spavento le più pazze cose si credevano, delle più pazże sene facevano. Cinque donne s' erano date al diavolo, l'ospedale dei matti le doveva raccettare : furono arse in Siena. Simili scene spaventavano altre parti d'Italia: dotti sospetti, e fattucchiere ignoranti erano messi in fascio innanzi ai frati inquisitori. Due influenze contrarie si osservavano. L' Ariosto e il Sannazzaro, e chi gli seguitava, ingentilivano i costumi, il Tasso s'apprestava ad ingentilirgli, i frati gli arrozzivano ed inferocivano. Gran sorte degli uomini, che Torquato abbia vinto i frati.

Il rigore sulle parole e sugli atti portava con se il rigore su i libri. Già insin dal tempo di Carlo V la facoltà di proibire certi libri s'apparteneva ai principi secolari, i quali sempre l'avevano usata, ben inteso però che qualora si trattasse di libri, che toccavano le materie religiose, i principi sentivano

il

parere delle facoltà di teologia. I pontefici stessi in ciò facevano leggi solamente per lo stato ecclesiastico, non per altri. Paolo IV volle estendere questa facoltà all' orbe cattolico, pubblicando un catalogo di libri proibiti, da osservarsi in tutti i paesi, che professavano la religione Romana. Era il catalogo accompagnato dalla comminazione di pene severissime di arbitrio, privazione di benefizj ecclesiastici, infamia e censure per chi detti libri leggesse o rite-

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