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«< i quali verrebbero a perdere quella porzione di go« verno, che da antichissimi tempi avevano goduto, «<e che sono risolutissimi di conservare. >>

Addì dieci di marzo Giovanni Morone, cardinale legato del papa, Pietro Fauno Costaciaro, commissario Cesareo, don Carlo Borgia duca di Candia, e don Giovanni Idiaques ministri del re Cattolico, compromessarj di Genova, decretarono :

Che aboliti sotto pena di perdere la nobiltà, tutti i nomi di nobili vecchi, e nuovi, di aggregati e popolari, di portico di San Pietro e di portico di San Luca, tutti i cittadini ammessi al governo rimanessero compresi in un solo ordine sotto nome di nobili;

Che quei nobili, che in virtù delle leggi del ventotto avevano, assumendo quelli del comune albergo, lasciati i loro cognomi e le loro insegne, dovessero ripigliargli, ed usare in avvenire i cognomi e le insegne della loro propria famiglia;

Che da tutto l'ordine della nobiltà si constituisse un scelto numero di centoventi padri, che chiamarono il seminario, i quali per prudenza, per virtù per esperienza, per età e per meriti verso la repubblica fossero degni della dignità senatoria, i nomi de' quali venissero posti in un' urna, dalla quale avessero ad estraersi due volte l'anno cinque nomi, dovendo i tre primi supplire nel collegio dei governatori, cioè nel senato, e i due ultimi nel collegio de' procuratori in luogo di quelli cinque, che avessero terminato il loro biennio, dovendo poi l'urna essere riempita d'altri soggetti eletti dai due consigli

III.

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nel modo seguente: presentasse il minor consiglio al maggiore una lista doppia del numero dei soggetti da eleggersi, e fra di essi il maggior consiglio eleggesse;

Che il senato fosse constituito da dodici padri, ed il collegio de' procuratori da otto, oltre de' procuratori perpetui già stati dogi;

Che il maggior consiglio fosse di quattrocento, ed il minore di cento scelti nel maggiore, e che ambedue i consigli fossero eletti da trenta elettori ;

Che i trenta elettori sovra detti fossero scelti e nominati dal minor consiglio fra tutto il corpo della nobiltà ;

Che l'autorità di far leggi, contrarre alleanze, convenire della pace, e deliberare la guerra s' appartenesse ai due collegi ed al minor consiglio; Che l'imporre collette, tasse e gabelle spettasse al maggiore;

Che dai due collegi e dal minor consiglio potessero ogni anno esser creati nobili dieci soggetti, sette per la città, tre per le riviere;

Che l'arti della seta, e della lana, e del tessere i panni e i drappi, le professioni di avvocato, medico, notajo, la qualità di capitano, o patrono di nave non pregiudicassero alla nobiltà, e chi le esercitava e professava potesse venirvi ascritto, con ciò però che quei, che le arti meccaniche esercitava, le dismettesse tosto che a nobiltà ascritto fosse;

Che il doge, i senatori, i procuratori, uscendo dal magistrato, fossero soggetti a sindacato innanzi al

magistrato de' censori, ma non potessero essere sindacati che per fatti risultanti dal loro passato uffizio, e se si trattasse di atti prèsi collegialmente, non potessero essere sindacati individualmente;

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Che vi fossero due conservatori delle leggi da eleggersi dai due collegi e dal minor consiglio, il cui ufficio fosse di procurare l'ottima esecuzione delle leggi, e massimamente d'invigilare, che negli squittinj da farsi per l'elezione del doge e degli altri magistrati non succedessero nè soperchierie, nè fraudi ;

Che il doge fosse eletto a questo modo: il maggior consiglio proponesse, quindici soggetti scelti a squittinio segreto: fra questi quindici il minor consiglio ne scegliesse sei, e fra questi sei il maggior con, siglio coi più voti scegliesse il doge.

I mediatori elessero per questa prima volta i primi magistrati, cinque soggetti pei supplementi del senato, due pei supplementi nel collegio dei procuratori, quattrocento pel maggior consiglio, cento pel minore, centoventi pel seminario; ma nell' istesso tempo dichiararono, che non era a niun modo stata loro intenzione, nè dei loro principi di offendere, o pregiudicare, nemmeno in un minimo che, con le predette fazioni di leggi e nominazioni di magistrati, la libertà della repubblica, la quale volevano ed infendevano, che salva, intiera, intatta ed inviolatat fosse, e si conservasse. Lemus fi, rack to su Queste leggi furono dal senato accettate e solennemente pubblicate il giorno diecisette di marzo nella chiesa maggiore di San Lorenzo. Ne conseguì la

I

pace

e la quiete di tutti gli ordini, restituendosi alla città tutta la nobiltà fuoruscita, ricevuta con grandi dimostrazioni di giubbilo dagli altri nobili, restando tutti universalmente contenti d'aver dato fine alle discordie civili, ed alle agitazioni della repubblica. Ognuno s'augurava dopo tanti travagli un felicissimo stato di tranquillità.

Solo Bartolomeo Coronato non quietava. Venuto l'imperio delle leggi, e cessate le discordie, in cui le sette difendono i settarj, e le fazioni fomentano i faziosi, non poteva egli più dar pascolo colle spalle della plebe a' suoi pensieri ambiziosi. Nè poteva sopportare, ch' egli, che aveva dominato sopra tutti, ora fosse messo alla misura di tutti. Gli pareva lento e non sufficiente l'arrivare alle cariche coi modi stabiliti dalle leggi; romperle e signoreggiare per arbitrio era il suo supremo desiderio. Venne in tanta insania, che ciò, che la pace gli aveva tolto, il volle racquistare per congiura, è fare nuovo campo di risse, di furore e di sangue la città testè pure preservata. Congiurò, trovò complici, volle sollevare il popolo contro la nobiltà, privarla del governo, introdurre lo stato democratico. Scopersesi la trama dell' insidiatore; pagò coll'ultimo supplizio sul palco sanguinoso la pena del pensiero sovvertitore. Questi adulatori e subornatori di plebe, infelici nelle cospirazioni loro, il carnefice gli ammazza, felici la plebe.

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LIBRO DECIMOQUARTO.

SOMMARIO.

Si tratta degli Uscocchi, e che cosa fossero questa fiera gente, e dove s'annidassero, e quali molestie dessero sul mare, massime ai Veneziani. Tragedie in Toscana. Eleonora, moglie adultera di don Pietro, fratello del gran-duca Francesco, scannata dal marito, anch'esso adultero con qualche cosa di peggio, in Cafaggiolo, Isabella de' Medici, moglie di Paolo Giordano Orsini, amata da molti, e di molti amatrice, strangolata in Cerreto dal marito. S'incomincia il discorso di Bianca Capello. Sua bellezza e grazia. Come s' innamori di un giovane Fiorentino, e come fugga dalla casa paterna. Sdegno dei parenti, il giovane ha bando dai luoghi Veneti. Tra bellezza, grazia, moine e filtri Bianca innamora di se talmente il gran duca Francesco, che ne diviene del tutto guasto, non ostante che si fosse recentemente sposato a Giovanna d'Austria. Doppj adulterj, parti supposti, e pure riconosciuti, quantunque conosciuti supposti. Muore Giovanna, Francesco sposa Bianca, e la fa gran duchessa. I Capello, che l'avevano maladetta, ora la sojano, il senato Veneziano, che l'aveva sbandeggiata, ora la dichiara figliuola della repubblica, e manda legati per assistere all' incoronazione. Muore Emanuele Filiberto, vero fondatore della monarchia Piemontese. Di nuovo si discorre sulle leggi date da lui, e come avesse il dono della profezia sul merito delle assemblee numerose, é ciò, che ne disse. Fonda l'ordine di San Maurizio e Lazaro. Nuovi ordinamenti sul consiglio de' dieci in Venezia. Muore il pontefice Gregorio XIII, succeduto a Pio. Operazioni del suo pontificato; riforma del calendario. Tragedia in Padova dell' Acorambona, bellissima donna. Moti al solito luttuosi in Francia. Carlo Emanuele I, figliuolo di Emanuele Filiberto, principe d'ingegno fervidissimo, occupa il marchesato, di Saluzzo al re di Francia.

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