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restarono arse, le incapaci, rotte, fracassate, spezzate e stravolte andarono a portar ruina e morte nelle più lontane parti della città: i canali sparsi di miserabili rottami. Nelle case vicine all' infiammata voragine non vi rimase nè palco, nè tetto, che non rovinasse. Rovinò un intiero convento di suore: a grave stento dalle precipitantisi e fracassate mura, e coll' ajuto dei vicini più intenti ad un pietoso ufficio che alla salute propria, alcune di loro dalla morte scamparono, le altre sotto l' orrendo scroscio ammaccate perirono. I più lontani edifizj si sconvolsero orribilmente, alcuni anche andarono in rovina. Rovinarono le chiese della Trinità, di San Francesco, di Santa Giustina martire. Ognuno trepidava incerto di ciò, che fosse, o che si facesse. Dove fuggire non sape-vano. Dalle case gli cacciavano i cadenti sassi, e le travi infrante, dalle vie i tizzoni ardenti e gli spezzati ferri, che a gran tempesta fioccavano. Chi potrebbe dire, quali fossero in così funesta notte i pianti delle donne, le strida dei fanciulli, lo spavento, il terrore,

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orrore di tutti? Apersersi per la forza dell' impetuosissima bufera cagionata dallo scoppiar del fuoco le porte del palazzo, Accorservi a fretta i senatori per saper che fosse, e per vedere, se in così luttuoso caso qualche mezzo o speranza di salute restasse. Molti e nobili, e cittadini, animosa gioventù, presero le armi per soccorrere alla patria, ove bisogno ne fosse, o contro nemico esterno se avvenisse, o contro chi di dentro la perdizione altrui in proprio pro convertire volesse. Novelle spaventose di vario genere

ad ogni momento si spargevano. Infine dopo molte false e tutte tremende si conobbe la vera. Corsero le turbe, ma con regolato moto al luogo della disgrazia, e fecero opera non inutile di arrestare l'impeto delle fiamme, che già ai prossimani edifizj si avventava. Rimaservi compassionevoli vestigia d' insensate materie consumate o rotte, miste ad umane membra o semivive o morte, e tutte o lacerate, o stritolate, o schiacciate, od arse. Un alto stupore occupò lunga pezza gli spiriti, come suole nelle grandi percosse d'Iddio. Sparsersi voci di nemica trama, ma se l'alta ruina cominciasse per caso o per tradimento, rimase sempre incerto. Bensì la repubblica attendeva dall' irata fortuna qualche indicibile calamità, nè furono senza riscontro del vero i tristi augurj. Soccorse il senato all' inestimabile danno ordinando, che con maggior numero di operaj si riparasse, e tanta fu la sollecitudine usata che in brieve tempo le mura si risarcirono, e le provvisioni navali si rifornirono. Per ovviare ai futuri casi si provvide, che non più nell' arsenale, ma nelle adjacenti isole le torrette conservatrici della terribil polvere s'innalzassero.

Selimo in questo mentre infuriava. L'isola di Cipro posta all'incontro della Sorìa ed all' incontro della Cilicia nell' estremo seno del Mediterraneo, era posseduta dai signori Veneziani, sotto l'imperio dei quali era stata data da Caterina Cornaro, vedova di Jacopo, ultimo del sangue de' Lusignani, che con titolo di regno l'avevano lungo tempo governata ; isola di cielo molto salubre, piena di acque dolcis

sime, di biade, di frutti, e specialmente di úve delicatissime feconda. Nè vi mancava, quantunque vicino a paesi barbari situata fosse, il culto o l' amore delle gentili discipline, poichè vi risplendeva una nobiltà non poco erudita; ma il popolo se ne viveva in poco lieta condizione, gravato dalla potenza, e spesse volte ancora dalla prepotenza dei nobili. Nè il governo della repubblica, trattandosi di un paese assai lontano e di difficile possessione, curava o prendeva in mano la tutela dei popolani, inclinato piuttosto a favorire la nobiltà, nella quale consisteva il principal nervo dell' isola. Per la qual cosa se i nobili vi erano pronti, ed in fatti prontissimi erano, a fare ogni sforzo in favore di Venezia, i popolani si mostravano anzi rimessi e freddi che no, non vedendo, che vi fosse tra il freno Turco e il doppio freno della nobiltà Veneta e Cipriotta gran differenza. Molto importava alle potenze cristiane, che Cipro Cristiano o Turco fosse, posciachè lo stimavano quasi un primo antemurale contro la potenza Ottomana. Il papa soprattutto ne portava grandissima cura, perchè gli pareva, che quell' isola fosse molto opportuna, come era veramente, a servir di scala per riconquistare, quando che fosse, il sepolcro di Cristo.

L'imperatore dei Turchi sì ricca preda agognava. Aveva giurato di prendersela. già insin prima che occupasse il soglio, molto più di prendersela giurava ora che la suprema signorìa aveva acquistata. Mustafà, capo dei Giannizzeri, ed in cui concorrevano tutti i favori loro, Turco feroce e nemicissimo dei Cristiani

all'impresa il confortava. Coll' armi e colla guerra, non coll' ozio e colla desidia essere cresciuta la potenza Ottomana, coll' armi e colla guerra avere gli Ottomani allargato i confini dell' imperio; l'avolo Selimo, folgore di guerra, vinti e debellati i Mamaluchi, avere conquistato la Soria e l'Egitto, il padre Solimano, aggiunta Albagreca, Rodi, la Morea, gran parte dell' Ungheria; gli uomini di povero cuore e di sinistro augurio (con queste parole Mustafà feriva Meemette, gran visire, che con tutte le sue forze dissuadeva il soldano dalla spedizione) mettere avanti la sconfitta di Malta; ma le avversità di Malta dovere appunto chiamare le prosperità di Cipro; doversi i Musulmani levare quella macchia dal viso; non essere Venezia potente a resistere nel cuore stesso del suo dominio, come resisterebbe in un sito tanto lontano? La lontananza fare a lei tutte le condizioni difficili, agli Ottomani facili, poichè presso ai loro lidi stessi avrà a farsi sentire il rimbombo dei cannoni. Chi ajuterà Venezia? Carlo, re di Francia, sempre amico della Porta, ed altronde in così basso stato caduto, che sottoporre non può i proprj ribelli? Il pontefice, che non ha nè denaro, nè navi, nè soldati? Il re di Spagna, cui il Belgio tormenta, cui i Veneziani abborriscono per la mancata fede in Preveza, per la mancata fede in Castelnuovo di Cattaro? Che dire di Toscana, di Savoja, di Genova, di Malta, possessori di qualche schifetto, atti piuttosto a rubare da ladroni di mare che a far guerra alta e generosa? Perchè indugiare adunque, gridava Mustafà, perchè non afferrare

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quella vittoria, che già di per se stessa ai felici Musulmani si appresenta ?

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• Si opponeva Meemette visire : non esservi cagione guerra coi Veneziani; non aver loro violati i patti della pace; la fede doversi anteporre alla gloria ed alla potenza, anzi essere lei vero e sicuro fondamento dell' una e dell' altra; essere gli Ottomani famosi in guerra per valore, ma ancor più famosi per lealtà in pace; forte esser Cipro, e fortemente munito, più forte e più formidabile assai di Malta, cospersa testè di tanti Musulmani cadaveri; abbondare Venezia di buone armi e di buoni soldati, numerosissimo essere il navilio di lei; motivarsi la discordia dei Cristiani; ma al comune pericolo s' accorderanno, e per guerra di religione (chè appunto guerra di religione sarà per Gerosolima si vicina a Cipro) spontaneamente daranno e sostanze, e danari e soldati. Desideransi forse nemici a Turchia? Corrasi contro l' infedele Spagna, ajutinsi. le bandiere di Macometto, che a grave stento sulle sponde del Guadalquivir resistono alle bandiere di Cristo. Là si può ampliare l'imperio, di là andar a ferire le viscere stesse dell' Occidente; ciò più profittevole, ciò più glorioso, ciò più caro ai Musulmani fia che proditoriamente assaltare ed offendere chi a patto nessuno gli ha offesi.

Selimo già di per se infiammato più credette al furibondo Mustafà che al prudente Meemette; volle il conquisto di Cipro. Meemette visire, a cui non restava altro partito che quello di obbedire al suo signore, addomandava in nome del sultano a Mare

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