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del minuto, Si deposero le armi, Genova si ricompose in calma. Ma i nobili di San Luca o per lo sdegno concepito per l' abrogazione della legge del quarantasette, o pel pericolo corso di esser fatti a pezzi dal popolo, abbandonata la città, si ritirarono tutti alle loro ville, protestando, che l' abrogazione, siccome fatta per forza, era nulla e di niun valore...

Il portico nuovo s'accorse, che più si dà al popolo, e più bisogna dargliene. I popolani, che per la condizione loro potevano aspirare all'ascrizione, non contenti all' ascrizione già fatta, nè di quelle ascrizioni parziali, elevarono il pensiero più altamente pretendendo, che si formasse di loro un terzo portico sotto nome di portico del popolo. San Pietro dava buone parole, ma gli pareva duro il consentire. San Luca favoriva il moto per mettere screzio fra i popolani, e battere San Pietro.

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In questo mentre si udirono romori di trame dei nobili vecchi, che avessero messo su sedizioni, e fatto disegno d' impadronirsi di Savona. Tommaso Carbone, Bartolomeo Coronato, Stefano Invrea, popolani fierissimi, gli perseguitavano acerbissimamente. Fuggirono con precipizio dalle ville loro, massime da San Pier d' Arena, dove s'erano ritirati in grande numero. Ad ogni momento temevano di aver addosso la furia dell' Invrea, che gridava loro la morte. dietro.

«Era spettacolo miserabile, narra il Casoni, il ve« dere uomini, donne e fanciulli di nobilissime fami«< glie uscirsene da superbi palagi, e ricoverarsi nellé

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umili capanne, commettendosi alla fede de' rusticani « feroci e dei pescatori, o pur correre alla spiaggia, «<e quivi pregare con lagrime i marinari ad imbarcargli, offerendo per loro mercede maniglie d'oro e

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preziosissime gioje. Alcune famiglie si ritirarono a « Savona ed a Massa di Carrara, ma la maggior parte ́si «salvò al Finale, dove si stimavano più sicuri, come «< in paese dipendente dal re di Spagna. »

Quei senatori stessi del loro portico, che erano rimasti in Genova, essendo tutto giorno soverchiáti dagli avversarj, e venendo anche minacciati nella vita. si ridussero al Finale, dove fermarono la sede di tutta la loro fazione. Per questo ritiramento l'autorità del governo rimase intiera all'arbitrio dei nobili di San Pietro. Quivi adunque la fortuna, o piuttosto le passioni degli uomini avevano addotto la repubblica di Genova, che, disciolto il suo governo, una parte fuoruscita, l'altra poco concorde tra se medesima, ed amendue ostinatissime, non lasciavano speranza di riconciliazione di animi o di aggiustamento delle differenze.

Divolgatosi in questo momento nelle province straniere la partenza dei nobili di San Luca e le discordie della nobiltà, s'incominciarono a formare nelle corti diversi concetti per voltare a beneficio loro l'occasione, che le discordie dei Genovesi andavano offerendo. Il re di Spagna, a cui non restava altro ostacolo alla sua dominazione assoluta nella parte superiore dell' Italia che la libertà di Genova, avrebbe desiderato, che sotto colore di rimettervi la concor

dia, i suoi soldati vi si fossero intromessi di presidio. Sperava, nè senza ragione, che i nobili vecchi avrebbero a quella condizione consentito, purchè in patria e nella loro pristina autorità fossero restituiti. Non è nemmeno senza somiglianza di vero, che nell' animo suo rivolgendo le antiche ragioni dei duchi di Milano su quella città, pensasse ad appropriarsela intiera

mente.

Il re di Francia si mosse ancor egli sperando, che da quelle rivoluzioni potesse venir caso, che si rintegrasse l'antica sua autorità nella capitale dei Liguri. E siccome Filippo faceva assegnamento su i nobili di San Luca, così Enrico si confidava nell'appoggio di quei di San Pietro; perocchè se quelli volevano rientrare, questi non volevano uscire.

Il gran duca di Toscana ebbe due speranze, una piccola, l'altra più grande. La prima era, che pretendendo le antiche ragioni della repubblica di Firenze su Sarzane' e Sarzanello, terre da Genovesi poste a' suoi confini, vedeva negli accidenti di Genova l'occasione di ricuperarle. La seconda era più cupa e di molto maggiore importanza. Proponeva al re Filippo la soggiogazione di tutto il Genovesato, con che però fosse diviso, e una parte toccasse a lui, l''altra al re.

Nè don Giovanni, vincitore delle Curzolari, stava forte alla tentazione; perchè mandato dal re Filippo con un'armata e soldati da sbarco, come in appresso si vedrà, nei mari di Genova per dar favore ai nobili di San Luca, innalzò l' animo parendogli, che il debellatore di Turchia non potesse vivere, se padrone

non fosse di uno stato sovrano, insino a voler sottomettere la Liguria per farsene signore. Ma era in questo pensiero attraversato dal gran duca, che abborriva dall' aver vicino un sovrano così glorioso, attivo ed inquieto, qual era veramente don Giovanni.

Insomma i popoli non si possono mai dare su per la testa, che i principi non facciano subito disegni sopra di loro, e tutti anelavano alla preda di Genova. A tali pericoli si espongono le città divise!

Nè mancano scrittori, che accusano il principe Gianandrea Doria di aver formato pensieri più alti, che a cittadino di patria libera si convenissero; ma di sì reo proposito non si hanno testimonianze sufficienti; anzi se si dee giudicare dal suo procedere in tutta questa discordia civile, sarà mestiero fare di lui concetto contrario, e credere, che Gianandrea non abbia voluto contaminare la gloria patria di Andrea.

Le parti, che straziavano la mal arrivata Genova davano fomento a questi pensamenti dei forestieri. Infatti i nobili di San Luca ebbero ricorso al re Filippo per essere rintegrati; quei di San Pietro indirizzavano i loro pensieri verso il re di Francia, e il gran duca di Toscana per essere conservati. Al primo davano speranza di scostarsi dalla protezione di Spagna, sottentrando a quella di Francia; al secondo offerivano con qualche condizione la restituzione di Sarzana e Sarzanello, perchè sapevano, che quelle erano le principali cupidità di Francia, e di Toscana.

Gl' interessi diversi e le emulazioni dei principi sal varono la libertà di Genova, perchè l' uno contrastando

all' altro, niuno di loro fu abbastanza forte per soggiogarla, nè s' ardì impiegarvi tutta la sua potenza. Në Dio fu avaro di un altro sussidio ai Genovesi. Il papa fece in ciò l'ufficio di savio principe e di buon pastore. Chiamato a se l'ambasciatore di Spagna, imperciocchè la Spagna principalmente era in questo rivolgimento e più pericolosa di ogni altro per la sua vicinanza dallo stato di Milano e la sua forza sul mare, gli fece intendere, che se il re avesse tentato di opprimer Genova e farla sua, ei teneva in castello un milione d'oro per opporvisi, e che avrebbe sollevato contro di lui tutti i principi d'Italia. Minacciò ancora di levargli le concessioni fatte in Ispagna sopra i beni ecclesiastici.

Filippo non potendo por Genova al giogo, promulgò le parole di volere la sua concordia. Mandò adunque a trattare l'aggiustamento fra le due parti, oltre don Giovanni Idiaques, che risiedeva nella città come ambasciatore ordinario, il duca di Candia, uno dei primi signori della corte. Nel tempo stesso per accompagnare i negoziati colla forza, e fors' anche per valersi delle congiunture favorevoli al suo primiero disegno, mandò nel mare Ligusticò don Giovanni con una potente flotta di galere hen fornite di presidio di fanterie Spagnuole. Il principe Gianandrea era con don Giovanni volevano, se la parte di San Pietro ricusasse di rimettere quella di San Luca per accordo, ristabilirla per forza. Con ciò Spagna, se non di dritto, certamente di fatto sarebbe stata padrona di Genova. Si vede facilmente, quale libertà vi sarebbe rimasta, Se nel ministerio di forestieri ambiziosi una parte

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