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antonio Barbaro, bailo della repubblica a Costantinopoli, la ricca e bramatá isola. Aggiravasi in parole sostenendo, come accade a chi ha torto, in cospetto deb Veneziano, cose contrarie a quelle, di cui era stato fautore in consiglio di divano: a ragione la Turchia domandare Cipro a Venezia, giusta venir guerra, se Venezia Cipro ricusasse; in Cipro ricoverarsi i pirati cristiani, loro farvisi copia di quanto abbisognassero; comandare i patti della pace, che si frenassero, e di ciò darsi la repubblica nissun pensiero; uscire sicuri da quel nido a preda contro gli Ottomani, sicuri tornarvi con preda; gli schiavi Turchi venuti in potestà dei Veneti non tanto che secondo i patti a Costantinopoli si mandassero, crudelmente scannarsi; non doversi fede a chi rompe fede; a ciò aggiungersi la religione; essere stata Cipro altra volta possessione dei Musulmani, nè permettere la loro religione, che dove si erano veduti i tempj loro, quei de' Cristiani si vedessero, nè che si adorasse Cristo dove si era adorato Macometto.

ingiusta

A tali querimonie il bailo rispondeva essere la domanda, ingiusta la guerra, inviolata la ̧ fede dei Veneziani; sapere il mondo, che i predoni, i quali o per acquare, o per vettovagliarsi all'isola si accostavano, essere stati sempre dai cavalleggieri della repubblica ivi a cotal fine posti, scacciati; per lo contrario i sudditi della Porta esservi sempre stati ed amorevolmente ricettati, e liberalmente sovvenuti; pirati contaminati d'ogni delitto essere stati spesso dai Veneti mandati a Costantinopoli, dove tanto lon

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tano fu, che delle commesse sceleraggini pagassero il fio, che furono rimessi in libertà; non mai i Turchi avere posseduto Cipro; a questo modo ricompensarsi la repubblica di aver voluto restar in pace con gli Ottomani, anche quando con promissioni di ricchissimi premj era stata da principi potentissimi stimolata contro di loro alla guerra ?

Contuttociò il visire non si ritirava dalla domanda. Ma Barbaro ogni industria e diligenza usando, perciocchè uomo era d'acuto e destro ingegno, ciò conseguì almeno, che si soprattenessero le offese insino a che per un legato mandato a posta a Venezia il Gran Signore fosse meglio certificato della volontà della repubblica. Mandavasi Cubatte, uno dei primi della corte Ottomana. Il senato avvertito dal bailo già si era accordato sulla risposta.

Arrivato il chiaus a Venezia (chè con tal nome chiamavano gli Ottomani i loro legati), fu dal lido, scortandolo la forza pubblica, perchè si temeva di qualche stravaganza da parte del popolo commosso e sdegnato, condotto in presenza dei padri. Salutato, chinando la testa, il principe, salutati col cenno medesimo i senatori, baciato eziandio il lembo della veste del principe, espose ciò, che Selimo voleva. L'interprete della repubblica gli lesse in risposta trasportato in lingua Turca il decreto del senato : sapere la repubblica, niuna cosa dover esser più santa, niuna più inviolata ai principi che le promesse e giuramenti; per questo lei, trasandate le occasioni profittevolissime, non udite le profferte graziose dei

potentati, avere eogl' imperatori Ottomani una costante amicizia conservata; bensì dagli Ottomani, non osservando essi la fede del giuramento, ogni soccorso essersi dato, ogni opportunità per nuocere offertasi ai ladroni conculcatori delle persone e delle sostanze Veneziane; i territorj della repubblica sovente invasi, i campi desolati, gli uomini condotti in servitù; non essere perciò corsa all' armi Venezia, ma secondo i patti della pace aver mandato querele, affinchè avutone soddisfazione, la guerra non si rompesse; ciò Selimo, se alcuna offesa ricevuta avesse, aver potuto e dovuto fare; ora poichè senza niuna giusta cagione aveva egli determinato di muover guerra alla innocente repubblica, non essere lei per ricusarla; riceverla anzi con forte animo; sperare," che Dio immortale, che ogni cosa vedeva, e tutti i cuori interiormente scrutava, non sarebbe per mancare del favore ed ajuto suo a chi puro serbandosi, ed incorrotto aveva anteposto l'onore all' utile, la fede alle conquiste.

Tale fu il decreto e la risposta del senato, Cubatte domandava, se sicuro tornarsene poteva, come sicuro era venuto; conciossiacosachè sentisse starsene fuori fremendo tutto il popolo all' intorno. Fu ricondotto bene accompagnato sul Lido alla galea, che l' aveva portato, ed a Ragusi rimandato, dond' era venuto.

Grandissimo sdegno sorse in tutti gli ordini per la > denunzia dell' atroce guerra. Ognuno colle opere e colle sostanze voleva soccorrere in così grave pericolò alla patria. Il senato intanto maturamente deli

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berava. In breve tempo tra per la diligenza usata nel rinstaurato arsenale, per cui molti legni armati și allestirono, e e quelli, che nelle province marittime già stanziavano, si trovarono all'ordine più di cento cinquanta galee con alcuni galeoni grossi, nuovamente inventati, che a guisa di sode castella parevano atti a propulsare qualunque forza nemica.

Alvise Mocenigo, doge, testè succeduto nella prima dignità della repubblica a Pietro Loredano morto, dava, dopo la messa solennemente celebrata nella ⚫ basilica di San Marco, concorrendo e sclamando il popolo affollato, le insegne e il bastone della maggioranza sul mare a Gerolamo Zane. Andavasene il Zane, accompagnandolo il senato ed una immensa stretta di popolo, fra le grida e gli applausi, e fra lo strepito e il rimbombo delle artiglierie, delle trombe e dei tamburi per la piazza del Lido, dove con solenne pompa sulla capitana montava. Imposesegli, andasse a Zara con quaranta galee, poi a Corfù, e quivi i rinforzi aspettasse. Il senato costituiva capi valorosi alle soldatesche per difendere contro i vicini Sangiacchi i territorj della Dalmazia e dell' Albania. Mandava provveditore a Corfù Sebastiano Veniero, che già fortemente, come fu da noi descritto, aveva combattuto per la repubblica, e più fortemente ancora era per combattere.

Ma le cose principalmente pressavano in Cipro. Due città principali adornano l'isola, e colle fortificazioni la rendono sicura, Nicosia situata dentro alle terre, Famagosta sul mare. In sui primi romori della

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guerra il senato aveva mandato in Cipro Giulio Savorgnano, giovane valoroso e molto intendente di fortificazioni militari, acciocchè le vecchie racconciasse, e le nuove sollecitasse. Girolamo Martinengo rinfrescava con nuovi i presidj vecchi, i quali, morto in viaggio questo capitano deditissimo a Venezia, furono governati da Astorre Baglioni.

In mezzo a così grave 'trepidazione mostrossi molto chiaro l'amore pei Veneziani di Eugenio, conte di Singla, signore molto principale fra la nobiltà di Cipro. Costui trovandosi in terra ferma preposto alla cavalleria, si offerse di andare in ajuto della patria, e di muovere per lei le popolazioni dell' isola. Fu con lode udito, ed accettata la sua buona volontà. Partì recando a difesa della terra natia uno stuolo di mila cavalli con ugual numero di fanti. In terra ferma, nelle isole, in Grecia, in Italia, nell' Adriatico, nell' Ionio, nell' Egeo, in Candia, in Cipro si descrisse la gioventù, si apprestavano le navi, si ammassavano le munizioni, si allestivano le armi, si congregavano denari. Tutta la repubblica si commuoveva all' imminente pericolo.

Ma da se medesima non bastava a tanto peso, e il senato dubitava di restare oppresso, se non induceva gli altri principi della cristianità a comune sforzo in questa guerra. Per questa ragione, sapendo qual fosse l' ardore del pontefice contro i nemici della religione, e quanta ancora l'autorità sua appresso ai potentati, aveva imposto al suo ambasciatore in Roma, ricercasse Pio di soccorsi, e di muovere gli altri principi a

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